L’Europa e la diffusione della retorica identitaria: un’analisi di Adriano Prosperi

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Jacopo Bernardini, Pisa –

Nel corso della storia recente si possono trovare continui riferimenti ad un termine il cui significato appare sempre più sfumato. La parola “identità” sempre più spesso si trova a sostituire nel linguaggio politico e pubblico i termini più comunemente usati nella terminologia degli storici come “cultura” o “civiltà”.

Identità è il titolo del nuovo libro di Adriano Prosperi, pubblicato con Laterza nell’ottobre 2016. Il noto storico in questo testo cerca di svelare le motivazioni che stanno portando alla sempre più massiccia diffusione della retorica identitaria all’interno del mondo Occidentale attraverso un dialogo costante con la storiografia. Il concetto di identità viene discusso e criticato per i suoi usi pubblici e politici e per la relazione che questi usi hanno con il pensiero e con la produzione storiografica. Il testo viene suddiviso dall’autore in due saggi, frutto di resoconti di convegni e relazioni tenute nel corso della sua brillante e luminosa carriera accademica.

Nella prima parte, dal pirandelliano titolo “Identità: Uno, nessuno, centomila”, Prosperi cerca di dare una definizione coerente di identità.

 

L’identità è il frutto di una classificazione di individui e popoli sulla base di caratteristiche che si immaginano permanenti e immutabili.

 

Nel concepire questa immutabilità si può cadere in due diversi abusi: percepire la distinzione di individui e popoli come barriera da innalzare tra diversi gruppi umani e ignorare la dimensione del mutamento che appartiene alla storia. Tutto questo, secondo Prosperi, sta accadendo proprio ai giorni nostri.

Adriano Prosperi

Tornando al peculiare titolo, esso viene giustificato dall’autore sottolineando l’esistenza di tre diversi aspetti dell’identità. Per prima cosa l’identità individuale (Uno), ciò che fa sì che un individuo si senta e sia una persona unica, composta di elementi quali il nome, la lingua, l’appartenenza nazionale: tutte peculiarità culturali, per loro natura mai statiche ma sempre dinamiche, sia che si parli di fattori ereditati, conquistati o interpretati. Successivamente Prosperi cerca di dimostrare l’esistenza di un “grado zero” dell’identità (Nessuno). Emblematico è il caso dell’essere umano embrionale, non ancora nato, per definizione privo d’identità ma potenzialmente aperto ad essa, su cui si instaureranno le costruzioni identitarie da parte di altri: egli, successivamente alla gestazione, si offrirà totalmente all’azione dell’ambiente che troverà e ai poteri che si eserciteranno su di lui. Infine le identità collettive, le identità di massa, il popolo come corpo collettivo (Centomila), a cui difficilmente si può attribuire una personalità storica: questa appartenenza collettiva è dunque una costruzione che passa da un lato attraverso il dominio (il potere), dall’altro attraverso gli scarti, cioè quello che viene rifiutato e cancellato sul piano storico.

I grandi meccanismi del potere che creano identità collettive vengono individuati, nella storia moderna e contemporanea, nella religione e nello stato; ma la storia stessa procede attraverso una dinamica di interstizi, di scarti, di ciò che viene lasciato fuori.

 

Da un lato continua ad esserci l’indagine su come, da chi e con quali risultati fu perseguita l’impresa della conquista culturale europea (cioè il colonialismo), dall’altro c’è stato e continua ad esserci il tentativo di recuperare per via di analisi degli scarti le identità perdute, cancellate dalla conquista (…) più dell’indagine su culture, poteri, identità vittoriose nel lungo periodo è la ricerca archeologica su ciò che fu combattuto, rifiutato, cancellato a dirci qualcosa di interessante sulla costruzione delle identità collettive.

 

Nella seconda parte, chiamata “L’Europa e le altre civiltà, le altre civiltà e l’Europa”, Prosperi si chiede quanto possa essere ancora attuale il termine “civiltà” all’interno del linguaggio storico, concentrandosi sulla nascita della concezione di “civiltà europea”, della nozione di Europa come entità collettiva. Determinati processi storici, come la diffusione del cristianesimo, la scoperta dell’America e la Rivoluzione francese, hanno formato nel tempo un sentimento di appartenenza ad una comunità europea: fondamentali per la nascita di tale sentimento furono gli scambi, fortemente ineguali, che le popolazioni europee ebbero con altre comunità. L’unico tratto tipico dell’Europa è sempre stato trovato nella molteplicità ma, paradossalmente, oggi la ricerca sulle radici culturali europee parte da una sempre più evidente chiusura identitaria.

Prosperi sostiene che da un lato l’espansione europea è stata accompagnata da una violenza coloniale ed epistemologica, mentre dall’altro è stata caratterizzata da un’assunzione del diverso, da un tentativo di comprensione, da un confronto con la diversità che ha funzionato da autocritica dall’interno per la stessa struttura della società Occidentale. Malgrado tutto ciò, nel pensiero contemporaneo ha finito per prevalere una caratterizzazione dell’Europa in termini identitari.

L’identità fa parte di una famiglia di parole (radici, etnicità, nazione, nazionalità) che “possono diventare pietre”, che sono sempre state usate per sottolineare la separazione e contengono “un potenziale aggressivo” depositato nella loro storia che è come un virus pronto a riattivarsi. Questa riattivazione si nota nei crescenti movimenti identitari contemporanei, dove sentimenti di appartenenza giocano una loro forza storica, sempre attiva.

Forte è la denuncia di Prosperi verso quello che chiama il “servilismo” della storia nei confronti di quel potere che insiste sulle identità, di quella storiografia che ricerca le origini di singoli popoli più che insistere sugli incontri o scontri, sulle interazioni tra civiltà diverse. Il sapere storico si fa “egoista”, parla solo dal proprio punto di vista, cioè quello della propria cultura. Le identità culturali non solo si coltivano ma si possono addirittura inventare, come nel caso dei Paesi sorti dalla disgregazione del blocco sovietico analizzati da Giuliano Procacci in Carte d’identità: un’invenzione del passato che diventa un metodo per elaborare società umane impermeabili una all’altra.

 

Si è venuta così delineando un Europa etnica a posizione di difesa contro il processo di unificazione continentale e contro l’apertura all’ingresso degli altri, sia i non provenienti dall’Europa, sia i non nati in quel determinato territorio. (…) non possiamo trascurare il fatto che oggi all’europeismo illuminato di minoranza si oppone il ritorno di fiamma di particolarismi etnici, mentre nel lavoro degli storici domina la ricerca dell’origine dei singoli popoli.

 

Si assiste, dunque, ad un processo di nuova naturalizzazione dei fatti storici e culturali, ad una tendenza a ricercare il gene di un determinato comportamento culturale: inevitabilmente tutto ciò porta ad un’Europa a carattere etnico.

Una vignetta satirica di Mauro Biani / www.maurobiani.it

Secondo Prosperi vi è una profonda differenza tra lo studio della diffusione dei sentimenti di appartenenza e l’assunzione di quest’ultima come dato naturale trasmesso con la nascita: la conoscenza storica deve, in questo caso, metterci in guardia, per evitare di ripetere gli errori già sperimentati in passato.

Le differenze culturali hanno caratterizzato tutta l’esistenza degli esseri umani: accettare il ritorno ad una visione illuministica dell’uomo come soggetto universale, le cui differenze nascono unicamente dai meccanismi di potere, sarebbe profondamente slegato dalla realtà storica. Rimane tuttavia necessario cercare di comprendere come le soggettività umane che agiscono nella storia siano costituite da molteplici differenze che, in mancanza di parole migliori, continuiamo a chiamare “culturali”.