La colomba, il trifoglio e la spada: La battaglia di Jadotville

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Paolo Perantoni, Verona –

Con l’uscita lo scorso anno, prima nelle sale cinematografiche e poi su Netflix di The siege of Jadotville, il grande pubblico ha la possibilità di conoscere un piccolo quanto interessante episodio della recente storia africana e in particolare di quella turbolenta vicenda della secessione della provincia congolese del Katanga.

Il 30 giugno 1960 il Congo dichiara la propria indipendenza dal Belgio all’interno di quel progetto delle Nazioni Unite denominato “1960 year of Africa” che non aveva le basi per funzionare ovunque. Subito dopo, infatti, si scatena una guerra tra i sostenitori del presidente Joseph Kasa-Vubu e quelli del primo ministro Patrice Lumumba oltre che tra regioni che richiedevano a gran voce l’indipendenza dal potere centrale.

Il tutto inserito nell’ambito della guerra fredda: mentre gli occidentali spalleggiavano Kasa-Vubu prima e Mobutu dopo, l’Unione Sovietica e i suoi alleati sostenevano Lumumba. La situazione già così delicata esplode a seguito dell’assassinio di quest’ultimo (gennaio 1961) che scatena le rivolte  e le secessioni in molte regioni tra cui quella del Katanga nel luglio del 1960, tra le più ricche del Paese e guidata da Moise Ciombe.

La crisi del Katanga, che vede lo schieramento dei caschi blu nella missione denominata United Nations Operation in the Congo (ONUC), diventa in brevissimo tempo il vero banco di prova delle Nazioni Unite dopo la crisi del canale di Suez (1956) e la guerra di Corea (1950-3). Fanno parte di questo contingente nazioni marginali rispetto agli schieramenti internazionali: India, Svezia e infine Irlanda.

 

Moise Ciombe

Il 13 settembre 1961 il segretario dell’ONU, lo svedese Dag Hammarskjöld, dà l’autorizzazione a lanciare un’offensiva militare (Operazione Morthor) contro le unità mercenarie dell’autoproclamatosi Stato del Katanga (e supportato da Belgio, Sud Africa e Rhodesia, oltre che da parecchie multinazionali occidentali che hanno interessi nella regione). Con questa ambigua decisione di Hammarskjöld il mandato del contingente ONUC, che dovrebbe rimanere neutrale, viene meno: le Nazioni Unite si schierano apertamente con il governo centrale e contro il Katanga di Ciombe.

Come ripercussione all’Operazione Morthor le truppe katanghesi, ben guidate da mercenari occidentali come Jean Schramme, Mike Hoare e Bob Denard, avviano una serie di attacchi su larga scala uno dei quali si concentra sulla cittadina mineraria di Jadotville che dista circa 100 km dalla base delle Nazioni Unite.

A comandare l’avamposto di Jadotville c’è l’irlandese Pat Quinlan alla guida di una compagnia (A-company) di 155 soldati irlandesi, il loro principale compito è quello di proteggere i minatori belgi che abitano nella cittadina mineraria.

Quinlan non ha esperienza sul campo di battaglia ma si accorge che le difese della cittadina sono nulle, per cui inizia a far scavare trincee ai suoi uomini.

L’inesperienza irlandese sul campo di battaglia è un tema ricorrente del film: si assiste più volte a un faccia a faccia tra il comandante irlandese e la sua controparte mercenaria ovvero il pluridecorato ex legionario francese Rene Faulques che era in Congo a seguito di Bob Denard.

In effetti l’Irlanda, divenuta indipendente dall’Inghilterra nel 1922 dopo una sanguinosa lotta clandestina, non ha mai preso ufficialmente parte ad alcuna guerra, ma i soldati irlandesi avevano comunque una buona tradizione sul campo di battaglia. Volontari irlandesi combatterono infatti con gli inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale mentre durante la Prima moltissime truppe irlandesi furono impiegate dagli Inglesi, anche se un piccolo contingente di ex prigionieri di guerra fu inquadrato tra i ranghi tedeschi per volere di Roger Casement in chiave anti inglese. Ancor prima, durante la guerra tra Stati Uniti e Messico (1846-1848) un battaglione di artiglieri irlandesi si ammutinò all’esercito regolare americano per combattere a fianco dei messicani: le gesta di “quelli del San Patricio” sono ancora ricordate come leggendarie in Messico.

La maggior parte di questa tradizione racconta di rovinose sconfitte in perfetto accordo con la grande tradizione irlandese (si pensi al ruolo preminente degli emarginati/sconfitti nelle ballate) e anche la battaglia di Jadotville non fa eccezione.

Le ostilità iniziano nel settembre del 1961, l’attacco da parte delle forze katanghesi è rapido e improvviso ma un colpo di una sentinella mette in guardia la guarnigione che si difende sfruttando le trincee precedentemente scavate. Gli scontri durano per cinque giorni. Il contingente è circondato da forze più numerose (un rapporto di 1 a 20 secondo alcuni sopravvissuti), i katanghesi infatti possono contare sull’apporto non solo dei mercenari ma pure dei coloni belgi e in più hanno supporto aereo e di mortai pesanti; gli irlandesi hanno armi leggere, qualche vecchia mitragliatrice Vickers e mortai da 60 mm ma non si arrendono. Anzi, rilanciano: “We will hold out until our last bullet is spent. Could do with some whiskey” (Resisteremo fino all’ultimo proiettile. Potreste portarci del whiskey).

Nel frattempo Jadotville è assediata, i tentativi dei caschi blu di rompere l’assedio per portare aiuto agli assediati falliscono sul ponte di Lufira dove i katanghesi ben asserragliati impediscono alle forze dell’ONU di passare; solo un elicottero pilotato da un norvegese riesce ad atterrare a Jadotville portando dell’acqua (peraltro contaminata e quindi imbevibile).

La situazione per il contingente ONU si fa ancora peggiore quando l’aereo di Dag Hammarskjöld mentre è in volo sopra l’attuale Zambia precipita in circostanze mai del tutto chiarite: 16 persone tra cui lo stesso segretario generale perdono la vita. L’ONU è ai minimi storici come consenso e ora è senza segretario generale, la crisi katanghese si sta dimostrando un enorme motivo d’imbarazzo per il palazzo di vetro.

 

La situazione a Jadotville con il passare dei giorni si fa drammatica, vengono stipulati vari “cessate il fuoco” tra le due forze per soccorrere i feriti e seppellire i morti: i katanghesi hanno perso 300 uomini (compresi 30 mercenari) mentre gli irlandesi contano 5 feriti.

Dopo cinque giorni di combattimenti, esaurite le munizioni e senza più acqua, Pat Quinlan è costretto ad arrendersi, così come dovettero arrendersi i “San Patricios” al termine della battaglia di Churubusco nel Messico del 1848.

Quinlan e i suoi uomini vengono incarcerati dalle forze del Katanga ma più che prigionieri di guerra vengono trattati come veri e propri ostaggi. In un clima di costante imbarazzo da parte di governi e Nazioni Unite si tratta lo scambio di prigionieri, che avviene nel mese di dicembre quando i 155-8 soldati irlandesi riescono a tornare in patria.

Il film sull’assedio di Jadotville, uscito lo scorso anno per la regia di Richie Smyth e con Jamie Dornan protagonista.

In Irlanda però la compagnia viene derisa e tacciata di codardia mentre il nome di Quinlan infangato per sempre; a nessun soldato viene data una medaglia, anzi il termine “Jadotville Jack” (i soldatini di Jadotville) comincia a essere usato come spregiativo all’interno delle forze armate irlandesi. La faccenda viene insabbiata in fretta, mentre il responsabile politico Conor Cruise O’Brien si affrettava a discolparsi facendo uscire le proprie memorie in diverse riviste e nel libro To Katanga and Back (1962); la sua versione viene accettata tanto che diviene persino ministro del governo irlandese (1973-7).

Solo recentemente, attraverso lo studio delle fonti dell’ONU, gli storici hanno potuto stabilire che la versione di O’Brien, che tra le altre cose scaricava le responsabilità su Quinlan e la sua compagnia, era fallace e altamente selettiva e accusando Hammarskjöld di essere deliberatamente andato contro il mandato delle Nazioni Unite. Solo quest’anno a seguito del clamore scatenato in Irlanda prima dal libro e poi dal film il governo irlandese ha dato un’onorificenza alla compagnia A e al suo comandante morto disonorato nel 1997.

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