Trieste e l’antisemitismo fascista: la città, le polemiche e il discorso di Mussolini

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Paolo Felluga, Trieste –

 

«Nei riguardi della politica interna il problema di scottante attualità è quello razziale. Anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie. […] Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito a imitazioni o peggio a suggestioni, sono dei poveri deficienti ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà».

 

Con queste parole, il 18 settembre 1938, dalla piazza centrale di Trieste, Mussolini rivendicava l’autonomia del percorso che condusse il regime fascista alla discriminazione antiebraica: la città non venne scelta casualmente. Qui, infatti, già nel 1920 cominciarono gli attacchi delle camicie nere alla minoranza “alloglotta”- termine che indicava l’uso di una lingua diversa da quella italiana -, che culminarono il 13 luglio con l’incendio del Narodni Dom, la sede culturale della minoranza slava. Trieste, tuttavia, venne scelta anche per un altro importante motivo. All’epoca la città era il terzo centro italiano per numero di residenti ebrei, che erano inoltre ben integrati nella vita economica e sociale della città.

Infatti, sin dalla fondazione del porto franco da parte dell’imperatore Carlo VI e lungo tutto il Settecento, le comunità religiose minoritarie di Trieste riuscirono a ottenere numerosi privilegi dalla Corona asburgica. A Trieste la comunità ebraica godette di diritti sconosciuti in gran parte del resto d’Europa: alcune famiglie ebraiche triestine svilupparono una certa capacità imprenditoriale, fondando e dirigendo piccole attività, spesso legate al porto. I più capaci in questa cerchia di imprenditori riuscirono a crescere fino a possedere grandi ed importanti imprese e si integrarono nella vita economica e culturale della città.

 

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Il ghetto di Trieste

 

Nell’Ottocento alcune famiglie ebraiche si inserirono nella camera di commercio cittadina e fondarono, anche grazie alla cooperazione con esponenti della comunità greco-orientale di Trieste, alcune importanti imprese assicurative, come la Riunione Adriatica di Sicurtà e le Assicurazioni Generali. Grandi compagnie e aziende vennero immatricolate come “ditte miste” poiché avevano nel consiglio d’amministrazione elementi cattolici e ebraici, che cooperavano in ambito economico per la crescita e il benessere di porto e città. Inoltre, si registrarono numerosi matrimoni che unirono famiglie di origine ebraica a quelle cattoliche o di altre minoranze presenti nella città.

Gli ebrei furono attivi anche nella vita politica e sociale di Trieste, impegnandosi in attività filantropiche e di soccorso. Molti degli ebrei di successo vennero ripagati dalla Corona asburgica con titoli nobiliari e onorificenze, completando un processo di emancipazione inseguito a lungo. Come risultato dell’integrazione, numerosissimi ebrei si allontanarono dalla tradizionale identità ebraica e si impegnarono nella vita politica della città sia nei partiti filoitaliani sia in quelli lealisti. Anche nella Prima guerra mondiale alcune famiglie si schierarono con l’Austria mentre altre sposarono la causa italiana, dimostrando inequivocabilmente quanto gli ebrei fossero ormai inseriti nel tessuto sociale della città, della quale seguivano appassionatamente le vicende politiche.

Negli anni Trenta del Novecento la comunità era dunque molto ben integrata nella società locale maggioritaria, con la quale spesso i componenti della minoranza ebraica si identificano. Inoltre, i rapporti con il fascismo erano fino a quel momento basati sul reciproco rispetto. Nonostante quest’apparente complicità, la normativa antiebraica fascista non fu un’invenzione dell’estate del 1938. Già negli anni precedenti l’argomento del “problema ebraico”, molto popolare in alcuni strati della società italiana sin da fine Ottocento, era stato portato sulla scena nazionale dagli ambienti antisemiti del regime fascista.

 

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L’Hotel Balkan, sede del Narodni Dom, incendiato dai fascisti nel luglio 1920

 

All’inizio del 1938, mentre gli organi ufficiali del regime smentivano sistematicamente le voci di una presa di posizione fascista in senso antisemita (Informazione diplomatica n. 14, febbraio 1938), il razzismo antiebraico si sviluppava in diversi focolai e trovava spazio in piccoli giornali fiancheggiatori, come Il Regime Fascista di Cremona, fondato e diretto dall’ex segretario del PNF Roberto Farinacci. In poco tempo, anche i grandi giornali con tiratura nazionale si interessarono all’argomento e, nel 1937, le inchieste e gli approfondimenti sul problema ebraico erano ormai dibattuti quotidianamente. Così, nel luglio 1938, anche Il Corriere della Sera, pur non ricorrendo a temi volgari come era d’uso in molti giornali provinciali, auspicava la rapida soluzione del problema ebraico e affermava, sulla scorta del “Manifesto degli scienziati razzisti”:

 

è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti”.

 

Nell’ambito della polemica antiebraica, una particolare importanza prese il caso di Trieste. Alcuni articoli infuocatamente antisemiti di Roberto Farinacci apparsi sul suo giornale indicavano in Trieste la capitale del giudaismo internazionale. Il ras di Cremona poneva la lotta all’ebraismo al centro della politica interna e auspicava la cacciata degli ebrei da tutti i posti di lavoro di rilievo. A questi articoli rispose Rino Alessi dalle pagine del quotidiano locale di Trieste, Il Piccolo. Egli si poneva contro la visione biologica del problema ebraico, proponendo invece un antisemitismo più morbido, che fosse capace di giudicare ogni caso in maniera diversa. Le risposte di Rino Alessi scatenarono l’indignazione di molti celebri antisemiti, come Giovanni Preziosi, e portarono al centro dell’attenzione nazionale il caso triestino.

 

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Roberto Farinacci nel 1943

 

 

In poco tempo la città di Trieste venne presentata in molti fogli di giornale come la “città più giudaizzata d’Italia”, nella quale gli ebrei occupavano posizioni di prestigio e regnavano in ogni ambito professionale. Il problema di Trieste venne preso in considerazione anche nel libro antisemita e antisionista di Piero Pellicano, Ecco il diavolo, Israele!, nel quale gli era dedicato un intero capitolo, intitolato “Il problema ebraico visto da Trieste”. Pellicano e Preziosi attaccavano il direttore de Il Piccolo e il giornale, accusandoli di essere asserviti al ricco potentato giudaico della città. Le accuse impaurirono Alessi che rispose con una certa prudenza negli articoli successivi e abbandonò, di fatto, la difesa della comunità dagli attacchi antisemiti. Dall’agosto del 1938 il giornale triestino si uniformò alla propaganda antiebraica nazionale.

Il 5 agosto 1938 venne pubblicato il primo documento ufficiale del regime in cui si ammetteva l’intenzione di discriminare e perseguitare gli ebrei in Italia. Si trattava dell’informazione diplomatica n. 18, nella quale si parlava della “catastrofica piaga del meticciato” e si anticipava l’introduzione di leggi discriminatorie che avrebbero reso “la partecipazione degli ebrei alla vita globale dello Stato” adeguata al rapporto di uno su mille, corrispondente alla presenza ebraica sulla popolazione totale (gli ebrei erano infatti 44 mila su 40 milioni di italiani). Nel novembre 1938 le leggi discriminatorie vennero applicate sul territorio nazionale, anticipate dalle misure contro gli ebrei stranieri e sulla “difesa della razza” nelle scuole.

 

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La prima pagina del Piccolo di Trieste dell’11 novembre 1938, con l’annuncio della promulgazione delle leggi razziali

 

A Trieste la persecuzione fu più accurata e intransigente rispetto al resto d’Italia, dove era più semplice aggirare la normativa attraverso la corruzione o l’aiuto di prestanomi di amici non ebrei. Innanzitutto, vennero ripulite le amministrazioni pubbliche e i servizi dello Stato. Poi, furono cacciati tutti gli ebrei dalle grandi compagnie assicurative, Generali e Riunione Adriatica di Sicurità. Le aziende che superavano un certo numero di dipendenti o di immobili dovettero essere epurate. Si crearono numerosissimi apolidi a causa della revoca della cittadinanza a tutti quelli che l’avevano ottenuta dopo il 1919. Come ha notato Silvia Bon, la maggiore attenzione data al caso di Trieste non era dovuta solamente alla celebrità raggiunta nei due anni di propaganda, ma rispondeva anche a precisi interessi personali e alle ambizioni economiche di alcuni gerarchi, che guardavano con invidia ai posti di lavoro rilevanti occupati da ebrei.

La vicenda della persecuzione fascista della comunità ebraica di Trieste è importante perché approfondisce la natura della discriminazione antiebraica in Italia, con la quale la memoria pubblica fatica a fare i conti. L’antisemitismo italiano non nacque come copia di quello tedesco, ma venne considerato un passaggio necessario per il trionfo del neonato impero fascista e per la consacrazione del nuovo popolo italiano, nato con la rivoluzione del 1922. Infine, nonostante esso si basasse sulle teorie pseudo-scientifiche del razzismo biologico, non rispondeva a una missione messianica e universale, come il folle fanatismo nazista, ma teneva conto di precisi interessi personali e politici. Non per questo fu meno crudele.

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