I protagonisti della battaglia di Vienna: gli Ussari Alati tra storia e leggenda

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Giuseppe Catterin, Venezia –

Il 27 settembre 1605, nella piana presso la località lettone di Kircholm – corrispondente all’attuale città di Salaspis – le forze della Rzeczpospolita Obojga Naródow fronteggiarono le armate svedesi, comandate da Carlo IX Vasa, sovrano di Svezia nonché zio dell’allora re di Polonia, Sigismondo III Vasa.
Al di là delle questioni dinastiche – Carlo IX aveva spodestato il nipote dal trono di Svezia, ponendo di fatto fine all’ “unione polacco–svedese” –, la posta in palio era ghiotta per entrambi i contendenti: in quella mattina autunnale si decidevano le sorti del dominium Maris Baltici. Ad una veloce occhiata delle forze in campo, le percentuali di successo propendevano in maniera schiacciante a favore delle armi svedesi: l’esercito comandato da Carlo IX poteva contare su ben 11.000 uomini tra fanti e cavalieri, sostenuti da 11 bocche da fuoco. L’armata della Rzeczpospolita, invece, guidata da Jan Karol Chodkiewicz, “grande atamano di Lituania” – Polonia e Lituania mantennero sempre due eserciti differenti –, disponeva di soli 3.600 uomini, per lo più cavalieri. Tra la massa di armati a cavallo, che da soli costituivano i due terzi delle forze polacco-lituane, spiccavano i protagonisti del seguente articolo: gli ussari alati.

Inquadrati nelle rispettive “chorągwie(sing. “chorągiew”. Traducibile in “stendardo”, la chorągiew rappresentò a lungo l’unità base della cavalleria polacco–lituana), gli ussari giocarono un ruolo fondamentale nella vittoria delle forze polacco–lituane limitandosi a compiere ciò a cui erano addestrati: caricare. Il seguente articolo, tuttavia, non si prefigge di analizzare l’andamento della battaglia. Il focus, piuttosto, verterà sull’analisi dello sviluppo di questa formazione militare, soprattutto analizzando le trasformazioni avvenute nell’equipaggiamento di quest’unità. L’addestramento, il reclutamento e, soprattutto, il mito legato alle ali per motivi di spazio verranno dibattuti in un secondo articolo.

 

 

Ussari alati: la genesi di una formazione

 

Per trovare la prima menzione di ussarinelle fonti scritte risulta necessario spostarsi nella Polonia degli ultimi Jagielloni. All’interno del “Regestrum in quo diversi computi ti rationem”, libro paga delle forze mantenute dalla monarchia polacca attorno al 1500, figurano i nomi dei primi cinque hussarze. Di questo primo manipolo di ussari sappiamo ben poco: limitandosi a censire i compensi dovuti, la fonte non tradisce nessuna informazione né sull’equipaggiamento e né sul loro impiego tattico. In merito, le disposizioni stabilite pochi anni più tardi dal Sejm del regno di Polonia, vale a dire la dieta della corona, possono risultare certamente più illuminanti: per fronteggiare le crescenti scorribande dei Tatari di Crimea, nel 1503 vennero stanziati fondi extra per reclutare le prime “bandiere” di ussari. Vale a dire, cavalleggeri capaci di fare della velocità il proprio tratto caratteristico: conditio sine qua non per poter fronteggiare al meglio i raid tatari.

Ma com’erano equipaggiati gli ussari alati nel primo Cinquecento? E, soprattutto, qual era il loro ruolo all’interno del campo di battaglia? L’analisi del dipinto raffigurante la battaglia di Orsza (combattuta l’8 settembre 1514) può aiutare a formulare alcune risposte.

Nella rappresentazione della battaglia gli squadroni dei kopijnicy, cavalleria pesante armata di lancia, la fanno da padrona: a loro, infatti, era riservato l’arduo compito di spezzare il fronte nemico. Ai lati, tuttavia, ecco comparire gli ussari. A balzare all’occhio è certamente la foggia del loro equipaggiamento: di stile “ungherese”, gli ussari impiegati ad Orsza erano privi di armature. L’unica difesa, anzi, era costituita dal caratteristico scudo “ad ala”, tipico della regione balcanica. Tra le armi d’offesa, invece, spiccava certamente la lancia, già allora sormontata dalla caratteristica “banda”, peculiarità che caratterizzò l’aspetto dell’unità militare fino alla fine dei suoi giorni. Come arma secondaria, invece, figura la sciabola e, soprattutto, l’arco: custodito in apposite faretre, veniva frequentemente utilizzato durante lo scontro. In altre parole, gli ussari alati che calcarono il campo di battaglia di Orsza, erano, a differenze di colleghi che vinsero presso Kircholm, stabilmente inquadrati in unità di cavalleria leggera.

 

 

Stefan Batory: la nascita degli ussari alati.

 

Con la morte di Sigismondo II Augusto, avvenuta nel 1572, terminò la plurisecolare dinastia degli Jagielloni. La Szlachta polacca decise allora di ricorrere ad una formula destinata a caratterizzare la storia della Rzeczpospolita: l’elezione diretta del monarca. Nel dicembre del 1576, dopo una breve esperienza targata Valois e un tentativo di perorare la causa degli Asburgo, i nobili della szlachta decisero d’eleggere il “padre spirituale” degli ussari alati: Stefano Bathory, principe di Transilvania. Il neoeletto monarca dimostrò fin da subito la sua energica tempra. Il suo nome, infatti, risulta tutt’ora indelebilmente legato ad una decisa e profonda riorganizzazione delle forze polacco–lituane: la fanteria venne riformata prendendo a modello le unità di haiducy; la cavalleria, d’altro canto, in particolar modo gli squadroni di husaria, registrò sostanziali cambiamenti circa l’equipaggiamento e l’impiego tattico sul campo di battaglia. Tali aspetti possono venir pienamente apprezzati analizzando la battaglia di Lubiszewo (17 aprile 1577).

In tale circostanza, le forze della città di Danzica – ribellatasi al potere regio – vennero severamente sconfitte via dai reparti di ussari “riformati”. La suddetta riforma s’impernia su due aspetti fondamentali. Con l’introduzione dell’armatura, in primis cotta di maglia rivettata (“veste” composta da migliaia di anellini di metallo, legati tra di sé mediante un chiodino), gli ussari registrarono un sostanziale “appesantimento” nel loro equipaggiamento difensivo. Dal punto di vista tattico, invece, cessò il loro impiego in qualità di cavalleria leggera, utile per tattiche di schermaglia o, come visto per il 1514, a protezione dei fianchi. Con Lubiszewo gli ussari alati iniziarono la tradizione destinata a consegnarli alla Storia: la carica.

 

 

Equipaggiamento offensivo

 

L’arma principe degli ussari alati era certamente la lancia. La sua lunghezza poteva oscillare da un minimo di 4,5 metri ad un massimo di addirittura 6,2 metri: se si tengono per buone le narrazioni della battaglia di Klushino (4 aprile 1610), così armati gli ussari alati erano in grado di trafiggere ben cinque fanti alla volta! Il peso dell’arma veniva bilanciato grazie ad una sfera che, posizionata verso la “coda” della lancia, forniva un non indifferente ausilio all’ussaro che la maneggiava. Un altro aiuto proveniva da un’apposita correggia in cuoio che, fissata alla sella, acconsentiva di distribuire al meglio il peso dell’arma soprattutto durante i momenti della carica. Ed è in questa fase che entrava in gioco la kitajka. Si tratta di una banda – la stessa presente anche ad Orsza – la cui ragione d’essere si spiega tenendo in considerazione fattori psicologici: mossa dal vento, infatti, emetteva un rumore capace di spaventare i quadrupedi del nemico. A lancia spezzata, l’ussaro aveva due possibilità: ritornare nelle retrovie e armarsi nuovamente, oppure utilizzare le armi bianche di cui era in possesso. Oltre alla sciabola, l’ussaro poteva disporre anche del caratteristico koncerz, vale a dire stocco di 160 centimetri con il quale colpire di punta.

 

 

 

Equipaggiamento difensivo

 

Lo szyszak rappresentò a lungo l’elmo standard. Molto simile allo zischägge tedesco, anche lo szyszak presentava paragnatidi, protezioni “a coda di gambero” per la nuca e un nasale rimovibile. La differenza intercorre piuttosto su di un aspetto estetico: gli esemplari polacchi si presentano mediamente più addobbati. Il busto, invece, era protetto da un pettorale in acciaio, a cui si andavano ad aggiungere tutta una serie di pezzi – spallacci e gorgiera – aventi il compito di proteggere le parti del corpo più esposte. Gli avambracci, inoltre, venivano protetti dal karwasz, pezzi di chiara provenienza orientale. La schiena, d’altra parte, veniva schermata dall’omonimo pezzo d’armatura. Tuttavia, non era raro vedere ussari alati che preferivano privarsene: al suo posto, dunque, troviamo l’umbo, protezione che tutelava la parte interscapolare della schiena. Per quanto concerne la restante parte del dorso, il compito di difenderlo era demandato alle pellicce, tratto caratteristico della panoplia dell’ussaro alato: il loro spessore, infatti, oltre ad incutere maggior timore, risultava essere un discreto compromesso in fatto di protezione. Nella seconda metà del Seicento, concomitante allo sviluppo del Sarmatismo, comparvero armature karacenowe. Vale a dire corazze che, basandosi su di un passato mitico sarmata, riportavano in auge la lorica squamata di romana memoria.

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