I sei di Alessandria: uomini contro navi

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Paolo Perantoni – Verona

Si narra che il primo ministro inglese Winston Churchill abbia così definito l’impresa di Alessandria da parte dei mezzi della X flottiglia MAS della Regia Marina Italiana:

Uno straordinario esempio di coraggio e genialità.

Il 3 dicembre 1941 – dalla base di La Spezia – gli ormeggi di un sommergibile italiano vennero sciolti. Iniziò così la missione segreta G.A.3 dello Scirè che era volta a un unico obiettivo: violare il porto inglese di Alessandria d’Egitto considerato impenetrabile.

Le precedenti missioni, denominate G.A.1 e G.A.2 contro Alessandria, e B.G.1 contro Gibilterra, non erano andate bene: un sommergibile affondato (Iride), uno autoaffondato (Gondar) e numerosi palombari e sommergibilisti morti o catturati.

Ora il tenente di vascello Junio Valerio Borghese ci riprovava, ancora una volta con lo Scirè, reduce dalla precedente missione a Gibilterra – B.G.4 del 19 settembre 1941 – che vide l’affondamento di quattro mercantili. Dopo un trasferimento aereo, il gruppo di palombari dei mezzi d’assalto aspettava il suo comandante sull’isola egea di Lero: da da diversi mesi si erano preparati nella loro base a Marina di Vecchiano, dove potevano sfruttare le acque del Serchio che qui si getta nel mare.

Il tragitto fino a Lero fu lungo ma tranquillo: Borghese, recuperati i suoi incursori e fatto rifornimento, ripartì per Alessandria il 14 dicembre.

Lo Scirè, varato nel 1938, era stato assegnato all’inizio dell’estate 1940 all’allora I flottiglia MAS rinominata poi in “Decima” a partire dal 15 marzo 1941 dal nuovo comandante Vittorio Moccagatta. Il sommergibile era stato quindi pesantemente modificato dagli uomini della flottiglia comandata in quel momento da Mario Giorgini: il cannone era stato rimosso, così due tubi lancia-siluri, e pure la torretta era stata ridimensionata. Tutto lo spazio in coperta doveva servire per alloggiare tre “contenitori” a tenuta stagna per i SLC – ovvero Siluri a Lenta Corsa – inventati dal capitano Teseo Tesei e ribattezzati “maiali” per la loro difficoltà a controllarli.

Con la sua tipica livrea – che ricordava quella di un peschereccio una volta in superficie – e carico dei siluri 221, 222 e 223, lo Scirè si avvicinò lentamente alle coste africane sotto gli occhi vigili della Royal Navy che, oltre a contare su una supremazia di mezzi, poteva usufruire di un eccellente servizio d’informazione.

A causa di una violenta mareggiata, Borghese accumulò però un ritardo di un giorno sulla data prevista per l’attacco (il 17 dicembre). Giunse quindi nella rada di Alessandria il 18 e alle 20.45, viste le condizioni ottimali del mare, i tre SLC si staccarono dallo Scirè – che fece rotta verso il Dodecaneso italiano – e attesero il momento buono per entrare nel porto, qui si divisero.

Il primo siluro era comandato da Luigi Durand de la Penne con Emilio Bianchi. Il secondo da Vincenzo Martellotta con Mario Marino. Il terzo da Antonio Marceglia e Spartaco Schergat. Ognuno dei tre mezzi aveva una nave bersaglio: la missione prevedeva l’affondamento mediante mine magnetiche sulla chiglia.

Alcuni membri della Decima MAS nel 1939. Al centro si può vedere Valerio Junio Borghese, mentre a sinistra si riconoscono Luigi Durand de la Penne e Teseo Tesei

Il 221 di Durand de la Penne dopo essere passato indenne alle bombe di profondità di una motovedetta fu subito alle prese con la rete d’acciaio che proteggeva il porto. L’uscita di tre cacciatorpediniere inglesi aprì loro la strada verso le banchine. I sommozzatori si immersero e sfruttando la scia di una nave riuscirono a passare. Davanti a loro si ergeva in tutta la sua maestosa grandezza, la corazzata Valiant di 27.500 tonnellate: il loro obiettivo. I due procedettero nella totale oscurità, si erano addestrati per mesi nelle manovre e sapevano compierle a occhi chiusi, ma all’improvviso il motore del maiale si fermò e il siluro cominciò a sprofondare nella baia. Bianchi nel tentativo di reggerlo esaurì le energie e fu costretto a emergere aggrappandosi a una boa della Valiant. Durand de la Penne, con le ultime forze, riuscì però a innescare la mina magnetica sotto lo scafo della corazzata prima di riemergere: erano le ore 3.06.

Le vedette inglesi li arrestarono e li portarono sulla Valiant dove seguì un duro interrogatorio che non portò a risultati: i marinai diedero solo le loro generalità. Intanto il tempo scorreva sui cronografi Radiomir Panerai degli incursori di marina. All’approssimarsi dello scoppio, Durand de la Penne avvertì il comandante della Valiant di mettere in salvo l’equipaggio. Scoccarono le 6.06 quando il boato della bomba investì la corazzata: i due italiani erano ancora agli arresti nel ventre della nave, ma sopravvissero.

I marinari della Queen Elizabeth, l’altra grande corazzata ormeggiata con le sue 33.550 tonnellate, guardarono increduli le sorti della Valiant, ma di lì a poco toccò anche a loro.

Marceglia e Schergat, infatti, compirono una “azione da manuale” minando la corazzata, auto-affondando il maiale e quindi allontanandosi da Alessandria. I due furono catturati il giorno successivo mentre cercavano di cambiare la valuta data loro dal SMI (Servizi Militari Italiani) che non aveva più alcun valore in Egitto, a riprova del fallace piano di fuga fornito loro dai servizi.

Anche Martellotta e Marino, sul 222, nonostante il malore del primo riuscirono a minare la loro nave bersaglio, la nave-cisterna Sagona, la quale nell’esplosione danneggiò anche il cacciatorpediniere Jervis uno dei più decorati della flotta inglese.

Al termine dell’azione d’Alessandria si contarono complessivamente 61.050 tonnellate affondate, 9.940 danneggiate e soli otto morti tra gli inglesi, a fronte dei sei italiani catturati.

Sembra che Churchill abbia commentato così l’accaduto:

Sei italiani equipaggiati con materiale di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare nel Mediterraneo a vantaggio dell’Asse.

D’altronde, per la prima volta dall’inizio della guerra, la Marina italiana si trovava in superiorità rispetto a quella inglese che disponeva solo di quattro incrociatori leggeri e pochi cacciatorpediniere, visto che il 25 novembre un sommergibile tedesco – l’U331 – aveva affondato la corazzata Barham. Stessa sorte toccata qualche settimana prima alla portaerei Royal Ark silurata dall’U81 il 13 novembre e affondata il giorno dopo.

I sei di Alessandria

Le forze dell’Asse – di cui ricordiamo l’Italia faceva parte – non riuscirono però a trarre vantaggio da questa situazione: i contrasti tra gli ammiragliati tedesco e italiano impedirono di dominare il Mediterraneo e occupare la strategica isola di Malta che l’estate prima aveva resistito a un’azione portata sempre dalla X flottiglia MAS e dove perse la vita, tra gli altri, Teseo Tesei.

Quanto ai sei marinai, dopo la prigionia nei campi inglesi tornarono in Italia all’indomani dell’8 settembre 1943 e tutti, tranne Bianchi ancora convalescente, scelsero di partecipare alla guerra di liberazione nazionale sotto le insegne del Gruppo Mezzi d’Assalto, di cui facevano parte i membri della X flottiglia che scelsero di combattere con gli Alleati.

Le loro gesta ebbero un epilogo significativo: a Taranto, nel marzo del 1945, i sei marinai furono tutti decorati con la medaglia d’oro al valor militare dall’ammiraglio inglese Charles Morgan, ex comandante della Valiant e loro ex nemico.

Le letture consigliate:

J. V. Borghese, Decima Flottiglia MAS, Milano, Garzanti, 1950

G. Giorgerini, Attacco dal Mare. Storia dei mezzi d’assalto della Marina Italiana, Mondadori, Milano, 2007

L. Garibaldi-G. Di Sclafani, Così affondammo la Valiant. La più grande impresa navale italiana della seconda guerra mondiale, Torino, Lindau, 2014 (I ed. 2010)

J. Greene-A. Massignani, Il principe nero. Junio Valerio Borghese e la X MAS, Milano, Mondadori, 2007

E. Longo, I reparti speciali italiani nella seconda guerra mondiale, Milano, Mursia, 1991

A. Petacco, Le Battaglie navali del Mediterraneo nella seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 1995 (I ed. 1976)

G. Rocca, Fucilate gli Ammiragli. La tragedia della Marina italiana nella Seconda Guerra Mondiale, Roma, Castelvecchi, 2015 (I ed. Mondadori 1987)