Cucina futurista, o dell’ottimismo a tavola

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Jacopo Bernardini, Torino –

“L’iconoclastia futurista”, definita dal critico d’arte Mario De Micheli, trovò le sue radici nel provincialismo e nella burocratizzazione progressiva dell’Italia post-risorgimentale. Soli tre mesi separarono la nascita della rivista fiorentina “La Voce” di Giuseppe Prezzolini dalla pubblicazione del Manifesto del Futurismo del 20 febbraio 1909: due avanguardie, quella vociana e quella futurista, notevolmente differenti, secondo Emilio Gentile, ma connotate da alcuni interessi comuni che, insieme alla “Lacerba” (nata da una costola dissidente de “La Voce” su iniziativa di Papini, Soffici, Palazzeschi e Tavolato), sfociarono nell’analisi delle più disparate tematiche economiche, sociali, filosofiche, letterarie ed artistiche, suscitando un clima di fervore in cui il futurismo poté prosperare. Lo stesso Papini, nella rivista francese “Mercure de France”, affermò come lo stesso movimento di cui faceva parte rappresentava una

 

reazione necessaria a quel culto sfrenato e idiota dell’antico […] a quel disprezzo della modernità di cui il nostro ambiente intellettuale era saturato e lo conduceva a un esaurimento noioso e umiliante”.

 

La rivoluzione politica e il rinnovamento dell’Italia dovevano necessariamente partire da un forte mutamento culturale. Gli artisti futuristi vollero anticipare, con le loro creazioni, la nuova esperienza di una modernità liberata da ogni legame con il passato, creando qualcosa di nuovo ed inedito. L’iniziativa del manifesto marinettiano fu seguita, l’anno successivo, dalla pubblicazione del Manifesto della pittura futurista di Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo e Giacomo Balla, oltre che da numerosi incontri nelle più importanti città italiane con lo scopo di attirare l’attenzione del pubblico verso la nuova scuola. Una nuova arte, un nuovo stile, in perpetua opposizione con la tradizione dominante, per i futuristi non era sufficiente: per questo motivo essi cercarono di estendere la propria influenza, limitata, almeno nella fase iniziale del movimento al campo artistico, all’interno della vita collettiva in ogni suo aspetto.

 

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Inevitabile, dunque, il passaggio alla “rivoluzione cucinaria futurista, necessaria, secondo Marinetti, per una “modifica radicale dell’alimentazione della nostra razza, fortificandola, dinamizzandola e spiritualizzandola con nuovissime vivande in cui l’esperienza, l’intelligenza e la fantasia sostituiscano economicamente la quantità, la banalità, la ripetizione e il costo”. Tale battaglia venne inaugurata nel 1913 con le Manifeste de la cuisine futuriste dello chef Jules Maincave. Nelle pagine del quotidiano francese Fantasio, Maincave sosteneva la necessità di una maggiore sperimentazione a tavola, in grado di far nascere una cucina moderna legata alle nuove scoperte scientifiche e tecniche.

Nel Manifesto si invitava ad attaccare frontalmente le “due formidabili Bastiglie della cucina moderna: le misture e gli aromi”, proponendo di miscelare gli alimenti con essenze e profumi, in modo da creare nuove sensazioni. Marinetti, affascinato da tali audaci prospettive culinarie, reagì con il suo Manifesto della Cucina Futurista, che apparve il 28 Dicembre 1930 sulla Gazzetta del Popolo di Torino. Qui veniva sancita la necessità di un rinnovamento totale del sistema alimentare italiano […] liberata dalla vecchia ossessione del volume e del peso e avrà, per uno dei suoi principi, l’abolizione della pastasciutta” colpevole di appesantire, abbruttire, di avere scarse capacità nutritive, di rendere “scettici, lenti, pessimisti”, auspicandone la sostituzione con il ben più patriottico riso . Tale grande offensiva contro la vecchia cucina prevedeva, oltre alla già citata epurazione della pastasciutta, l’abolizione della forchetta e del coltello a favore della riscoperta del “piacere tattile prelabiale” e l’accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi.

Un così grande affronto alla nostra tradizione culinaria non poteva passare inosservato: diverse inchieste, a favore o contro la pasta, furono lanciate da diverse testate giornalistiche italiana e non solo. Giovanni De Riseis, Duca di Bovino e Podestà di Napoli, intervenendo in uno di questi dibattiti, dichiarò che “gli Angeli, in Paradiso, non mangiano che vermicelli al pomodoro”, con ciò consacrando, secondo Marinetti, la monotonia del Paradiso e la poco attraente vita degli Angeli. Il “Times” di Londra ritornò ripetutamente sull’argomento con diversi articoli, così come il “Chicago Tribune”, con il suo lungo articolo Italy may down Spaghetti e il “The Herald”, tra i primi ad agitare la polemica sulla cucina futurista con il pezzo Spaghetti for Italians, Knives and Forks for all are banned in Futurist Manifesto on Cooking.

 

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Le innovazioni culinarie propinate da Marinetti non rimasero mera teoria: durante le accese discussioni sui giornali venne messa in cantiere l’idea di far nascere una cucina sperimentale futurista a Torino, la “Taverna del Santopalato”, nella quale sarebbero state presentate al pubblico le nuove vivande. Torino, in questo modo, poteva diventare culla di un altro risorgimento italiano, quello gastronomico.

 

I lavori procedevano e l’ambiente si formava nel dominio preponderante dell’alluminio italiano, dominio che doveva dare al locale una atmosfera di metallicità, di splendore, di elasticità, di leggerezza ed anche di serenità. L’alluminio e il più adatto e il più espressivo dei materiali, racchiude queste doti essenziali ed e veramente un figlio del secolo dal quale attende gloria ed eternità al pari dei materiali «nobili» del passato

 

Così veniva descritta da Marinetti, nel suo libro La cucina futurista, l’atmosfera che avrebbe caratterizzato la Taverna Santopalato, creata dall’architetto Diulgheroff ed inaugurata la sera dell’8 Marzo 1931 in via Vanchiglia 2 con le seguenti portate:

 

  1. Antipasto intuitivo (formula della signora Colombo-Fillìa).
  2. Brodo solare (formula Piccinelli).
  3. Tuttoriso (formula Fillìa).
  4. Aerovivanda, tattile, con rumori ed odori (formula Fillìa).
  5. Ultravirile (formula P. A. Saladin).
  6. Carneplastico (formula Fillìa).
  7. Paesaggio alimentare (formula Giochino).
  8. Mare d’Italia (formula Fillìa).
  9. Insalata mediterranea (formula Burdese).
  10. Pollofiat (formula Diulgheroff).
  11. Equatore + Polo Nord (formula Prampolini).
  12. Dolcelastico (formula Fillìa).
  13. Reticolati del Cielo (formula Mino Rosso).
  14. Frutti d’Italia (composizione simultanea)

 

Tale menù, la cui composizione viene descritta approfonditamente nel libro La cucina futurista di Marinetti e Fillìa, rappresentava per i futuristi “il nutrimento adatto ad una vita sempre più aerea e veloce”, in attesa che dalla chimica arrivasse “il compimento di un preciso dovere”, ovvero di dare al corpo umano le calorie necessarie attraverso “equivalenti nutritivi in polvere o in pillole”, fino a quel fatidico giorno in cui si sarebbe potuto realizzare il “pranzo perfetto, che esige un’armonia originale della tavola con i sapori e i colori delle vivande e l’originalità assoluta delle vivande stesse. Nonostante queste ambiziose premesse, i partecipanti ed i critici dell’epoca non furono affatto entusiasti della cena. La pioggia di recensioni negative e le difficoltà economiche fecero chiudere il Santopalato pochi anni dopo la sua inaugurazione.

 

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A spegnere la luce su questa esperienza contribuì anche il sempre più concreto impegno politico del futurismo, esperienza singolare nella storia delle avanguardie: questa deviazione dal cammino dell’arte, perseguita per opportunismo o ingenuità, trascinò il movimento verso dei canoni lontani dalla sua natura estetica. Tutto ciò che rimase fu originalità del futurismo, derivante dal suo radicale rifiuto del passato nella sua interezza, e il suo obiettivo di trasformare l’essenza stessa dell’essere umano, proiettandolo in una nuova epoca anche tra i fornelli.

LE LETTURE CONSIGLIATE:

  • M.De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, 2014
  • E. Gentile, La nostra sfida alle stelle – Futuristi in politica, Laterza, 2009
  • E. Gentile, 1908. Firenze capitale delle avanguardie, Laterza, 2013
  • F.T.Marinetti, Fillìa, La cucina futurista, Tozzuolo, 2017
  • F.Mosso, Santopalato GNAM!, in “Il Bestiario” (Anno II, numero 4)
  • G. Papini, Lettres Italiennes (Le Futurisme – Ses origines – ‘Poesia’ – Les poètes futuristes – ‘Lacerba’ – Les mots en liberté et le lyrisme synthétique), in «Mercure de France» (1914, numero 399)
  • Dal Brodo solare al pollo d’acciaio – Marinetti alle prese con il cibo futurista in “La Stampa” (10 marzo 1931)