Neoliberismo e mercati finanziari: la crisi dei subprime

Lehman Brothers subprime crisis

Guido Gallico – Milano

Tra il 2007 e il 2009 l’economia mondiale è stata scossa da una delle peggiori crisi finanziarie dell’epoca contemporanea: la crisi dei mutui subprime. Si è assistito in un primo momento allo scoppio di una bolla speculativa limitata al mercato ipotecario statunitense, presto degenerata in una recessione mondiale di un’intensità inedita dall’inizio degli anni Trenta.

Le origini della crisi dei subprime vanno ricercate nella rivoluzione neoliberista iniziata dall’insediamento dei governi Thatcher (UK, 1979) e Reagan (USA, 1981). Il neoliberismo consiste in una visione di politica economica orientata all’assenza di regolamentazione e di intervento pubblico nelle dinamiche di mercato: le tendenze di quest’ultimo vengono quindi determinate esclusivamente dalle interazioni tra domanda ed offerta.

La crisi dei subprime è scaturita da una bolla immobiliare strettamente legata alla bolla del credito, combinazione letale che colpisce il sistema bancario prima e l’intera economia poi.

Per comprendere i meccanismi che hanno prodotto questa duplice bolla occorre esaminare la situazione del mercato immobiliare tra il 1997 e il 2007, contingenza eccezionale vista l’ampiezza dei rialzi di prezzo e il grande numero di paesi in cui tali rialzi si sono manifestati.

Perché non ha funzionato l’autoregolamentazione concorrenziale invocata dalla teoria neoliberista? Per trovare risposta bisogna innanzitutto considerare le peculiarità degli immobili: non sono un bene ordinario, ricercato solo per l’utilità intrinseca, ma sono desiderati anche per il loro rendimento alla stregua di un’attività finanziaria.

Nel decennio considerato i rialzi dei prezzi, per costanza e intensità, hanno reso i beni immobili un investimento estremamente redditizio.

Il rialzo dei prezzi ha stimolato l’apparizione di nuovi acquirenti invece di scoraggiare la domanda, cosa che ha rafforzato molto l’andamento rialzista: questo meccanismo è all’origine delle bolle speculative.

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Gli attori finanziari hanno incrementato l’euforia speculativa, venendo meno al loro ruolo regolatore e divenendone i principali promotori oltre che beneficiari: senza un credito facile da ottenere, a basso tasso ed emesso in grande quantità, la bolla immobiliare non avrebbe potuto raggiungere tale ampiezza. La storia recente mostra spesso lo stretto intrecciarsi delle bolle del credito e degli immobili: precedenti significativi si sono verificati in Europa tra il 1870 e il 1873 (coinvolse Parigi, Berlino e Vienna) oppure in Florida (USA) tra il 1920 e il 1925.

Il ricorso ai crediti immobiliari è più che raddoppiato tra il 2001 ed il 2007, ma, più che questa crescita eccezionale, il tratto più evidente, esaminando l’evoluzione del mercato ipotecario durante il periodo in esame, è l’ampiezza delle modifiche relative alla qualità dei crediti emessi.

Si è assistito ad un continuo deterioramento dei criteri di selezione, sfociato nella crescente parte dei prestiti destinati alle famiglie con notevoli rischi di insolvenza: i cosiddetti subprime.

Per rendere monetizzabili – ovvero convertibili in moneta utilizzabile per transazioni – questa enorme massa di crediti, gli istituti finanziari fecero ampio ricorso allo strumento della cartolarizzazione.

La cartolarizzazione prevede che la banca raggruppi un gran numero di crediti in un portafoglio, il quale viene ceduto ad una società appositamente creata (Special Purpose Vehicle) che emette a fronte di questo pool un titolo finanziario collaterale a un’obbligazione classica, l’Asset Backed Security. I flussi di pagamento legati ai crediti iniziali sono centralizzati attraverso l’SPV per essere redistribuiti verso i proprietari di ABS. Tutti i tipi di credito possono essere cartolarizzati, e sotto questa nuova forma possono essere ceduti ai diversi soggetti: hedge funds, compagnie assicurative, fondi pensione, privati risparmiatori.

Che il rialzo delle quotazioni fosse eccessivo poteva essere intuito, soprattutto considerando come questa tendenza fosse proseguita nonostante l’avvenimento che più ha segnato l’inizio del XXI secolo: l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001.

La politica monetaria lassista della Banca Centrale Americana (FED) condotta fino al 2004 ha incentivato questa evoluzione, inoltre le agenzie di rating –  società specializzate nella valutazione del rischio di credito –  non prevedendo la brutalità estrema del rovesciamento del mercato immobiliare hanno contribuito alla sottovalutazione del rischio dei subprime.

fed subprime

Ciò che stupisce è che gli agenti non ne avessero compreso il pericolo, tanto è vero che Greenspan, governatore della FED, introdusse nel 2005 la nozione di “schiuma” per non usare il termine “bolla”.

Ben Bernanke, successore di Greenspan alla FED nel 2006, ammise l’idea che il rialzo dei prezzi potesse subire una decelerazione: ciò puntualmente accadde all’inizio dell’anno successivo. Nel marzo 2007 Bernanke si dimostrò più sensibile alla correzione dei prezzi che iniziò sul mercato immobiliare, ritenendo comunque che si trattasse solo di un rallentamento. Fu l’inizio del baratro.

Nel luglio 2007 Bernanke calcolava le perdite legate ai crediti subprime tra i 50 e i 100 miliardi di dollari, nel marzo l’Asian Development Bank le quantificava per 50 trilioni di dollari: tra 500 e 1000 volte più ampie.

In che modo uno shock iniziale di ampiezza limitata ha potuto condurre ad una devastazione planetaria? Attraverso la propensione all’eccesso dei mercati finanziari, che così come ha prodotto un eccessivo rialzo nel 2001-2007 ha condotto ad altrettanto eccessivo ribasso dall’agosto 2007.

Dal giugno 2007, infatti, cominciarono a prodursi una serie di eventi catastrofici: dal rischio di fallimento di due fondi speculativi legati a Bear Stearn, all’incessante aumentare delle perdite legate ai default subprime.

Tuttavia lo shock decisivo fu da ricercare altrove: nella classificazione stessa degli strumenti. Questa classificazione è fondamentale poiché rappresenta il riferimento sulla base del quale i prezzi si formano e gli investitori si coordinano.

Da giugno si assistette  ad un movimento di peggioramento generale del rating, l’incertezza sulla valutazione presto contagiò anche i prodotti considerati come più sicuri. Non fu più possibile sapere quanto valesse un titolo di cui si conosceva il valore fino al giorno precedente. Dall’agosto 2007 tutti i mercati fornitori di liquidità furono fortemente sollecitati e difronte a questa pressione l’offerta sparisce: i mercati si bloccano e la liquidità si prosciuga.

Quando i prezzi si abbassano, le istituzioni finanziarie sperimentano grosse difficoltà che portano a vendite disperate per far fronte ai propri impegni: ciò viene definito deleveraging, processo capace di moltiplicare anche dieci volte gli effetti iniziali delle svalutazioni. Se questa strategia viene seguita dall’insieme degli attori finanziari, poiché trovatisi nella stessa situazione, produce un fortissimo movimento di vendita che induce un nuovo round di abbassamento dei prezzi e, a partire da questo meccanismo, si innesca il circolo vizioso della crisi finanziaria.

lehman brothers fallimento subprime

Dall’agosto 2007 il mercato interbancario risultò fortemente strapazzato e l’apice venne raggiunto nel settembre 2008 al momento del fallimento di Lehman Brothers, storica banca d’affari di New York.

Come conseguenza al fallimento di Lehman Brothers i fondi monetari, grandi fornitori di liquidità in tutti i mercati, subirono una corsa agli sportelli impressionante.

La FED tentò disperatamente di sostenerne la solvibilità con forti immissioni di liquidità: se si paragona il suo bilancio tra il dicembre 2007 e il dicembre 2008 si nota come l’attivo sia aumentato del 150%.

Ormai la situazione risultò fuori controllo, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 la crisi si propagò nell’intero sistema economico mondiale con effetti devastanti: quella del 2009 è stata considerata come la peggiore recessione dal 1929.

Solo nel biennio 2010-2011 l’economia statunitense si avvierà verso la ripartenza. Lo stesso purtroppo non si potrà dire per il Vecchio Continente, il quale si troverà presto in una nuova e forse ancor più grave crisi economica: quella del debito sovrano.

La crisi dei mutui subprime ha mostrato tutta la debolezza del modello neoliberista. Gli istituti finanziari privati si sono trovati completamente disarmati di fronte a questi eventi, le fondamentali strutture del capitalismo finanziario sono crollate in pochi mesi e diversi istituti si sono trovati a smettere di funzionare praticamente dall’oggi al domani. I poteri pubblici sono dovuti intervenire massicciamente per calmare provvisoriamente le acque ed incoraggiare una progressiva ripresa del mercato del credito, tenendo così in vita la nostra società. L’opinione pubblica è rimasta scioccata, sviluppando un senso di avversione e sfiducia verso il mondo finanziario.

Pur essendo le crisi parte integrante del ciclo economico, l’esperienza dei subprime ha scaturito, tanto presso l’opinione pubblica quanto nei Governi dei paesi maggiormente colpiti da questa crisi, dibattiti, talvolta molto accesi, sulla necessità di un ritorno ad una forte regolamentazione. I caposaldi di quest’ultima sono stati fissati nei limiti rigorosi all’estensione dei mercati finanziari, tali da consentire alle Autorità Pubbliche di evitare che, fenomeni fisiologici, possano avere nuovamente conseguenze così devastanti per l’economia mondiale e per l’intera popolazione.

 

Consigli di lettura:

V. Castronovo, Nuovi equilibri in un mercato globale, Laterza, Roma-Bari, 2002

R. Findlay, K. O’Rourke, Potere e ricchezza. Una storia economica del mondo, Utet, Milano, 2017

M. Mazzucato, M. Jacobs, Ripensare il capitalismo, Laterza, Roma-Bari, 2019

A. Orléan, Dall’euforia al panico. Pensare la crisi finanziaria e altri saggi, Ombre Corte, Verona, 2010

R. J. Shiller, Finanza shock. Come uscire dalla crisi dei mutui subprime, Egea, Milano, 2012