Mattatoio n° 5 o la crociata dei bambini: il bombardamento di Dresda del 1944 raccontato dalla penna di Kurt Vonnegut

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Giulia Roncari, Verona –

Billy Pilgrim non ha niente di speciale. È un uomo come tanti, figlio unico di un barbiere, nato nel 1922 a Ilium, una fittizia cittadina dello stato di New York. Billy era “un bambino dall’aria stramba, che diventò un ragazzo dall’aria stramba: alto e gracile, e fatto come una bottiglia di Coca-Cola”.

Così ci viene presentato all’inizio il protagonista, dopo un primo capitolo puramente introduttivo in cui l’autore ci spiega la finalità del libro. L’intento è raccontare uno degli avvenimenti più tragici e devastanti della Seconda Guerra Mondiale, eppure passato ingiustamente in sordina: il bombardamento di Dresda ad opera degli Alleati, al quale sopravvisse miracolosamente lo stesso Vonnegut nascosto nelle cavità sotterranee di un mattatoio con altri prigionieri.

La vicenda autobiografica, raccontata a partire dalla cattura da parte dei nazisti in seguito all’offensiva tedesca delle Ardenne nella fine del 1944, non è però narrata in prima persona, ma segue le traversie di Billy Pilgrim, una sorta di alter ego, di doppio fantastico e tremendamente umano, a cui  l’autore può affidare i ricordi e il vissuto.

Usare la figura di Billy aiuta Kurt Vonnegut a ristabilire la distanza necessaria per ripercorrere un passato traumatizzante, che può così rivivere attraverso la narrazione in terza persona, proiettata e oggettivata al di fuori del Sé e in alcuni casi trasfigurata. L’intera storia di Billy è riassunta già dal principio in poche pagine che condensano abilmente la sua inusuale e rocambolesca vita.

 

 

Egli non ci viene descritto come un uomo straordinario, ma straordinaria è la sua storia: accanto agli avvenimenti a volte improbabili della sua vita, alcuni fatti suscitano stupore e curiosità, come i frequenti salti temporali che egli sperimenta lungo l’arco della sua esistenza, o il rapimento da parte di piccoli esseri alieni, i tralfamadoriani; accanto a tutto ciò trova spazio con disinvoltura la vicenda strettamente storica del bombardamento di Dresda.

Il registro fantastico e fantascientifico si mescola quindi da subito con quello storico-realistico in una commistione che se a prima vista può apparire straniante ha invece una funzione fondamentale, fin dal principio appannaggio del protagonista: grazie alle continue incursioni del fantastico, ossia la parallela vicenda aliena, la spietata e cruenta realtà dei fatti narrati viene in un certo senso dilatata e mitigata.

L’intreccio, di per sé caleidoscopico e frammentato, viene continuamente interrotto da intervalli narrativi al di fuori di ogni contingenza storica e, se vogliamo, temporale, in cui non a caso trova adito la riflessione filosofica che soggiace all’intera opera.

 

 

Nel dipanarsi della narrazione quindi viene a mancare la linea cronologica e il lettore si trova coinvolto in un susseguirsi di salti temporali, gli stessi che vive Billy nell’evolversi della sua esistenza. L’idea di tempo unidirezionale scompare, a favore di una circolarità che slega il presente dalla concatenazione passato-futuro: ogni attimo semplicemente è, come è sempre stato e sempre sarà.

Non ha quindi senso chiedersi il perché delle circostanze, qualunque esse siano. È una lezione importante appresa da Billy nel suo soggiorno imposto a Tralfamadore, una visione della vita che cambierà in modo radicale il suo approccio al destino e agli innumerevoli suoi accadimenti, in particolare quelli negativi.

Si radica in lui un atteggiamento che gli permetterà di reagire ad ogni avvenimento con assoluto disincanto e fatalismo. “Così va la vita”, ripete quasi ossessivamente, liquidando in tal modo ogni vicenda penosa che lo colpisce.

Billy si sente portatore di una grande verità che riesce a fare propria, ma non a condividere con l’umanità. Ogni suo tentativo non fa che metterlo in ridicolo con l’effetto di destabilizzare la già esasperata figlia che si convince sempre più della follia del padre. Non è un eletto, non è stato scelto da qualche essere superiore per liberare l’umanità dalla caverna buia delle sue convinzioni e riportarla a vedere la luce: è un semplice ottico che aiuta le persone a vedere meglio la consueta e limitata realtà grazie a delle lenti.

Pilgrim non è altro che un uomo comune che con l’aiuto di un matrimonio conveniente e un po’ di fortuna ha ottenuto una degna posizione sociale, nonché una discreta ricchezza e magari qualche momento di vera felicità.

 

 

Pilgrim è anche un uomo sopravvissuto alla guerra, e Vonnegut non manca di narrarla in modo approfondito, non risparmiando dal racconto alcun elemento: la cattura ad opera dei tedeschi, la deportazione al campo di prigionia ammassati in vagoni in condizioni disumane, le fucilazioni, gli stenti, la fame e il freddo.

Non si parla però di imprese epiche, i prigionieri sono uomini semplici, che si ritrovano spaesati e impauriti, vittime di eventi che vanno al di là della loro portata. Sono ingenui, ignari di ciò che significhi una guerra, sono dei bambini mandati al massacro, sia gli americani che i tedeschi.

Tutti questi caratteri formano una compagine imbarazzante e malconcia, non hanno nulla di eroico, nemmeno gli ideali. Lo stesso Billy non suscita simpatia a nessuna delle persone che incontra e forse, in fondo, nemmeno al lettore. Al più si prova tenerezza per il suo incedere dinoccolato dovuto alle scarpe rotte, per il suo aspetto trasognato e continuamente assente, per la goffaggine a tratti amaramente ridicola che lo accompagna nel periodo di prigionia.

A volte riesce a strappare un sorriso, ma non si scivola mai nella comicità, nemmeno quando la grottesca sagoma del protagonista si ritrova a marciare a capo dello scalcinato corteo di prigionieri nel loro ingresso a Dresda, agghindato in seguito a diverse vicissitudini con un drappo turchese, degli scarponi argentati e con il cappotto troppo stretto e strappato avvolto come manicotto attorno alle mani “blu e avorio”.

 

 

Sebbene la magnifica Dresda, ancora intatta, fosse stata paragonata da uno dei prigionieri al fantastico mondo di Oz, Billy è tutt’altro che una graziosa Dorothy che saltella per via lastricata di mattoni gialli con le sue scarpette argentate. Il suo clownesco contrasto non suscita risate, bensì indignazione da parte della folla dei cittadini che non sta affatto assistendo a una parata circense e si sente quindi oltraggiata da quella ridicola farsa.

Ogni cosa è descritta dal narratore con distacco, conta solo la realtà dei fatti. Gli eventi, in particolare quelli storici, sembrano catturati dall’occhio freddo e impersonale di una telecamera che si limita a registrare, come l’occhio di uno scienziato potrebbe annotare le fasi di un esperimento o meglio come l’occhio dei tralfamadoriani fa con Pilgrim.

Gli avvenimenti vengono trasposti sulla pagina senza moralismi o giudizi di alcun genere. Non emerge apertamente nessun intento di denuncia, nessuna giustificazione o condanna, nessuna apologia o propaganda; non traspare alcuna patina di vittimismo o di teatralità, di drammaticità o di stucchevolezza.

 

Una scena del film di George Roy Hill tratto dal libro di Kurt Vonnegut (Mattatoio 5, 1972). Negli ultimi anni Benicio Del Toro si sta impegnando per un remake che uscirà nelle sale nel corso del prossimo anno.

 

Nonostante ciò non si può dire che non sia riuscito nell’intento di portare alla luce un evento spesso trascurato dalla storia che ha provocato in una notte sola più morti dei bombardamenti atomici in Giappone. La città fu letteralmente rasa al suolo e le vittime furono oltre 100.000.

Dal racconto di Kurt Vonnegut ne escono sconfitti gli Alleati: dai vertici, quali fautori di un tale massacro, ai soldati semplici, inetti, deboli e mediocri. Non sfugge nelle righe un sentimento antibellico, di cui il libro è interamente permeato.

Risulta difficile annoverarlo nel genere puramente storico, così come in quello fantascientifico, filosofico o fantastico. Convivono in esso diverse facce che contribuiscono a renderlo unico e originale. Questa caleidoscopica scelta stilistica, oltre a risultare brillante nella composizione, è forse l’unica maniera con cui l’autore poteva confrontarsi con un vissuto di tale portata. Vonnegut riesce a raccontarcelo in una maniera acrobatica e inusuale, proprio come l’incedere di Billy, con la scarpa rotta per la strada e più oltre negli scarti temporali dell’esistenza.

K. Vonnegut,
Mattatoio n. 5: o la crociata dei bambini
Milano, Feltrinelli, 2017
pp. 196.