Dentro la “sfera dell’indecidibile”: il Costituzionalismo e i suoi rapporti con la democrazia

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Philipp von Foltz, Perikles hält die Leichenrede (1852)

Jacopo Bernardini, Pisa –

Le costituzioni non sono mai strutture svincolate dal contesto politico dove nascono e si sviluppano, e, sempre più spesso, esse si trovarono a dialogare con forme di governo democratiche, creando un legame apparentemente inscindibile. Nonostante la democrazia appaia oggi come imprescindibile obiettivo per gli Stati che ne sono sprovvisti e come entità indiscutibile per quegli Stati che ne sono già provvisti, alcuni filosofi politici come Carlo Galli non hanno difficoltà nell’individuare un malessere diffuso del cittadino che si trova all’interno dei meccanismi democratici, una crisi di rappresentanza del popolo inteso come collettività a discapito del singolo individuo: come spiegare questa sfiducia? Si può parlare oggi, nel mondo globalizzato, dove la democrazia appare come l’unica accettabile forma di governo, di “crisi della democrazia”?

È bene ricordare che fu forte la diffidenza verso la forma di governo democratica fin dalle sue origini: il tramonto dell’esperienza democratica in Grecia, nel IV secolo a.C., portò alla nascita di una profonda riflessione sul demos che, condizionabile ed emotivo, impegnato solo nel suo stesso mantenimento, fu ritenuto incapace di formare le adeguate competenze per la gestione della polis. Nella Costituzione degli ateniesi, scritto anonimo del V secolo A.C., il giudizio sulla democrazia è sprezzante: la folla acclamerebbe unicamente quell’oratore in grado di garantirgli il numero maggiore di vantaggi materiali immediati. Dunque, il popolo sa quello che vuole e agisce di conseguenza, è rozzo, ignorante, ma non stupido.

Raffaello, La scuola di Atene, Stanza della Segnatura, Musei Vaticani (1509-11)

Un elemento di criticità interno alla democrazia venne individuato da Aristofane nella sua tendenza a trasformarsi in demagogia: la sua satira nei Cavalieri non è rivolta contro la democrazia in quanto tale ma alle sue possibili degenerazioni. Per Platone, invece, la demagogia era considerata non una deviazione, bensì essenza stessa della politica in una città democratica: la democrazia ateniese, macchiata dall’ingiusta condanna a morte di Socrate, era caratterizzata da un individualismo anarchico e sfrenato il demos, infantile e capriccioso, seguiva i retori che meglio sapevano assecondarne gli umori.

Nelle moderne democrazie il ruolo del protagonista passa dal demos, indistinto ed indifferenziato soggetto collettivo, al cittadino-individuo, portatore di responsabilità e di diritti individuali. Il clima razionalistico di cui il XVII ed il XVIII secolo furono pervasi favorì, nel campo del diritto costituzionale, la propagazione dei principi del giusnaturalismo e del contrattualismo. Se il giusnaturalismo fu determinante nell’affermazione dei diritti dell’uomo, il contrattualismo si legò indissolubilmente al costituzionalismo. Grazie al pensiero di Hobbes, Locke e Rousseau venne messa da parte, nella formazione della società, ogni tipo di influenza divina: ogni ordine politico è di natura puramente artificiale e nasce da un’obbligazione politica stipulata attraverso un contratto. In questo nuovo tipo di accordo si creano i presupposti per trovare limiti e garanzie da offrire alla popolazione di uno Stato: solo in questo modo l’uomo riesce ad inserirsi all’interno di una determinata società.

E. Delacroix, La libertà che guida il popolo (1830)

L’esigenza di una costituzione scritta fu avvertita, per la prima volta, in Inghilterra, durante il periodo delle guerre civili. James Harrington, nel suo The commonwealth of Oceana del 1656, proponeva un progetto costituzionale per creare un “impero delle leggi, e non degli uomini”. L’Instrument of government di Oliver Cromwell del 1653, aveva, teoricamente, la funzione di una costituzione scritta, anche se, in definitiva, fu unicamente una carta concessa dal detentore del potere: tuttavia lo stesso Cromwell ammise in Parlamento la necessità di “qualcosa che assomigli a una grande carta (…) durevole e inalterabile“. Dello stesso parere era Edmund Burke che, nelle sue Riflessioni sulla rivoluzione francese del 1790, parlò della costituzione come di un “patrimonio ereditario, un grande capitale collettivo della nazione e dei secoli. Il Costituzionalismo divenne dunque fondamentale per aiutare il cammino dell’uomo nella sua “nuova” vita all’interno di una società.

Mentre si affermava il costituzionalismo, rimase la diffidenza verso la forma di governo democratica, soprattutto a causa della lontananza che, per secoli, caratterizzò il popolo dalla vita politica: principalmente da qui derivò l’ostilità che i difensori dell’ancien regime ed autori come Montesquieu, Kant e Constant, riversarono verso il suffragio universale. Per questi pensatori, la possibilità di esercitare una vera libertà politica si dimostrerebbe del tutto aleatoria senza una condizione di uguaglianza sia materiale, che reale.

Ernesto De Nicola firma la Costituzione Italiana il 27 dicembre 1947

La democrazia, dunque, venne sempre considerata intrinsecamente pervasa da limiti evidenti: tali lacune cercarono di essere arginate attraverso il costituzionalismo che, escludendo dal consenso popolare una serie di diritti li rese garanzia della democraticità della vita politica. Se le costituzioni e gli statuti dell’Ottocento e della prima metà del Novecento presentarono scarse difese giuridiche contro l’affermazione dei totalitarismo, vista la fiducia incondizionata data al potere legislativo, l’unico considerato vera rappresentazione della sovranità popolare, le democrazie costituzionali della seconda metà del Novecento e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo espressero tenacemente la volontà di impedire il ripetersi di quegli errori che caratterizzarono una delle fasi più drammatiche della storia europea.

Soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale incominciarono a nascere costituzioni “rigide”, immodificabili attraverso la legge ordinaria e garantire da un controllo giurisdizionale. Secondo il giurista e filosofo del diritto Luigi Ferrajoli se il moderno stato di diritto nacque con l’affermarsi del principio della legalità formale, dove una norma giuridica era considerata valida se posta nelle dovute forme dall’autorità competente, nello stato costituzionale di diritto l’unica sovrana è la costituzione, e la legislazione ordinaria deve rispettare non solo requisiti di forma per essere valida, ma anche di sostanza, cioè non deve contraddire ciò che è contenuto all’interno della Costituzione: se nel moderno stato di diritto il legislatore era onnipotente, nello stato costituzionale di diritto il potere legislativo è giuridicamente disciplinato e limitato da specifiche norme costituzionali. Nacque così una “sfera dell’indecidibile, sottratta dalla portata delle maggioranze.

 

La prima pagina della Costituzione degli Stati Uniti d’America, nella quale campeggia il preambolo “We the People”, una particolarità della carta americana ma che costituisce una grande novità nella storia del costituzionalismo moderno

Le carte costituzionali non possono, per loro natura, basarsi sul consenso: in questo modo le loro basi sarebbero troppo fragili. Tuttavia, risulta oltremodo complicato giustificare l’esistenza di questa “sfera dell’indecidibile” all’interno di una forma di governo democratica. Se per alcuni autori, come lo stesso Ferrajoli, tale sfera è un indispensabile presupposto per la Democrazia, per molti risulta una forzatura considerare tutti i diritti presenti all’interno di una carta costituzionale come presupposti logici della democrazia. Nonostante questi elementi di criticità, per Ferrajoli la costituzionalizzazione dei diritti è frutto di un percorso storico contingente, risultato di lotte combattute in difesa di certi valori, la cui giustificazione sul piano etico e politico dipenderà dal giudizio che si formerà su essi: i diritti fondamentali, dunque, andranno protetti anche contro il volere dello stesso popolo.

Siamo dunque di fronte a democrazie “protette”, nate per difendersi sia da pericoli esterni, sia dall’esercizio stesso della democrazia. Tuttavia, nel mondo contemporaneo, la sfida più grande che si trova ad affrontare il costituzionalismo diventa difendere i confini costituzionali eretti dalla seconda metà del XX secolo dalle ondate totalizzanti portate dalla globalizzazione.

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