La Grande Guerra sul lungo piano: Mendes e Sacco a confronto

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Paolo Perantoni – Verona

1917 di Sam Mendes

Ha avuto un buon successo di pubblico e di critica l’atteso film di Sam Mendes, intitolato 1917 e ambientato durante la Grande Guerra (ha vinto tra gli altri premi due Golden Globe per il miglior film drammatico e per il miglior regista oltre che tre Oscar rispettivamente alla fotografia, agli effetti speciali e al miglior sonoro).

Il regista, già apprezzato per i film di 007 Skyfall e Spectre, si è voluto cimentare con un argomento poco trattato cinematograficamente; infatti, rispetto alla Seconda Guerra Mondiale, la Prima ha goduto di pochissima fortuna sul grande schermo: pochi film (il più recente è forse il deludente War Horse di Spielberg) e ancor meno quelli degni di nota, eccezion fatta per Orizzonti di gloria di Kubrick, ma datato 1957.

Mendes sceglie di raccontare una storia piuttosto banale: a due portaordini viene ordinato di portare un importante messaggio a un battaglione che si trova oltre la terra di nessuno. Il tempo è pochissimo e i due devono correre se vogliono salvare 1.600 uomini che rischiano di finire intrappolati, secondo le previsioni dei vertici tedeschi che idearono l’operazione Alberico.

Iniziata il 3 febbraio 1917 l’operazione Alberico fu di fatto una ritirata strategica: i tedeschi arretrarono di parecchi chilometri la linea del fronte originale (denominata Siegfried Stellung) al fine di ripiegare su una linea più sicura e virtualmente inespugnabile (di fatto cadde nel 1918 a seguito dell’offensiva alleata denominata dei Cento giorni).

La Siegfried Stellung fu quindi abbandonata, ma non prima di aver reso inutilizzabile ogni armamento e trincea: i tedeschi fecero quindi terra bruciata, e, laddove poterono, lasciarono trappole esplosive per rallentare e danneggiare il più possibile l’inevitabile avanzata alleata sulle nuove posizioni.

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Il film quindi in questo rispetta la verità storica: plausibile anche la trama sebbene nella realtà il comando alleato non si sarebbe affidato solo a due portaordini, ma ne avrebbe mandati molti di più, oltre a lanciare il messaggio per via aerea.

Ma eccettuato questo punto (e un improbabile plotone misto anglo-indiano) la ricostruzione del fronte è davvero molto fedele e realistica.

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Trincea tedesca

La cura per la ricostruzione delle trincee è davvero degna di nota: non siamo dinnanzi a una semplice buca scavata nella terra e attorniata dal filo spinato, ma a un vero dedalo di camminamenti scavati con rigore metodologico e cura dei dettagli anche nel posizionamento dei reticolati. Storicamente in questo settore le trincee inglesi erano molto diverse da quelle tedesche, in particolare quelle della Siegfried Stellung. I tedeschi avevano lavorato duramente per cinque mesi per costruire questa linea difensiva e l’avevano dotata di complesse e solide strutture in cemento armato. La trincea inglese è invece stretta, disordinata, si direbbe provvisoria, dato che prevale il legno, oltre che il fango; si tratta di un elemento storico che sta emergendo negli ultimi tempi grazie al lavoro degli archeologi, come ha raccontato recentemente il National Geographic.

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Trincea inglese

In effetti anche il fango va raccontato: nel film è stata riprodotta molto bene la stratigrafia del terreno della Francia nordoccidentale e delle Fiandre. Nello scorrere della narrazione esso cambia di continuo, andiamo dal terreno rossiccio all’argilla blu, fino al bianco calcareo delle ultime trincee e così anche il fango e la difficoltà a muoversi su di esso si modifica con differente strazio per i soldati.

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Trincea calcarea

Particolare cura è stata data alle uniformi, agli equipaggiamenti e pure ai movimenti delle comparse, dettagli che rendono il film non solo più coinvolgente, ma pure un prezioso strumento per conoscere la storia della Grande Guerra rivivendone le emozioni, similmente a quanto avviene in alcune sale del  Imperial War Museum di Londra.

Anche il modo in cui è stato girato 1917 è degno di menzione: il film appare come un lunghissimo piano sequenza. Se n’è discusso moltissimo ancor prima dell’uscita nelle sale, non si tratta di un unico piano sequenza come fece nel 2015 Sebastian Schipper per il suo Victoria, bensì di un raffinato montaggio di molti piani sequenza che danno l’impressione di unità, similmente a quanto fatto da Alejandro González Iñárritu per Birdman (2014).

La critica cinematografica su questo punto si è divisa in due, i maggiori detrattori hanno voluto accostare questo metodo di ripresa ai videogiochi. In effetti alcune scene ricordano videogiochi come Battlefield 1 e il più recente 11-11 Memories Retold, ma c’è da domandarsi se è veramente un fattore negativo e non un modo più corretto per coinvolgere un grande pubblico che a questa esperienza videoludica è ormai abituato.

Questo lungo piano sequenza è infatti la chiave di volta di tutto il film, lo stesso Mendes ha rivelato che ha costruito l’intero impianto narrativo a partire da questa tecnica, il che ha costretto attori e troupe a un lavoro molto arduo per lunghi mesi.

Da spettatori questa tecnica aiuta molto a immedesimarsi nei protagonisti – che sono ben lontani dall’essere eroi – e a vivere le loro stesse emozioni. Nello svolgersi della pellicola lo spettatore proverà un senso di claustrofobia all’interno del dedalo di trincee; angoscia e ribrezzo nella terra di nessuno; rancore e pietà verso il nemico. Alcune scene – invero meno intense – potranno invece far ricordare un film come Torneranno i prati di Ermanno Olmi.

 

La Grande Guerra di Joe Sacco

Il lungo e “unico” piano sequenza accomuna 1917 di Mendes all’opera La Grande Guerra di Joe Sacco (Rizzoli Lizard 2014). L’anno è diverso ma l’ambientazione è la medesima, siamo sempre sul fronte occidentale dalla parte inglese della barricata.

Sacco, giornalista, artista e fumettista maltese-americano, sceglie di raccontare il 1 luglio 1916, ovvero il primo giorno della battaglia della Somme.

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L’ispirazione gli viene nientemeno che dall’Arazzo di Bayeaux e il risultato lo ricorda molto. Ci troviamo dinnanzi a un’opera composta da 24 tavole unite tra loro per una lunghezza di 7 metri, tanto che per raccoglierla e stamparla si è dovuto piegarla a soffietto. Nel mondo dell’arte sono poche le opere concepite in questo modo, una si chiama Panorama Garibaldi ed è stata realizzata dall’artista inglese John James Storey nel 1864, sulla base di una raccolta di storie orali sull’eroe dei due mondi.

Per raccontare la complessità della prima giornata di battaglia, Sacco ha passato giorni negli archivi dell’Imperial War Museum: scartabellando materiale, confrontandosi con lo storico Julian Putkowski e leggendo tutte le pubblicazioni inerenti all’argomento. Tutte le sue fonti sono state riportate nella bibliografia in nota all’opera, la quale contiene anche un saggio del divulgatore storico-scientifico americano Adam Hochschild che aiuta ancor meglio a contestualizzare il lavoro di Sacco.

La battaglia della Somme fu principalmente un tentativo di alleggerimento del fronte di Verdun, a seguito della poderosa offensiva tedesca in quel settore che stava mettendo in seria crisi gli anglo-francesi.

Prima della battaglia furono lanciate 250 mila granate (in media 3.500 al minuto), e fatte esplodere 10 enormi mine scavate dai minatori inglesi sotto le postazioni tedesche; la lunga striscia di Sacco inizia con la passeggiata nervosa del generale inglese Douglas Haig (l’unico  personaggio riconoscibile a causa dei folti baffi bianchi) e con le batterie d’artiglieria inglesi che aprono il fuoco.

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Al suono dei fischietti e delle cornamuse i soldati si lanciano all’assalto su un fronte di 40 chilometri, sotto il peso dei 30 kg di equipaggiamento individuale. A questo si univa la fatica di correre su un terreno accidentato, talmente fangoso che una parte rilevante dei colpi di artiglieria si era conficcata nella terra argillosa senza esplodere. Siamo attorno alla tavola 12 di Sacco: i soldati inglesi cadono sotto i colpi delle mitragliatrici tedesche, o sotterrati dai colpi di artiglieria. Si è stimato che nella sola prima ora di attacco caddero circa 19 mila inglesi, impossibile recuperare i feriti e i morti se non a tarda sera.

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Non si era avanzati di un metro, ma la battaglia doveva continuare e lo fece per altri quattro mesi; alla fine gli Alleati riuscirono nella loro impresa di alleggerire la pressione tedesca su Verdun (dove morirono in tutto oltre 650 mila uomini) e ad avanzare di 10 chilometri, al prezzo di oltre 146 mila morti da parte anglo-francese e 164 mila da quella tedesca. Complessivamente, secondo le stime dello storico Martin Gilbert, nei due settori di Verdun e Somme, morirono “più di 6.600 uomini al giorno, oltre 277 l’ora, quasi 5 al minuto” (M. Gilbert, La Grande storia della Prima guerra mondiale, Mondadori 2000); venne chiamato trionfo ma fu semplicemente una carneficina.

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La striscia di Sacco si chiude come le ultime scene del film di Mendes: mentre da qualche parte infuria la battaglia si curano i feriti e si raccolgono i morti, chi può cerca di ritagliarsi un piccolo angolo di anelata pace.

 

Sam Mendes, 1917, Amblin Partners, DreamWorks Pictures, 2019

Joe Sacco, La Grande Guerra, Rizzoli-Lizard, Milano 2014