La memoria debole della guerra: sulla campagna di Grecia del 1940-41

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Simone Donadio, Venezia –

Il 23 aprile 1941 venne firmato, tra Germania, Italia e Grecia, l’armistizio che pose fine alle ostilità sul fronte greco-albanese. In realtà, gli ellenici, non sentendosi battuti dagli italiani per via della decisiva discesa in campo dell’Esercito tedesco nell’aprile del 1941, avevano precedentemente stretto accordi solo con quest’ultimo. Ci volle l’intervento di un risentito Mussolini su Hitler per arrivare alla resa del 23 aprile. Da parte italiana, le perdite della campagna, iniziata il 28 ottobre 1940, furono di 13.755 morti, 50.874 feriti, 25.067 dispersi (di cui almeno 21.153 prigionieri), circa 52.108 ammalti e 12.368 congelati. Da parte greca, 13.325 morti, 42.485 feriti, 1.237 dispersi e 1.531 prigionieri.

Il discorso sulla memorialistica della guerra di Grecia deve essere articolato, come ha ben illustrato Mario Isnenghi nel suo Le guerre degli italiani, a partire dalla “memoria frantumata” della guerra italiana 1940-1945. Innanzi tutto, le campagne belliche si svolsero all’estero, in scenari geografici fra di loro molto diversi, impedendo così, come ha ricordato Giorgio Rochat, lo stretto rapporto tra “battaglie, cimiteri, monumenti e celebrazioni caratteristico del primo conflitto mondiale”. Le esperienze dei reduci sono, quindi, fra di loro diversissime, difficilmente inquadrabili in un’unica memoria condivisa. La parte della guerra antecedente all’8 settembre 1943 risulta, poi, essere la guerra di nessuno: né dei neofascisti – che non potevano rivendicarla perché era la dimostrazione della prova di forza cercata, voluta e fallita da parte del regime – né delle forze politiche uscite dalla guerra che si riconoscevano nella Resistenza, l’unico episodio vittorioso e, come tale, degno di essere ricordato ed in grado di dar vita a manifestazioni pubbliche.

La memoria della guerra, nell’ottica di una riconciliazione nazionale e di una riabilitazione del Paese nei confronti dei nuovi alleati, fu tenuta su toni bassi, lasciata alle Forze Armate o alle associazioni combattentistiche, privilegiandone la sola dimensione militare, fatta di senso del dovere, spirito di corpo ed obbedienza apolitica.

All’interno di questa “memoria debole”, uno spazio ancor più minoritario spetta alla guerra di Grecia, nonostante sia stata la prova maggiore dell’Esercito italiano, per uomini e mezzi impiegati, nella Seconda guerra mondiale. A livello di studi generali, si segnala l’ottima monografia, per conto dell’Ufficio storico dell’Esercito, del generale Mario Montanari, La Campagna di Grecia, in quattro volumi, del 1980 (edizione poi ridotta in un unico volume, L’esercito italiano nella campagna di Grecia, 1991). Precedentemente erano uscite le altrettanto buone storie generali di Carlo Baudino, Una guerra assurda. La campagna di Grecia, 1965, e l’opera giornalistica, comunque seria e documentata, di Mario Cervi, Storia della guerra di Grecia, anch’essa del 1965. A quasi quarant’anni dalla fine del conflitto, non vi era quindi un vero e proprio studio tecnico-militare sulla guerra di Grecia. Un segno, forse, di quanto avesse inciso nell’animo una prova bellica condotta inefficacemente contro un nemico non meglio armato e su di un terreno montuoso certamente impervio, per il quale l’Esercito avrebbe dovuto, però, essere preparato. I piani militari italiani erano infatti orientati verso una guerra sulle Alpi.

Infine, le informazioni in nostro possesso sull’Esercito greco sono limitate alla traduzione italiana della memoria del generale greco Alexandros Papagos, La Grecia in guerra, 1950.

 

Il generale greco Alexander Papagos

Il generale greco Alexander Papagos

 

Nell’immediato secondo dopoguerra, molte delle personalità militari e politiche del regime, come Sebastiano Visconti Prasca, Pietro Badoglio o Francesco Jacomoni, diedero alle stampe opere personali foriere di rilevazioni, polemiche e contrasti, nelle quali cercarono di giustificare il loro operato nella decisione di attaccare la Grecia nell’ottobre 1940. In realtà, rimettendosi nelle mani di Mussolini – il quale era convinto che i greci non si sarebbero battuti – essi non esternarono i dubbi sulle conseguenze di una guerra offensiva alla Grecia allorquando, dall’inizio di ottobre del ‘40, era in corso la smobilitazione dell’Esercito. Inoltre, erano a conoscenza di come sia il Servizio Informazioni Militare, il cui ruolo però veniva sottostimato, sia l’ambasciatore italiano ad Atene ad Atene Emanuele Grazzi, avessero segnalato già da tempo la lenta, ma progressiva, mobilitazione dell’Esercito greco.

Un elenco di testi, editi durante e dopo la guerra di Grecia, è presente in un contributo di Ugo Scialuga, La memorialistica sulla campagna di Grecia, all’interno del volume collettaneo L’Italia in guerra 1940-1943, del 1992. Se in questo elenco abbondano i libri di ufficiali, sono quasi del tutto assenti quelli di sottoufficiali e di soldati. Un’eccezione è rappresentata dal realistico e allo stesso tempo poetico Quota Albania, 1971, di Mario Rigoni Stern. Altri due romanzi, ma pregevoli come testimonianze, sono Gian Carlo Fusco, Guerra d’Albania, 1961, e Manlio Cancogni, La linea del Tomori, 1965. Si segnala anche il recente Albanaia. Un fascista esemplare, uscito nel 2007, di Augusto Bianchi Rizzi.

 

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Un’esemplare raccolta di lettere di soldati fu il lavoro di Nuto Revelli, L’ultimo fronte. Lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale, datato 1971. Anche se gli studi erano ristretti alle valli cuneensi e non limitati al solo fronte greco-albanese, le opere di Revelli si distinsero come il primo esperimento storiografico italiano della Seconda guerra mondiale in cui al centro del lavoro non vi erano gli ufficiali, ma i soldati semplici. Molte lettere di caduti della guerra di Grecia si trovano in Cinque anni di storia italiana. 1940-1945 di Bianca Ceva, 1964. Un altro volume di raccolte di testimonianze, in prevalenza di alpini, è Fronte greco-albanese: c’ero anch’io, 1971, a cura Giulio Bedeschi. Una serie di brani corti che però, come afferma Rochat, hanno un limite di fondo: “l’autore di una testimonianza breve è tratto per forza di cose a privilegiare l’azione brillante, il momento eccezionale, la figura di un eroe”. Ben poco numerosi sono, ancor’oggi, gli studi storici specificatamente dedicati alle cosiddette fonti della “scrittura popolare di guerra”. Le lettere, i diari e le memorie dei soldati semplici potrebbero aiutarci a ricostruire, nei limiti del possibile, le loro esperienze ed il loro orientamento verso la guerra.

Infine, si segnalano anche tre film: due del 1943 (Quelli della montagna, regia di Aldo Vergano e I Trecento della Settima, regia di Mario Baffico) ed uno del 1970 (Crepuscolo di fuoco, regia di Tanio Boccia alias Amerigo Anton). Nel 1983, all’interno di un programma di Massimo Siani, Italia in guerra, un’ora di trasmissione televisiva fu dedicata alla campagna di Grecia.

 

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Di una guerra che coinvolse oltre mezzo milione di uomini, ben poco ne è quindi rimasto nella memorialistica edita. Innanzi tutto, la guerra di Grecia si svolse in un teatro bellico non favorevole all’immaginazione e alla creazione di miti e simboli: marce estenuanti nel fango, offensive fallite, ritirate disastrose. Niente di paragonabile ai mezzi corazzati e all’aviazione dell’Africa settentrionale, alle battaglie della marina o al paesaggio quasi lunare, che molta impressione desta nel lettore, della ritirata di Russia.

Una campagna che si sarebbe dovuta risolvere in poco tempo, si rivelò essere una lenta agonia. Si trattò, per molti soldati, di una presa di coscienza di una realtà di guerra che fu ben altra cosa rispetto alla promessa di una facile e vittoriosa passeggiata militare. La propaganda fascista aveva dipinto i greci come soldati inetti che non avrebbero opposto resistenza ma, come osservò Montanari, i combattenti italiani si trovarono difronte ad un “nemico aggressivo, audace, forte delle proprie ragioni ideali” il quale “si impose ben presto alla nostra stima, che purtroppo si tramutò qualche volta in timore”. Il 28 ottobre è ancor’oggi festa nazionale in Grecia: è il ricordo del “no” (oxi in greco) alle inique richieste italiane.

Sia la consapevolezza di essere battuti da un nemico non superiore tecnicamente, sia il successivo confronto con il meglio attrezzato alleato tedesco, generò in molti soldati un senso di “umiliazione” che potrebbe essere alla base di una scarsa produzione memorialistica. Nelle sue memorie di guerra, scriveva così il soldato Mario Corbolini, del 26° Raggruppamento Genio, 150ª compagnia Marconisti:

 

Ormai il mito della passeggiata militare e della finta resistenza greca era svanito; perché quegli apparecchi venivano a bombardare? Tra l’altro le notizie della prima linea erano poco confortanti […]. Che figura meschina di fronte al mondo! Farci sopraffare dall’esercito greco! Eppure, bisognava accettare i fatti; si indietreggiava veramente.

 

Il modesto rendimento delle truppe italiane va, comunque, meglio inquadrato. Incisero sull’andamento delle operazioni le carenze del piano offensivo di Visconti Prasca, la scarsa qualità di molti quadri militari italiani, l’impreparazione di diversi ufficiali di complemento, la deficienza di alcune nuove armi italiane (come il mortaio da 45), i servizi logistici inadeguati, la carenza del servizio trasmissioni, l’equipaggiamento ed il rancio insufficienti, la limitata capacità di scarico e carico dei porti albanesi ed infine le fanterie che, dopo la fallita offensiva del novembre 1940, appena arrivate in Albania furono subito gettate al fronte, scarse di munizioni e seguite a notevole distanza di tempo dalle salmerie. Pesarono, poi, fattori di lungo periodo, dall’adozione di una, secondo la definizione di Ferruccio Botti, “logistica dei poveri”, alla scelta di una divisione binaria in luogo di una ternaria, alla scarsa cooperazione tra le diverse Forze Armate fino alle mancanze addestrative dell’Esercito italiano. Se resta, quindi, una scarsa efficienza di base, è evidente che il soldato italiano non fu mai posto nelle giuste condizioni per affrontare la guerra.

 

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Soldati italiani in Grecia

 

Dall’analisi della memorialistica ad oggi edita, è prevalente l’aspetto militare del ricordo della guerra di Grecia. È il reparto la dimensione del soldato: un mondo chiuso dove la coesione era necessaria per affrontare la battaglia. La sociologia militare definisce questo aspetto come la dinamica dei piccoli gruppi all’interno dell’istituzione militare. È un fenomeno ancora più marcato per il fronte greco-albanese. Come riportato da Montanari:

 

I comandanti di truppe, nella grandissima maggioranza, se non nella quasi totalità, nel fare appello a determinati valori morali e psicologici, non presero spunto dalle parole d’ordine di Mussolini, ma cercarono per “dovere d’ufficio” di spiegare alla meglio significato e cause del conflitto, ed in combattimento puntarono decisamente sulle tradizioni di corpo e reggimentali.

 

La maggior parte della memorialistica della guerra riguarda gli alpini, nonostante le divisioni impiegate dall’ottobre ‘40 all’aprile ‘41 fossero 3 su un totale di 29. Uno spiccato spirito di corpo, dovuto anche ad un reclutamento territoriale regionale ed alla vitalità dell’Associazione Nazionale Alpini, ha posto le basi per un clima favorevole alla pubblicazione di memorie di guerra. Per gli alpini, il fronte viene visto in un’ottica di dovere, sacrificio e lutto. Come detto, una dimensione apolitica che ha garantito la continuità del “mito” degli alpini oltre il 1945, in un’Italia che aveva relegato ai margini del discorso pubblico il dibattito militare. In Grecia nacque, poi, la nota canzone della divisione Julia “Sul Ponte di Perati”, proibita dal regime fascista, che trae origine da un altrettanto noto canto popolare, ovvero “Sul Ponte di Bassano”. Il ponte di Perati, contrariamente a quanto comunemente si crede, non conduce da una sponda all’altra del fiume Vojussa, ma attraversa il Sarandaporos, che confluisce nella Vojussa stessa due chilometri circa a valle del ponte.

LE LETTURE CONSIGLIATE:

  • A. Bendotti-et alia, Ho fatto la Grecia, l’Albania, la Jugoslavia… Il disagio della memoria, in L’Italia in guerra 1940-1943, Annali della Fondazione “Luigi Micheletti”, n. 5, Brescia 1992, pp. 289-308.
  • L. Bregantin, Fronte greco-albanese, in Mario Isnenghi, Giulia Albanese (a cura di), Gli Italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, vol. IV, Tomo 2, UTET, Torino 2008, pp. 187-195.
  • M. Cervi, Storia della guerra di Grecia: l’inutile avventura che spezzò le reni alla Grecia, Rizzoli, Milano 1986 [I^ ed. 1965].
  • M. Montanari, L’Esercito Italiano nella campagna di Grecia, USSME, 3° ed., Roma 1999.
  • M. Rigoni Stern, Quota Albania, Einaudi, Torino 1971.
  • G. Rochat, La guerra di Grecia, in Mario Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria, vol. 2, Strutture ed eventi dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 347-363.
  • Le guerre italiane 1935-1943. Dall’impero d’Etiopia alla disfatta, Einaudi, Torino 2005.
  • U. Scialuga, La memorialistica sulla campagna di Grecia, in L’Italia in guerra 1940-1943, Annali della Fondazione “Luigi Micheletti”, n. 5, Brescia 1992, pp. 269-287.