Il caso Pasternak: come il Dottor Zivago sfidò la censura sovietica

boris pasternak, dottor zivago, storia della russia, letteratura russa, storia contemporanea, giangiacomo feltrinelli, feltrinelli, storia dela letteratura, comunismo, unione sovietica

Jacopo Bernardini, Torino –

Rievocando gli anni della sua infanzia, il poeta e scrittore russo Boris Pasternak, nella sua autobiografia, ricorda come a quattro anni, sostenuto dal tenero abbraccio materno, dal balcone della sua casa a Mosca poteva assistere alla traslazione delle spoglie dell’imperatore Alessandro III:

 

«Un interminabile corteo, le truppe, il clero, i cavalli con gualdrappe e pennacchi neri»

 

Era il 1894: oltre trent’anni più tardi, il 14 aprile 1930, il poeta russo Vladimir Majakovskij, si toglieva la vita con un colpo di pistola diretto al cuore. Trent’anni alla Russia erano bastati per cambiare ogni cosa: l’Impero aveva lasciato spazio alle rivoluzioni del Febbraio e dell’Ottobre, alla costruzione di uno Stato incarnazione di un ideale e alla sua rapida degenerazione, ben rappresentata, secondo Pasternak, dal gesto estremo di uno dei massimi esponenti artistici della rivoluzione bolscevica.

 

«Oh, s’io avessi allora presagito,
quando mi avventuravo nel debutto,
che le righe con il sangue uccidono,
mi affluiranno alla gola e mi uccideranno.
Mi sarei nettamente rifiutato
di scherzare con siffatto intrigo.
Il principio fu così lontano,

così timido il primo interesse
Ma la vecchiezza è una Roma
senza burle e senza ciance
che non prove esige dall’attore
ma una completa autentica rovina»

 

In tale componimento (In morte di Majakovskij), Boris Pasternak già esprimeva quella peculiare tensione artistica di chi malvolentieri si pone al servizio di qualsivoglia regime. Lo “sparo”, il suicidio di Majakovskij, fu per il poeta russo “come un’Etna in un pianoro di codardi e di codarde”. Majakovskij fu, per Pasternak, l’unico degno rappresentante dello spirito della Rivoluzione d’Ottobre; tutti gli altri erano “gli indigeni di un’epoca passata”, traditori dell’iniziale purezza rivoluzionaria.

 

boris pasternak, dottor zivago, storia della russia, letteratura russa, storia contemporanea, giangiacomo feltrinelli, feltrinelli, storia dela letteratura, comunismo, unione sovietica

Pasternak ventenne

 

Cresciuto in una famiglia di intellettuali di origine ebraica, Pasternak si avvicinò alla poesia durante l’adolescenza, esordendo con una raccolta a soli 24 anni. Il suo esordio venne considerato dalla critica dell’epoca, dal punto di vista stilistico, come “decadente e reazionario”, e ben presto l’autore si distaccò, oltre che dal realismo socialista che caratterizzava – all’indomani del 1917 – ogni produzione artistica russa, dalle scelte politiche sovietiche, venendo risparmiato da Stalin solo grazie alle traduzioni russe di poeti georgiani, molto cari a quest’ultimo.

La letteratura nazionale che si era imposta in URSS aveva l’arduo compito di supportare la propaganda del regime. Leggi molto precise regolavano scrittori ed opere letterarie: nessuno scrittore poteva esportare romanzi o scritti senza autorizzazione preventiva, pena la prigione o l’esilio. Spiragli sembrarono aprirsi nel periodo post-staliniano, definito “del disgelo”, ben rappresentato da Nikita Chruščëv e dal complesso delle misure che parte dei più alti vertici sovietici ritennero indispensabili per dare uno stimolo alla crescita del Paese.

Tuttavia, nel giugno 1956, in Polonia cinquantamila operai manifestarono per le strade di Poznan contro l’oppressione e la fame, subendo l’ira repressiva poliziesca. L’inasprimento del dissenso all’interno dei vertici sovietici in seguito a questi fatti portò l’ala innovatrice del Partito ad una precoce correzione di rotta. In via ufficiale, per il caso polacco, Mosca attribuì l’accaduto agli errori dei dirigenti di Varsavia. Per l’Ungheria, invece, dopo la rivolta a Budapest del 23 ottobre, si scelse la strada del “complotto fascista”, in modo da far passare per un evento eccezionale l’intervento dei carri armati sovietici.

Nel frattempo, in Italia, muoveva i suoi primi passi nel mondo dell’editoria l’intellettuale milanese Giangiacomo Feltrinelli, rampollo di una delle più ricche famiglie italiane: nel 1954 egli decise di aprire una propria casa editrice, con l’intento di favorire una maggiore sprovincializzazione della cultura italiana. Essere pionieri significava anche fare scelte di rottura e fu per questo motivo che Feltrinelli cercò fin da subito un colpo grosso, fondamentale per lanciarsi nel mondo editoriale.

 

boris pasternak, dottor zivago, storia della russia, letteratura russa, storia contemporanea, giangiacomo feltrinelli, feltrinelli, storia dela letteratura, comunismo, unione sovietica

Giangiacomo Feltrinelli

 

Come raccontato dallo stesso Feltrinelli in un articolo del “Sunday Times” del 31 maggio 1970, una ghiotta opportunità sembrò profilarsi nel 1955, quando il viterbese Sergio D’Angelo, direttore della casa editrice Rinascita oltre che inviato, per conto del PCI, nella redazione di Radio Mosca (programma di trasmissioni radiofoniche italo-sovietiche) si propose come talent scout in URSS per la neonata casa editrice.

 

“Dopo qualche mese (nel maggio del 1956, ndr) D’Angelo mi informò che uno stupefacente romanzo di un poeta russo, Boris Pasternak, stava per essere pubblicato nell’Unione Sovietica”.

 

Il giornalista viterbese aveva infatti scorto, mentre curava un notiziario culturale, l’annuncio della probabile pubblicazione del Dottor Živago.

Fiutando l’ottima occasione, il 20 maggio D’Angelo riuscì ad incontrare lo scrittore russo nella sua casa a Peredèlkino, situata 25 chilometri a sud di Mosca. Durante il loro colloquio, riportato dallo stesso D’Angelo nel suo libro Il caso Pasternak, il poeta russo affermò che il suo romanzo non poteva essere pubblicato nell’Unione Sovietica, nonostante la notizia trapelata dalla Radio, poiché non “quadra con le regole della cultura ufficiale”: da oltre un anno l’autore attendeva, invano, qualsiasi risposta delle autorità sovietiche.

 

boris pasternak, dottor zivago, storia della russia, letteratura russa, storia contemporanea, giangiacomo feltrinelli, feltrinelli, storia dela letteratura, comunismo, unione sovietica

Sergio D’Angelo a Mosca nel 1956

 

Compresa la situazione, D’Angelo propose allora di pubblicare il romanzo in Italia, sfruttando il suo prossimo rientro a Berlino per regolarizzare il passaporto: in questo modo egli avrebbe consegnato il manoscritto direttamente nelle mani di Giangiacomo Feltrinelli, che sarebbe giunto da Milano per l’occasione. Nonostante la tenace volontà di permettere al suo romanzo di “fare il giro del mondo”, congedandosi dal giornalista italiano Pasternak affermò:

 

“Voi siete sin d’ora invitato alla mia fucilazione”

 

La situazione si complicò notevolmente quando, il 24 agosto, il generale Ivan Serov, presidente del KGB, inviò una nota ai vertici del Pcus per informarli che Pasternàk aveva trasmesso il manoscritto del suo romanzo all’editore italiano Feltrinelli. Quasi immediatamente seguì la secca stroncatura del romanzo da parte della Sezione cultura del Comitato Centrale del PCUS.

 

«Il romanzo di B. Pasternàk è una perfida calunnia contro la nostra rivoluzione e contro tutta la nostra vita. È un’opera non solo idealmente insana, ma anche antisovietica, che indubbiamente non può essere data alle stampe»

 

Diversi esponenti della cultura ufficiale vennero incontrati da Pasternak nel tentativo di scongiurare eventuali rappresaglie: grazie a ciò egli riuscì ad ottenere da Anatoli Kotov, direttore della casa editrice Goslitizdàt, un possibile contratto per la pubblicazione del romanzo in territorio sovietico, naturalmente dopo aver eseguito gli opportuni tagli e aggiustamenti previsti dalle autorità. Pasternak non sollevò alcuna obiezione, in modo da evitare di attirare ulteriormente su di sé altre ostilità. Venne preparata così una bozza di telegramma in cui lo scrittore russo invitava Feltrinelli a restituire il manoscritto del romanzo. Il telegramma, preparato direttamente dalla Goslitizdàt e firmato dallo scrittore, venne inoltrato il 13 febbraio, ma non ricevette alcuna risposta per quasi quattro mesi.

Per comprendere le motivazioni legate a questo ritardo è necessario analizzare un altro messaggio, mai arrivato alle autorità sovietiche e scritto su una cartina per sigarette dallo stesso Pasternak. Diretto a Feltrinelli, il messaggio recitava:

 

«Se riceverete mai una lettera in altra lingua che non sia il francese, non dovrete in alcun modo eseguire ciò che vi sarà domandato – le sole lettere valide saranno quelle scritte in francese»

 

Il telegramma che arrivò a Milano il 13 febbraio 1957 evidentemente non era scritto in francese.

 

«Non riesco a trovare parole sufficienti per esprimerle la mia riconoscenza. Il futuro ci ricompenserà, lei e me, delle vergognose umiliazioni che ci hanno inflitto. Oh, come sono felice che […] non siate stati ingannati da questi idioti e rozzi appelli corredati delle mie firme, firme quasi false e bugiarde perché strappatemi con il raggiro e la violenza… Presto appariranno Zhivago italiani, francesi, inglesi, tedeschi e forse, un bellissimo giorno, Zhivago geograficamente lontani, ma Zhivago russi!!»

 

 

boris pasternak, dottor zivago, storia della russia, letteratura russa, storia contemporanea, giangiacomo feltrinelli, feltrinelli, storia dela letteratura, comunismo, unione sovietica

La locandina del film americano che rese il romanzo popolarissimo in tutto il mondo

 

Così Pasternak si rivolse a Feltrinelli, come riportato dallo stesso D’Angelo, poco prima della pubblicazione del dottor Živago in Italia, in prima mondiale, il 23 novembre del 1957. Nonostante il fulmineo successo commerciale, il libro continuò ad essere snobbato in patria, e la situazione per il suo autore divenne incandescente quando trapelò una sua possibile candidatura per il premio Nobel. Le autorità sovietiche si mobilitarono come poterono per impedire la vittoria dello scrittore, ma senza riuscire nel loro intento: nell’ottobre del 1958 il Nobel per la letteratura andò proprio a Pasternak. Il PCUS “invitò” l’autore a rifiutare il premio, mettendo sul tavolo una possibile espulsione dal Paese. Durante un’adunata, alla presenza di Krusciov, lo scrittore venne definito “un maiale che insozza il proprio trogolo”. Non potendo attingere dai proventi della vendita del dottor Živago, Pasternak vide le sue finanze assottigliarsi drasticamente, fino ad arrivare alla totale indigenza. Egli morì a causa di un arresto cardiaco il 30 maggio del 1960: il suo romanzo poté vedere la luce in Unione Sovietica solo nel 1988.

LE LETTURE CONSIGLIATE:

S. D’Angelo, Il caso Pasternak. Storia della persecuzione di un genio, Milano, Bietti, 2006

C. Feltrinelli, Senior Service, Milano, Feltrinelli, 2014

B. Pasternak, Autobiografia, Milano, Feltrinelli, 2007

A. Gnocchi, La vera storia del romanzo che smascherò l’odio sovietico, in «Il Giornale», 15 agosto 2015 [link consultato il 18/04/2019]

D. Brullo, Ode a Vladimir Majakovskij il megafono della Rivoluzione che voleva far risorgere i morti e fu ucciso da Lenin e da Stalin, in «Pangea. Rivista avventuriera di cultura e idee», 15 ottobre 2018 [link consultato il 18/04/2019]