Una storia semplice: il testamento di Leonardo Sciascia

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Daniele Aita, Catania –

Una storia semplice, l’ultimo romanzo di Leonardo Sciascia, apparve poco prima della morte, nel 1989: scritto nella lunga stagione della malattia e della solitudine, può dirsi a tutti gli effetti il testamento letterario dell’autore. Un ventennio era passato dalla pubblicazione de Il giorno della civetta e l’autore in questo lungo frangente temporale, oltre ad aver pubblicato numerosi libri, si era impegnato politicamente, e aveva partecipato intensamente ai dibattiti ideologici e politici del periodo, talvolta controcorrente rispetto alle opinioni diffuse. Del resto Sciascia si era imposto all’attenzione del pubblico nei primi anni Sessanta con alcuni romanzi in cui trattava di mafia (Il giorno della civetta, A ciascuno il suo), creando un’attenzione popolare sulla gravità di questo fenomeno quando questo ancora non era agli onori della cronaca come lo divenne successivamente.

La sua produzione narrativa si può suddividere in due periodi: il primo va da Le parrocchie di Regalpetra (1956) alla fine degli anni Settanta, il secondo da Il contesto (1971) fino alla sua morte. La prima fase fu strettamente legata alla storia siciliana e si avverte in essa un’ostinata speranza di cambiare le cose; la seconda si concentra invece sulla politica nazionale ed è dominata da un pessimismo sempre più acuto. Una storia semplice rientra difatti in questa seconda fase: nessuna fiducia più e nessuna speranza. Il tempo e le esperienze vissute hanno fatto sì che venisse meno quella possibilità di giustizia in cui tanto l’autore aveva creduto.

Il romanzo, contrariamente a quanto si possa dedurre dal titolo, presenta agli occhi del  lettore una storia estremamente complicata. La vicenda si commenta e si condanna da sé: c’è un morto scomodo, che la polizia vorrebbe far passare per suicida, una villa abbandonata che serve per la preparazione e lo spaccio di droga, il consueto scontro tra carabinieri e polizia, l’assoluto disinteresse, da parte dell’autorità giudiziaria, ad approfondire e cercare la verità riguardo questioni ambigue o pericolose. La trama si svolge in un luogo non precisato della Sicilia dove ritorna, dopo un’assenza di oltre quindici anni, un diplomatico in pensione per recuperare alcune vecchie lettere di Garibaldi e Pirandello, eredità di famiglia, a cui è particolarmente affezionato e che si trovano in un villino di campagna, di sua proprietà. L’anziano diplomatico nota delle stranezze verificatesi durante la sua assenza; pertanto informa le forze dell’ordine, che inviano per il giorno successivo un intraprendente brigadiere a verificare ciò che è realmente avvenuto. La vicenda ha un brutto epilogo: nel villino, riverso sulla scrivania, si scopre il cadavere del diplomatico che si accingeva a scrivere qualcosa su un foglio di carta. Le indagini da parte delle autorità vengono condotte frettolosamente in quanto si vuol chiudere presto l’episodio giudicandolo come un normale caso di suicidio, ma il brigadiere, di natura scettico, vuole andare fino in fondo, anche perché nel frattempo sta susseguendosi una serie di delitti: anche il capostazione e un manovale della stazione ferroviaria locale vengono trovati morti in circostanze misteriose .

La storia, che all’inizio si presentava semplice, diviene complicata cominciando a districarsi un aggrovigliato scenario in cui si trovano coinvolti personaggi forti e potenti i quali avevano scelto proprio il villino per i loro affari. Il brigadiere, che rappresenta quanto ancora di onesto possa esservi ancora, capisce la verità, ma se denunziasse il commissario, chi gli crederebbe? Perciò si erige a “giudice” e “boia” e lo uccide. Nell’impossibilità di rivelare la verità è necessario, dunque, trovare qualcosa che possa quietare l’opinione pubblica. Si dirà dunque che il commissario sia morto in un incidente. Sciascia riporta la notizia con un linguaggio giornalistico, quasi a schernire, con questo stratagemma narrativo, un potere che non ha il coraggio delle proprie azioni.

La locandina del film basato sul romanzo di Sciascia, con Gianmaria Volontè protagonista e Emidio Greco alla regia

In questa storia che tratta di mafia e droga, due sono i termini che non compaiono mai, e sono proprio questi. Ciò perché Sciascia sembra intenzionato a mostrare la realtà isolana come emblema dell’Italia tutta. La lezione è chiara: il male non abita solo in Sicilia, il male è globale. La Sicilia aiuta solo a capire meglio e più velocemente le cose. Una storia semplice è il frutto di una risultanza, che si manifesta apertamente anche in altre opere: i centri del potere economico e politico riescono ad offuscare la verità e a oltraggiare chi tenta, con l’arma della ragione, di palesare fitte reti di intrighi e di menzogne. Più si sale nella scala gerarchica (brigadiere, commissario, questore, procuratore della Repubblica) più cresce la prepotenza e l’incompetenza di chi dovrebbe servire unicamente la collettività, la collaborazione onesta con la giustizia assolutamente mal ripagata (con il tristissimo esito finale). In questa crisi della morale collettiva, si salvano solo coloro che non pretendono di essere i “giusti”, ma aspirano alla conoscenza e hanno sete di giustizia. Ma questo, appunto, non basterà a ridare fiducia anche se la giustizia e la verità hanno un fascino irresistibile per coloro che ci credono fortemente. Una delle scene più curiose del romanzo è quella in cui il professore rincontra, dopo tanti anni, il suo vecchio allievo divenuto magistrato (uomo dall’acuminata insulsaggine); costui gli ricorda dei voti mediocri regolarmente ricevuti nei temi di italiano, e sottolinea come nonostante ciò sia riuscito comunque a raggiungere un’elevata posizione sociale. Il professore gli risponde:

 

l’italiano non è l’italiano, è il ragionare [..] con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto.

 

Gianmaria Volontè in una scena del film Una storia semplice

Rispetto ad altri romanzi polizieschi di Sciascia, in questo manca completamente il personaggio dell’investigatore autonomo, come invece accade per il professor Laurana in A ciascuno il suo, ma una ruolo simile è comunque attribuito al brigadiere di polizia, Antonio Lagandara, che aspira alla laurea in legge, dotato di intelligenza e desiderio di conoscenza. Interessanti sono i particolari sulla stesura del testo che Leonardo Sciascia raccontò nel corso di un’intervista:

 

Di quest’ultimo racconto ci sarebbe da fare un racconto. Me lo sono raccontato per mesi: è stato un modo di sopravvivere allo strazio della malattia e delle cure, quasi in doloroso dormiveglia. Posso dire di averlo mentalmente scritto pagina per pagina e sarebbero state circa trecento. Ma appena ho trovato quel poco di energia che mi ha permesso materialmente di scriverlo, sono venute fuori una cinquantina di pagine e mi pare di non aver lasciato fuori nulla di tutto quel che avevo mentalmente scritto nelle trecento. Il romanzo è diventato un apologo: ma è meglio così. Per me certamente, per il lettore lo spero.

 

Una storia semplice è un romanzo ancora attuale, le cui tematiche sembrano rispecchiare alcuni aspetti appartenenti al nostro tempo: la voglia di cambiare le cose, le quali non cambiano mai ma finiscono per essere spezzate dalla negligenza delle istituzioni e dalla gente che non vuole migliorare. Dal romanzo venne tratto un omonimo film, per la regia di Emidio Greco, che uscì nelle sale nel 1991.

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