La guerra del Chaco: un conflitto sconosciuto nel Sudamerica del XX secolo

chaco guerra

Giuseppe Catterin – Venezia

 

Ad Asunción, capitale del Paraguay, sorge l’imponente “Estadio Defensores del Chaco”, struttura sportiva polivalente che funge, per lo più, da impianto domestico per le gare della Albirroja, la massima selezione maschile di calcio della nazione sudamericana.

Lo stadio venne inaugurato nel 1917. La denominazione odierna sopraggiunse, invece, nella seconda metà degli anni ’30 e venne decisa per commemorare i soldati caduti durante la Guerra del Chaco, conflitto che infiammò questa porzione del Continente sudamericano tra il 1932 e il 1935.

Le origini di questo guerra, che contrappose il piccolo Paraguay alla più grande Bolivia, affondano le radici nella travagliata storia di entrambi i paesi. L’area contesa era il Chaco Boreal, la porzione più settentrionale del Gran Chaco, macroregione geografica che si estende dal Brasile (stati del Mato Grosso e Mato Grosso do Sul) all’Argentina settentrionale.

Rispetto al Chaco che ricade amministrativamente sotto l’Argentina, definito anche “austral”, il Chaco Boreal si caratterizza per la scarsa piovosità e per ampie aree semidesertiche. L’intera area, contenuta tra il fiume Paraguay ad est e le prime propaggini della catena andina a ovest, si prestava poco allo sfruttamento agricolo (se non forse al massimo zootecnico) o alla presenza antropica (attualmente, pur rappresentando più della metà dell’intero territorio nazionale, vi abita solamente il 3% della popolazione del Paraguay). L’unica materia prima di un certo rilievo economico era l’estrazione dei tannini dai Quebracho.

La porzione di Chaco Boreal contesa tra i due paesi sudamericani

Il Chaco: una terra di nessuno

La Bolivia, forte di rivendicazioni che traevano la loro natura da divisioni amministrative tracciate al tempo della dominazione coloniale, considerava la Regione come una provincia del territorio nazionale, sebbene i legami, tanto culturali quanto economici, fossero alquanto labili.

Il Paraguay, d’altro canto, vi operava, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, una progressiva penetrazione economica. Di fatto, Asunción trattava il Chaco come un territorio di propria pertinenza a tal punto che ne promosse, nonostante le evidenti difficoltà ambientali, lo sfruttamento agricolo. In particolar modo, venne incoraggiata la zootecnia, sia tramite l’ingaggio di operatori argentini e sia mediante la creazione di apposite colonie agricole di Mennoniti provenienti direttamente dal Nord America.

Questi ultimi vennero espressamente invitati dal governo di Asunción e, nel 1927, fondarono la Colonia di Menno cui seguì, nel 1930, l’insediamento di Fernheim. Entrambe le comunità, attualmente facenti parte del Dipartimento di Boquerón, all’epoca ricadevano in territorio de iure amministrato dalla vicina Bolivia. De facto, tuttavia, il governo paraguaiano era di avviso diverso.

Il Paraguay, in questa e nelle successive ondate migratorie, vedeva l’occasione perfetta per sfruttare economicamente il Chaco e, non di meno, irrobustire la demografia nazionale, ancora sofferente dalle perdite patite durante la guerra della Triplice Alleanza, conflitto bellico che, terminato nel 1870, aveva lasciato il Paraguay in condizioni drammatiche. Il Paese sudamericano aveva perso all’incirca il 70% della popolazione nazionale. Le classi politiche che si susseguirono decisero, pertanto, di fronteggiare questa situazione favorendo, come nel caso del Chaco, flussi migratori tanto dal Nuovo quanto dal Vecchio Mondo.

L’interesse economico per questa “Terra di nessuno” divampò, tuttavia, agli inizi degli anni ’20. La scoperta del petrolio alla base delle Ande portò a ritenere l’intera regione del Chaco Boreal ricca di idrocarburi. La notizia, com’era logico attendersi, fornì alla regione un maggior appeal economico, rintuzzando le velleità, mai del tutto sopite, di ambo le parti.

Da un punto di vista eminentemente strategico, invece, il controllo dell’alto Chaco garantiva l’accesso, seppure in maniera indiretta, al mare tramite il fiume Paraguay. Il corso d’acqua, grazie alla sua ampia navigabilità, permetteva (e permette tutt’ora) il trasporto delle merci fino all’Oceano atlantico, soluzione che divenne di vitale importanza per la Bolivia di fine Ottocento: uscita sconfitta dalla Guerra del Salnitro, che la vide affiancata dal Perù e contrapposta al Cile, la nazione sudamericana, nel 1884, perdeva definitivamente il suo sbocco all’Oceano Pacifico.

Per l’opinione pubblica boliviana, nonché ampi strati della borghesia mercantile, il pieno possesso del Chaco diventava una questione di primaria importanza.

Vignetta propagandistica Chaco

Il conflitto del Chaco

Sebbene i due paesi, nel corso dell’Ottocento e della prima parte del Novecento, tentarono di risolvere la questione per via diplomatica, le prime schermaglie di confine si registrarono a partire dal 1928. Gli scontri, risolti grazie alla mediazione statunitense a un sostanziale nulla di fatto, spinsero ambo le parti ad accelerare il proprio processo di riarmo, compatibilmente con le difficoltà di bilancio e, soprattutto, con gli effetti della crisi economica del ’29.

Allo scoppio delle ostilità, nel settembre del 1932, sulla carta l’esercito boliviano si presentava in posizione di vantaggio. La Paz poteva disporre, innanzitutto, di una popolazione maggiore di circa tre volte. Le forze di terra, componente predominante nell’esercito boliviano, erano inoltre appoggiate da una novità rispetto agli scenari bellici sudamericani: i carri armati.

Un carro Vickers simile all'unico esemplare utilizzato dalla Bolivia durante il Conflitto

Si trattava di tre carri leggeri Vickers 6-Ton Tank (in foto), unità fatte appositamente arrivare dal Regno Unito, supportate inizialmente da almeno due tankette Carden-Lloyd che, durante il prosieguo della guerra, vennero affiancate da circa una dozzina di carri veloci Ansaldo L3/35, le tankette che, all’epoca, equipaggiavano anche il Regio Esercito. I carri erano, rispettivamente, configurati in Type A (una sola unità, dotata, come arma d’offesa, di due mitragliatrici in torretta) e in Type B (le restanti due unità, che si differenziavano perché montavano un pezzo di artiglieria da 47 mm). L’esercito boliviano era inoltre condotto da Hans Kundt, ufficiale tedesco che, negli anni ’10 del XX secolo, si era già reso protagonista di una radicale riforma delle forze armate su modello prussiano.

La controparte paraguaiana non poteva disporre di equipaggiamenti all’altezza. Ciò nonostante, le forze guidate dal generale José Félix Estigarribia, successivamente eletto a Presidente del Paraguay grazie alla fama conquistatasi durante il conflitto, potevano trarre un duplice, quanto fondamentale, vantaggio.

La linea del fronte era molto vicina. Le truppe paraguaiane, anzi, poterono giovarsi della rete ferroviaria cui era dotato il piccolo paese sudamericano. A questo vantaggio logistico, rivelatosi di fondamentale importanza, si aggiungeva una maggiore, quanto decisiva, conoscenza del territorio. Estigarribia, infine, poté giovarsi di sostanziosi aiuti provenienti dall’Italia fascista: il nostro Paese provvide, già nel 1933, di dotazioni militari di vitale importanza, di cui il Paraguay era sfornito.

Humaitá, una delle due unità fluviali paraguaiane fornite dall'Italia chaco

Tra gli equipaggiamenti spiccano, per importanza rivestita nelle successive vicende del conflitto, i summenzionati L3/35 (che vennero forniti in numero di 12 unità), cinque caccia biplano FIAT CR.20 nonché due cannoniere classe Humaitá (in foto), varate a Genova dai Cantieri Odero e appositamente progettate per la guerra fluviale: la flottiglia paraguaiana conquistò facilmente il controllo sul fiume Paraguay, garantendo alle truppe di terra un costante rifornimento in materiale bellico. Il loro utilizzo rappresentò una delle principali ragioni della vittoria finale paraguaiana.

Una Ouverture dei conflitti successivi

La guerra, terminata nel giugno del ’35, fu caratterizzata da scontri di portata modesta se paragonati a quelli che sconvolsero, da lì a pochi anni, il Continente europeo. Il conflitto, tuttavia, presenta delle interessanti analogie con i conflitti, primi tra tutti la Guerra civile spagnola, di poco successivi. Ambo le parti beneficiarono, ad esempio, di interi reparti composti da volontari: cileni e cecoslovacchi, da parte boliviana; argentini, italiani e addirittura russi per quanto concerne la controparte paraguaiana.

Fanteria Paraguaiana in marcia verso le zone del conflitto

La Guerra del Chaco, oltre a rappresentare l’evento bellico più importante che interessò il Continente sudamericano (ma non l’unico, giacché Perù ed Equador si fronteggiarono lungo il mese di luglio del 1941 e tra il gennaio e il febbraio del ’95), evidenziò l’importanza del controllo del cielo (sebbene i boliviani, fino all’arrivo degli apparecchi italiani, non riuscirono a capitalizzarlo efficacemente) e, soprattutto, i pregi e i difetti del futuro re dei campi di battaglia: il carro armato.

Il trattato di pace, firmato a Buenos Aires, consegnava al Paraguay i 3/4 del Chaco Boreal, ottenuto a un prezzo altissimo (circa il 3% della popolazione perì durante il conflitto). Prezzo che, successivamente, divenne vera e propria beffa: del tanto agognato petrolio non v’era traccia. Se non nel restante quarto che rimase in mano boliviana.

 

Consigli di lettura:

R. Ygua, La guerra del salnitro 1879-1884

A.M. De Quesada, The Chaco War 1932–35: South America’s greatest modern conflict, Osprey, Oxford, 2011

M.L. Callejas, Germán Busch El Centauro del Chaco: La legendaria vida y obscura muerte del héroe boliviano