Come la Germania reinventò il sommergibile moderno: storia dell’ U-Boot tipo VII

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Paolo Perantoni, Verona –

Premessa

L’U-Boot tipo VII rappresenta nell’immaginario collettivo – in particolare grazie al contributo del cinema (si pensi a film come U-96 e ai più recenti U-571 ed Enigma) – l’idea stessa del sommergibile. Sebbene fossero stati progettati 23 modelli diversi di U-Boot, ben 717 su 1.157 erano del tipo VII, questo dato da solo fa comprendere come essi rappresentassero la spina dorsale della flotta di sommergibili tedesca.

Furono i protagonisti indiscussi della Seconda Battaglia dell’Atlantico (1939-1945), ovvero la più lunga ed estenuante campagna della seconda guerra mondiale, eppure la loro genesi fu alquanto particolare, se non addirittura casuale.

Il varo di un U-Boot nel 1942


La Grande Guerra

La Kaiserliche Marine arrivò molto impreparata – dal punto di vista subacqueo – alla Grande Guerra; infatti se già nel 1908 Francia e Inghilterra potevano contare su oltre 60 battelli, all’inizio delle ostilità la Germania aveva solo 20 sommergibili operativi (il primo – l’U1 – era del 1906) ma dimostrò da subito di saperli ben gestire in combattimento.

Favoriti dalle tecniche della Royal Navy, che prevedevano un invio “sparso e prevedibile” delle navi, l’U-Boot tedesco aveva vita facile: gli bastava appostarsi e attendere l’arrivo del naviglio lanciare un siluro o inseguire la preda isolata cannoneggiandola. Clamoroso fu il successo dell’U9, comandato dal tenente di vascello Otto Wendingen, che in successione riuscì ad affondare – senza subire alcun danno – gli incrociatori britannici Hogue, Cressy e Aboukir a Hoek van Holland, località nei pressi di Rotterdam, il 22 settembre 1914. I mercantili rimanevano però le prede più ambite per gli U-Boot tedeschi; nel febbraio del 1917 essi furono sciolti dalle restrizioni che prevedevano di preavvisare le navi dell’imminente siluramento, e così il tonnellaggio affondato aumentò fino a raggiungere la cifra record di 600 mila tonnellate al mese.

Fu a questo punto che la Royal Navy decise di concentrare gli sforzi nella lotta sottomarina: le bombe di profondità erano già in uso dal 1916, ma i cacciatorpediniere su cui erano imbarcate non potevano proteggere tutti i mercantili che venivano inviati in ordine sparso.

Nel maggio del 1917 però le tecniche cambiarono, si istituirono finalmente dei convogli ben protetti e le perdite si abbassarono drasticamente. “A partire dall’autunno 1917 – scrive Stern – gli inglesi erano riusciti a contenere l’offensiva subacquea entro limiti loro sopportabili”, sebbene alla fine del conflitto il naviglio affondato dagli U-Boot superasse le 18 milioni di tonnellate.

La vittoria sottomarina fu così totale che in Inghilterra si pensò che gli u-boat non potessero più rappresentare una minaccia per la Royal Navy: l’introduzione del radar (ASDIC) e l’uso delle tecniche di protezione dei convogli, mediante sofisticate armi antisommergibili (ASW) sperimentate negli anni ’30, avevano chiuso la partita contro il “grey wolf”. Non avevano invece considerato che il lupo caccia meglio in branco: proprio l’introduzione di questa nuova tattica tedesca (Rüdeltaktik) mise in seria difficoltà gli Alleati nella prima parte della Seconda Guerra Mondiale, in particolare tra il 1940 e il 1943.

Una pianta del sommergibile U-Boot Type VII C

Il dopoguerra

Il Trattato di Versailles, tra le altre cose, vietava alla Germania di avere sommergibili ma nulla impediva ai tedeschi di continuare a progettare “sulla carta” nuovi vascelli. Partendo dai progetti degli UI, UII, ma soprattutto dell’UIII – vero sommergibile d’alto mare sebbene di dimensioni leggermente ridotte – e delle sue versioni migliorate ma mai realizzate per il Mare del Nord (UF e UG), gli ingegneri tedeschi studiarono delle possibili evoluzioni andando a ritoccarne tutti i parametri tecnici e costruttivi.

Già nel 1920 si creò un Ispettorato per lo sviluppo di mine e siluri a Kiel con il compito di organizzare un archivio che comprendesse tutto il materiale inerente alle ASW e un elenco degli specialisti del ramo che erano sopravvissuti alla guerra. I tedeschi quindi puntarono sulle risorse umane sopravvissute e ne aumentarono il know how spingendole a progettare nuovi battelli per conto di cantieri navali esteri. La prima occasione si presentò nel 1921, quando la Marina Argentina chiese e ottenne i servigi del capitano di corvetta Karl Bartenbach – già comandante della Flottiglia delle Fiandre nella Grande Guerra – per sviluppare 10 battelli sulla base dei progetti tedeschi. La realizzazione di questi sommergibili richiese anche l’assistenza tecnica e progettuale degli ingegneri tedeschi, e a tal fine la Reichsmarine istituì, nel luglio del 1922, un apposito Ufficio per lo sviluppo tecnico dei sommergibili. Riferisce Stern che “la facciata di questa struttura, ovviamente clandestina, era una ditta privata di ‘naval engineering’ con sede all’Aia, la IvS (Ingenieruskaantor voor Scheepsbouw)” con lo scopo non solo di costruire naviglio – anche di superficie – per altre nazioni, ma pure di preparare una generazione di ingegneri pronti per il giorno in cui la Germania fosse riuscita a ottenere il permesso di ricostruire la sua flotta.

Ancora un U-Boot Type VII A fermo al molo del porto di Lorient (Francia) durante la Seconda Guerra Mondiale

I battelli argentini non furono mai realizzati, ma due unità – sviluppate dalla IvS sulla base degli UIII – entrarono nel ’27 in servizio per la Marina turca. Ne seguirono altri tre in quegli anni per la Finlandia, uno per la Spagna ma mai acquistato dagli iberici, e ancora altri due per i finnici; uno di questi, il Vesikko, piccolo e ideale per l’addestramento degli equipaggi, fu consegnato solo nel 1936, sebbene fosse stato varato nel 1933: questo perché la Reichsmarine volle utilizzarlo per formare il suo personale aggirando il trattato di Versailles.

Parallelamente la IvS portava avanti i progetti per il riarmo della futura flotta tedesca: già nel 1932 si era studiata la necessità di avere tre tipi di battello: uno piccolo per il Baltico e il Mare del Nord e due medi rispettivamente per il Mediterraneo e il Nord-Atlantico. L’anno successivo si iniziò la costruzione a Kiel-Wik di una base navale dove poterli ospitare, ma per ragioni politiche non si poterono iniziare i lavori sui battelli fino al 1935; clandestinamente però si accumulavano i materiali e si predisponevano le sezioni dei cosiddetti MVB (Motorenversuchboot) ovvero “unità ricerche a motore”, di fatto U-Boot con un nome diverso per poter aggirare il Trattato – assemblandoli tra Kiel e l’Aia.

Molti erano i progetti in cantiere, ma la svolta avvenne nel giugno del 1935 con l’Accordo Navale Anglo-Tedesco che annullava gli accordi di Versailles e permetteva alla Germania di avere il 35% del tonnellaggio rispetto alle unità inglesi: circa 18.500 tonnellate. Ora in cantiere vi erano già 16 battelli (tra MVBI e II) da 4.500 tonnellate complessive pronti per essere assemblati; ne rimanevano quindi 14 mila, ma come sfruttarle al meglio? La rinominata Kriegsmarine scelse subito di creare dei battelli più piccoli allo scopo di addestrare un maggior numero di personale, se ne andarono così altre 3 mila tonnellate, ne rimanevano 11; la scelta ora era decidere se costruire altri 14 battelli grandi (MVBI) oppure 22 medio-piccoli da circa 500 tonnellate l’uno. La preferenza cadde sulla possibilità di avere un numero maggiore di battelli, ma per ironia della sorte non vi era un progetto sviluppato che rispondesse a questi criteri. Fu quindi necessario rispolverare un vecchio progetto del 1918 – quello degli UG da 350 tonnellate – e in fretta e furia adattarlo ai nuovi standard: si creò così una nuova categoria di sommergibili atlantici “tascabili” cui fu dato il nome di “Tipo VII”.

Il sommergibile italiano Ambra (a destra) e un U-Boot Type VII C al porto di La Spezia il 3 aprile 1942 (SM)

I primi sei modelli (VIIA), ordinati il 16 gennaio 1935, furono i primi di oltre 700 esemplari, che vennero realizzati (o previsti) in sei differenti varianti – diversificate meditante l’uso di lettere – e quindi prodotti fino al 1944 sotto l’egida dell’ammiraglio Karl Dönitz che sposò in toto il progetto “tipo VII” tanto da ordinarne più di 14 mila.

Le versioni differivano principalmente nel tonnellaggio: si andava dalle 600 tonnellate del tipo A alle oltre 1.000 dell’F il che ne variava anche l’autonomia. L’armamento era sempre composto da 5 tubi lanciasiluri (4 a prua e 1 a poppa), un micidiale cannone da 88mm Flak (lo stesso montato sul carrarmato Tiger) e da un cannoncino antiaereo da 20mm, alcuni infine potevano ospitare mine magnetiche. L’equipaggio era composto da 44 marinai (46 sull’F) che potevano contare sugli ultimi ritrovati della tecnica tedesca in materia di comunicazioni cifrate e di contromisure antiradar. Il maggior deficit rimaneva però la mancanza di un efficace sistema di ricerca radar-sonar; non che la Germania ne fosse sprovvista (GEMA FuMO 29-30), semplicemente era inferiore a quello utilizzato ad esempio dagli inglesi (H2S) che emetteva delle frequenze non captabili dai tedeschi: nel corso della guerra questo limite tecnico si dimostrò decisivo per l’individuazione e l’affondamento degli U-Boot, che erano sempre più alla mercé degli Alleati data la violazione del codice enigma e alla migliorata autonomia degli aerei ASW.

Al termine della Seconda Battaglia dell’Atlantico il contributo di sangue versato dai sommergibilisti della Kriegsmarine fu altissimo: secondo le stime di Boyne, furono 784 i sommergibili persi, ma soprattutto 27.491 i marinai che vi morirono.

LE LETTURE CONSIGLIATE:

Per una più dettagliata bibliografia si rimanda al seguente link consultato il 22 febbraio: https://content.historicengland.org.uk/images-books/publications/strategic-assessment-of-submarines-in-english-waters-project-report/6655-strategic-assessment-of-submarines-in-english-waters.pdf/ (p. 42 e seguenti).