Diario di un viaggio alla scoperta della “diversità”: Tristi tropici di Claude Levi-Strauss

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Claude Levi-Strauss in Brasile nel 1936

La struttura del testo: uno specchio sui concetti affrontati dall’autore.

Correva l’anno 1955, quando Claude Levi-Strauss dava alla luce Tristi tropici. Un libro che sarebbe diventato un classico della letteratura antropologica. Il testo in teoria non nacque propriamente in questo anno, poiché le pulsioni e gli interessi che portarono alla sua stesura risalgono al 1934, quando Levi-Strauss ricevena telefonata dell’allora direttore della Scuola normale superiore: Celestino Bouglè. Una telefonata che cambiò pesantemente la vita dell’autore portandolo alla cattedra di sociologia di San Paolo. Levi-Strauss partiva così per il Brasile. Emblematiche le parole dell’autore, scritte in principio del libro, a proposito di ciò che stava sviluppando nella sua coscienza con l’idea di muoversi verso il Sud America:

 

Il Brasile e l’America del Sud non significavano gran cosa per me. Tuttavia, rivedo ancora, con la più grande chiarezza, le immagini che questa proposta improvvisa mi fece subito sorgere. I paesi esotici mi apparivano come gli opposti dei nostri; il termine «antipodi» trovava nel mio pensiero un senso più ricco e più ingenuo del suo contenuto letterale… Il Brasile si configurava nella mia immaginazione sotto forma di fasci di palmizi contorti, dissimulanti bizzarre architetture, il tutto intriso di un aroma di bruciaprofumi, particolare olfattivo, questo, che, più d’ogni altra esperienza successiva, spiega come ancora oggi io pensi al Brasile come a un profumo bruciato.”

 

Parole che introducono il lettore all’idea di fondo del testo. Un’idea basata sull’inclinazione etnografica a identificare intellettualmente l’autore con l’individuo-altro, visto come portatore di diversità da conoscere, in parallelo a una pulsione dello stesso ad adattarsi – svestendosi del proprio background culturale – ad un nuovo mondo lontano dalle categorie etnocentriche di un Occidente globalizzante e annullatore di qualsiasi forma di diversità culturale.

Il libro è un diario di viaggio in cui, sotto forma di una memoria dal volto proustiano, viene ricostruito – a distanza di anni dall’ideazione – il trascorso dell’autore nel Sud America, luogo in cui si forma interiormente in Levi-Strauss un sentimento di avversione verso quell’Occidente che lo aveva portato – in maniera anche violenta, dato il periodo storico catastrofico e data la sua discendenza ebraica – ad esplorare nuove dimensioni geografiche e culturali. Il testo è strutturato secondo una partizione che prevede l’insieme delle esperienze vissute nel momento in cui vi fu l’incontro con il nuovo mondo. Esperienze testimoniate dalla descrizione accurata dei paesaggi, delle architetture e di tutte le complicazioni che un viaggio, volto all’esplorazione diretta, possa comportare.

 

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Ma esso non è semplicemente un diario di viaggio aneddotico. Vi sono innestati, all’interno delle numerose descrizioni, tutti i richiami che l’autore fa alla sua formazione teorica e culturale, palesando un percorso che lo portò alla dimensione etnologica degli studi sociali. Ad esempio, l’antropologo dedica delle pagine alla descrizione, nel passaggio all’etnologia, del suo allontanamento razionale e progressivo da quella che lui stesso definisce nel testo “una metafisica da donnette”: una chiara allusione a quegli ambienti filosofici, in cui tra l’altro si formò, le cui speculazioni eccessivamente spiritualistiche risultavano troppo astratte e lontane dalla concretezza delle scienze sociali.

Nella spiegazione del suo allontanamento da questo orizzonte concettuale spiega infatti come vi siano due correnti, la cui metodologia, rientra all’interno di alcune logiche accomunabili al metodo d’indagine che utilizzerà nelle sue ricerche: marxismo e psicanalisi. Due correnti di pensiero che aprivano le porte all’etnologia, un campo che studia l’uomo all’interno del processo dialettico ed identificativo che ingloba e fa coesistere uguaglianze e differenze, una disciplina che sfiora le estremità della storia del mondo in tutte le sue possibili sfaccettature. Quella stessa disciplina e quel metodo di ricerca che lo spinsero fino al Mato Grosso, luogo in cui l’esperienza dell’autore si innestava con il vissuto di quelle popolazioni indigene che diventarono l’oggetto di questo libro: Caduvei, Bororo, Nambikwara e Tupi Kawahib.

 

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La lezione di Tristi Tropici: l’altro e la sua conoscenza.

Levi-Strauss istituisce una differenza tra due tipologie di società: quelle definite come “fredde”, che presentano una struttura sociale immobile, stazionaria, incontaminata, e quelle definite “calde”, più inclini dunque alla mobilità e ai cambiamenti generati dalla storia localizzata in un’ottica progressista dei fatti sociali. L’autore, nel momento in cui entra in contatto con le popolazioni del Mato Grosso, ai confini del mondo civilizzato su paradigmi occidentali, scopre l’immensità identitaria di quegli indigeni primitivi, la cui struttura sociale seguiva una propria razionalità logica e intenzionale. La metodologia utilizzata dall’autore è affine a quella che 30 anni prima, quindi poco prima dell’esperienza fattuale nel Sud America, Bronislaw Malinowski descriveva nel testo che ne fece un etnologo di fama mondiale. Malinowski parla di “osservazione partecipante” tra gli indigeni del Pacifico Occidentale. Spiega come bisogna partecipare attivamente nel processo di indagine, poiché vi è una necessità determinante nel contatto quotidiano e continuo tra studioso e proprio informatore.

In questo, Malinowski fu così innovativo da rappresentare un metodo d’indagine all’avanguardia rivoluzionando metodi d’indagine che fino a poco prima dei suoi studi avevano soltanto basato la ricerca etnografica su interviste strutturate. Su questa scia metodologica segnata dal Malinowski si struttura la stessa indagine di Levi-strauss, il quale, per descrivere come per esempio vi fosse una stratificazione sociale – basata sulla diversità di utilizzi di specifici di disegni sul volto – presso i Bororo, si ritrovò in un contesto in cui era necessario vivere tra gli indigeni, di cui doveva studiarne gli usi e i costumi. L’osservazione partecipante, mista all’analisi strutturale dei fatti sociali, portò, dunque, Levi-Strauss a un’indagine che mise in risalto come un relativismo culturale possa spiegare che non tutto è negativo del paradigma etnocentrico dell’Occidente, poiché ciò che in realtà risulterebbe senza logica è il pensare che vi siano società inferiori e società superiori, come ci insegna lo stesso Levi-Strauss in Razza e storia (1952). Questa è una delle lezioni principali che Tristi tropici vuole dare al mondo. Le società indigene analizzate da Levi-Strauss certamente rientrano nella categoria di società fredde, in quanto – essendo incontaminate da tracce occidentali – di fronte all’autore avevano dato manifestazione di un mantenimento della propria identità autoctona. Quest’ultima è un valore da rispettare e comprendere, senza dover mai trovare spiragli di prevaricazione sull’altro.

 

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Una delle lezioni più importanti che, attraverso questo testo da storicizzare al fine di un ri-utilizzo da contestualizzare nell’ambito odierno, Levi-Strauss ha potuto dare al mondo è basata proprio su questa riflessione che fa sul concetto di “altro-da-sé”. L’altro, il diverso, colui che sta al di fuori della mia identità d’appartenenza, non è un nemico da inglobare e rendere uguale a me, poiché così sarebbe messo in atto implicitamente un paradigma dualistico basato sulla dicotomia esistenziale superiore/inferiore. L’ “altro” – e la conoscenza che se ne fa – diventa un punto di partenza per una visione collettiva dell’esistenza globale, basata sulla coesistenza delle diversità. E’ così che si conclude il testo, con un nostos che richiama Ulisse e l’Odissea e che richiama allo stesso tempo, in un momento in cui nostalgicamente l’autore guarda alle sue spalle il Nuovo Mondo esplorato, una riflessione sulla visione collettivizzata dell’esistenza, basata sul concetto di “noi” e non di “io” individuale. Come dice lo stesso Levi-Strauss, l’individuo non si trova solo in un gruppo e una società non è sola fra le altre, ma bisogna pensare l’uomo come un qualcuno che non è solo nell’universo.

 

Claude Levi-Strauss
Tristi Tropici
Milano, Il Saggiatore, 2013 (ed. or. 1960)
pp. 379