I guerrieri micenei: l’arte della guerra nella Grecia della tarda età del bronzo

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Lorenzo Domenis, Verona –

Tra le fiorenti civiltà che sorsero nel bacino del Mar Mediterraneo durante l’Età del Bronzo, i Micenei si distinsero per la fama di grandi navigatori e di valorosi soldatianto da diventare mercenari piuttosto richiesti nonché temuti pirati.
Ma come combattevano i Micenei? Come erano equipaggiati i soldati di Micene, Pilo, Tirinto e delle altre città-fortezze della Grecia pre-classica?

Diversamente dalle realtà mesopotamiche dove, per ricostruire la struttura militare dei vari regni, si può beneficiare dei ricchi archivi amministrativi e delle relative tavolette d’argille, nel caso del mondo miceneo disponiamo solo di scarni dati relativi a forniture di armi e carri da guerra. Dobbiamo, pertanto, integrare le informazioni con altre fonti, quali le iconografie pittoriche e lo studio dei corredi funerari pertinenti a sepolture di guerrieri e di membri dell’aristocrazia.

 

 

Gli inventari di Cnosso (Creta), Pilo e Tirinto ci informano che i palazzi erano dotati di officine e forge nelle quali si costruivano e riparavano carri da guerra. Questi mezzi di trasporto presentano una struttura lignea, con ruote a raggio in salice o cipresso protette da giunture metalliche, il tutto completato da inserti in avorio, pelli e osso d’animale.

Considerate le condizioni accidentate del terreno della penisola greca, la struttura poco resistente del carro nonché l’assenza di sistemi di protezione per i cavalli e l’auriga, è praticamente certo che queste unità mobili fossero impiegate in battaglia non come elemento di sfondamento per cariche frontali, alla maniera dei carri da guerra degli Ittiti, ma più probabilmente come mezzo di trasporto, come viene tramandato anche nell’Iliade di Omero.

Il nerbo del tipico esercito miceneo non erano i carri bensì la fanteria, come si ricava dalle iconografie su affreschi e su oggetti mobili. L’evidenza archeologica suggerisce la ricostruzione di due differenti tipologie di soldati appiedati: la prima categoria comprende una fanteria leggera munita di armi offensive (due lance, una spada e un pugnale di bronzo) e difensive, come l’elmo e lo scudo rettangolare.

La testa era protetta da un elmo di cuoio (ko-ru) rivestito da placchette ettangolari ricavate da zanne di cinghiale. Questo copricapo trova spazio nell’Iliade (Il, X, 261-265) dove Omero descrive un elmo con inserti d’ossi di cinghiale. Questo elmo così particolare affonda le proprie radici negli albori della storia della penisola ellenica come testimoniato da diversi ritrovamenti archeologici.

 

 

Per quanto riguarda gli scudi, le fonti illustrative e decorative ritrovate in diverse tombe, ci testimoniano come ne esistessero di due tipologie: una varietà rettangolare, detta “a torre”, e una bilobata noto come il nome di “scudo a otto” per via della tipica forma che ricorda proprio il numero.

La prima foggia è la più antica e si trova riprodotta nell’affresco della “Casa dell’Ammiraglio” a Thera (Santorini in Grecia), dove lo scudo rettangolare viene portato da un gruppo di guerrieri micenei o elladici. La varietà a otto deriva invece dai contatti con il popolo minoico di Creta; secondo alcuni la variante a otto potrebbe essere stato più un oggetto cerimoniale che un vero equipaggiamento da battaglia ma non vi sono elementi sufficienti né per confutare né per confermare questa ipotesi.

Nell’Iliade troviamo menzione di uno scudo a torre particolarmente pesante usato dal massiccio guerriero acheo Aiace Telamonio, il quale ne imbracciava uno composto da otto strati di cuoio e di bronzo che garantiva una protezione incredibile. Al di là della forza quasi sovrumana richiesta da Aiace per imbracciare un simile oggetto, Omero ci testimonia come gli scudi micenei fossero realizzati sia con il cuoio sia con il bronzo per garantire una maggiore protezione ai fanti, soprattutto a quelli di nobili natali.

Proprio i membri dell’aristocrazia costituivano il secondo gruppo di guerrieri ossia la fanteria “pesante”, che si differenzia dalla prima per l’impiego di corazze di metallo. Il più noto esempio di corazza pesante micenea deriva dall’esemplare ritrovato presso Dendra, in Argolide, che ci fornisce un’importante testimonianza di come fosse realizzata un’armatura difensiva pesante, con annessa corazza e protezione per il collo che copriva anche la parte inferiore del viso.

 

 

A Micene è stata invece rinvenuta una guina atta a proteggere la mano sinistra, ossia quella non protetta dallo scudo, quindi più vulnerabile. Questa guaina, così come il resto della panoplia, era forgiata in bronzo. Le tavolette di Tirinto riportano il termine to-ra-ka (corazza), mentre nei testi di Pilo e di Cnosso troviamo la parola o-pa-wo-ta (letteralmente “cose che stanno attaccate”) che potrebbero essere interpretati come corazze del tipo a squame, formati da una sorta di cotta metallica che richiama quella in uso presso gli eserciti di Siria ed Egitto nel corso della tarda Età del Bronzo.

Non abbiamo elementi per ricostruire con certezza il sistema di selezione e composizione delle due categorie di truppe appiedate, ma è assai verosimile che la fanteria pesante, per il particolare sistema di combattimento, includesse personaggi della nobiltà militare – come già accennato in precedenza – come testimonia la sepoltura del guerriero di Dendra che fu deposto in una tomba a camera monumentale.

Considerato l’eccessivo peso dell’armatura (circa 25 kg quella di Dendra) e la difficoltà nei movimenti, non andrebbe escluso che questa fanteria pesante si muovesse, sul campo di battaglia, proprio su carri da guerra e che tali armature, estese soprattutto nella parte superiore del corpo, fossero funzionali a proteggere il sodato da dardi e frecce più che a parare i colpi diretti di una spada.

Tra le unità di fanteria non possono mancare i tiratori ossia frombolieri e arcieri (to-ko-sta) che, a giudicare dall’assenza totale di corazze protettive e altri elementi tipici del resto dei soldati micenei, potrebbero essere state relegate a un ruolo di mero supporto alla fanteria. Questo fatto costituisce una netta differenza rispetto al mondo asiatico dove l’uso dell’arco, e delle armi da getto in generale, veniva tenuto in grandissima considerazione come nel caso della nobiltà ittita.

 

 

Nell’Iliade è possibile rintracciare una eco di questa tradizione nel modo in cui il principe troiano (asiatico) Paride uccide il grande campione acheo Achille usando proprio un arco, strumento tipico di un’ars bellica diversa da quella elladica e micenea. Ad ogni modo, è piuttosto probabile che anche gli aristocratici micenei imparassero a tirare con l’arco sin da giovanissimi.

Come abbiamo accennato all’inizio, i Micenei divennero piuttosto richiesti come mercenari nel Vicino Oriente e nell’Egitto faraonico. Allo stesso modo, anche i Micenei reclutavano corpi di mercenari per i propri eserciti. Il ritrovamento di spade lunghe da fendente tipiche dell’Europa centro-orientale ha suggerito che un gruppo di proto-celti avesse combattuto nelle fila di un esercito miceneo. La più famosa fonte iconografica riguardante l’uso di milizie straniere proviene dal palazzo di Cnosso.

Si tratta dall’affresco denominato “il Capitano dei Negri” dove è riprodotto un guerriero dalla carnagione chiara alla testa di un gruppo di fanti neri che, per il caratteristico piumaggio sulla capigliatura, potrebbero essere identificati come proveniente dall’antica regione africana della Nubia.

La tradizione guerriera del mondo miceneo vive ancora oggi nella cultura occidentale grazie all’epica omerica e alle imprese dei grandi eroi che continuano ad affascinarci.
Al di là della dimensione letteraria, la civiltà micenea fu realmente dedita all’arte bellica, tratto che contraddistinguerà le genti elleniche fino alla conquista romana.

 

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