“Lo stampatore di Venezia”: la grandiosa e tormentata impresa di Aldo Manuzio

Sara Cavatton, Verona –

 

“Aldo era stato il primo stampatore a delineare e seguire un progetto letterario. Colui che aveva smesso di interessarsi alla macchina per spostare la sua attenzione su cosa invece produceva la macchina. Era riuscito a dimostrare che la stampa non era una cosa per tecnici, bensì per uomini di lettere. Che la cosa importante era il testo e la sua lettura, non i processi di fabbricazione.”

 

All’interno del vasto e variegato insieme di studi e approfondimenti dedicati alla straordinaria figura di Aldo Manuzio – accresciuto in maniera consistente dal 2015 in occasione delle celebrazioni per il quinto centenario della sua morte – si è aggiunto recentemente il romanzo storico Lo stampatore di Venezia, scritto dall’editor e filologo Javier Azpeitia e pubblicato da Guanda. Grazie alla traduzione dallo spagnolo di Pino Cacucci giunge in questo modo anche in Italia una nuova opera riguardante la celebre figura aldina.

 

 

Come è noto, nei primi sviluppi della storia della parola stampata nessun altro luogo ha detenuto tanto a lungo e a ragione il titolo di “capitale del libro” quanto la città di Venezia.

Tra tutti i suoi abitanti vi erano professionisti di ogni genere, ma furono soprattutto umanisti, tipografi, stampatori, editori e librai che s’impegnarono a diffondere significative idee culturali e letterarie. Fondamentale risultò l’impulso dato proprio da Aldo Manuzio.

Azpeitia conferma in questo romanzo, molto letterario e spesso fantasioso, l’arrivo in laguna dell’umanista attorno al 1489. La meta è ben chiara: la stamperia della Torre a San Paternian, il cui titolare è il cinico e affermato Andrea Torresani. Aldo vi approda con speranza e buoni propositi: ha infatti in mente un preciso piano editoriale, “una missione […] era venuto a Venezia per allestire una stamperia allo scopo di diffondere nel mondo i libri più importanti, che erano, glielo doveva confessare, proprio i meno conosciuti”.

In origine precettore privato dei principi di Carpi ed esperto umanista, di lì a pochi anni Aldo diverrà anche editore all’interno della società tipografica voluta da Torresani e sostenuta dai capitali di Pier Francesco Barbarigo.

I primi anni lo vedono impegnato nella produzione dei classici in lingua greca, senza più apparati di note, ma filologicamente curati e in formato ridotto; successivamente si apre al latino e anche al volgare – si ricordi a tal proposito l’Hypnerotomachia Poliphili del 1499, ovvero la migliore opera illustrata del momento, ma pure la più enigmatica di sempre.

 

 

 

In riferimento a queste produzioni editoriali Azpeitia decide di attribuire scelte e direttive aziendali in larga parte al Torresani, e di proporre come autore del Polifilo il filosofo-umanista e caro amico di Aldo, Giovanni Pico della Mirandola, quando generalmente la paternità dell’opera risulta data dagli storici a Francesco Colonna.

I meriti del romanzo stanno in ogni caso nel tenere sempre presenti fonti e studi (facilmente identificabili dal lettore conoscitore delle tematiche affrontate) che hanno testimoniato nei secoli l’impresa aldina, servendosene nella ricostruzione precisa e dettagliata del contesto storico-culturale.

Il risultato è una storia romanzata, affascinante e ben costruita, ricca di personaggi e di azioni memorabili, ambientata tra Venezia e Novi di Modena – il “rifugio” aldino con cui si apre la narrazione. Lo stampatore di Venezia pone in primo piano – attraverso uno stile chiaro e di qualità, l’alternanza dei capitoli dedicati ai diversi protagonisti e la riproduzione di incisioni dal gusto umanistico – gli aspetti più intimi e passionali di Manuzio, soffermandosi sul suo fermo epicureismo e sulla sua assoluta devozione per la cultura classica.

Riserva poi molto spazio alle difficoltà e ai problemi da lui incontrati nel corso degli anni veneziani: su tutto prevalgono, però, le imposizioni commerciali e i comportamenti sfrontati di Andrea Torresani, sia negli affari sia nella vita privata – tanto che spesso il lettore si chiede chi sia effettivamente “lo stampatore di Venezia” evocato dal titolo.

 

 

Dalle pagine dell’opera ne esce un Aldo pressato, frustrato e messo a dura prova non solo da ammiratori e clienti, ma soprattutto dalle decisioni del socio, poi anche suocero: quando ne sposa in tarda età la giovanissima figlia Maria egli lo fa con riluttanza ma con stringente necessità per non vedere sfumati i propri progetti editoriali.

Dovrà in qualche modo venire a patti con tale decisione e accettare la convivenza con la giovane e ben istruita ragazza. Azpeitia le dona molto spazio e le attribuisce tanta inventiva riguardo alle scelte editoriali della stamperia, pur non avendo riscontri reali nella documentazione storica, dal momento che di Maria ci è giunto solo il nome.

 

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È in ogni caso un pregio del libro quello di mettere in luce personalità e azioni di una donna di prima età moderna, consacrata non soltanto alla famiglia e alla casa – come decretava la precettistica dell’epoca – ma immersa anche in un mondo di letture e di testi stampati.

Inevitabilmente la narrazione si conclude con la morte del grande Aldo Pio Manuzio Romano, circondato dall’affetto di parenti e amici, ma soprattutto dai molti libri usciti dalla sua bottega all’insegna dell’ancora e del delfino. Lascerà un segno indelebile nella Storia:

 

“[…] aveva aperto per gli uomini saggi la rotta del libro, una nuova via, l’unica possibile. E quanti peregrinavano su quel cammino si sarebbero diretti verso la conoscenza e la felicità che produce la sapienza.”

 

LE LETTURE CONSIGLIATE:

Le incisioni sono tratte da EDIT 16, il censimento nazionale delle cinquecentine italiane: http://edit16.iccu.sbn.it/web_iccu/ihome.htm