Quelli di sotto: la rivoluzione messicana di Mariano Azuela

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David Alfaro Siqueiros, Del porfirismo a la revolucion, Castello di Chapultepec, Città del Messico, Messico (1957)

Paolo Perantoni, Verona –

A cent’anni dalla sua prima pubblicazione – invero passata in sordina – è uscito in Italia il romanzo Quelli di sotto di Mariano Azuela, pubblicato per le Edizioni Sur a cura di Raul Schenardi.

Si tratta di un breve romanzo storico e per certi versi autobiografico che il medico messicano Azuela scrisse nel 1915 in Texas, dove si era rifugiato a seguito della rovinosa sconfitta di Pancho Villa a Celaya, avvenuta nello stesso anno a opera del generale Álvaro Obregón.

Mariano Azuela fu uno dei tanti oppositori al regime di Porfirio Díaz, scrisse infiammati articoli di giornale e una volta caduto il dittatore ebbe alcuni ruoli politici nel nuovo governo di Francisco Madero. Alla morte di quest’ultimo, prese parte alla guerra civile che si scatenò. Viaggiò come medico di campo a seguito delle forze di Julián Medina, seguace di Pancho Villa, che aveva deciso di continuare la lotta armata abbracciando la causa di Villa e Zapata.

Il romanzo, sebbene autobiografico, narra le vicende di Demetrio Macías, un contadino che, in seguito a degli screzi con l’autorità locale del suo paese, decide di ribellarsi senza un vero e proprio ideale da seguire. Non è la causa della Rivoluzione quella che muove Demetrio e i suoi uomini, quanto la necessità di sopravvivere per continuare a lottare un giorno in più. Solo l’incontro con Luis Cervantes, questo sì un possibile alter-ego dell’autore, fa alzare l’asticella delle pretese del gruppo. Luis porterà Demetrio e i suoi ad abbracciare la causa rivoluzionaria sfruttando al meglio le occasioni politiche che si presentano; è così che un gruppo di sparuti guerriglieri diviene una forza rivoluzionaria sempre più grande e forte che può contare sull’appoggio della popolazione.

 

Nel 1910, all’indomani dello scoppio della rivoluzione, il Messico poteva contare su circa 15 milioni di abitanti ma solo un quarto viveva nelle città. Le proprietà terriere della campagna, dove vivevano quasi 12 milioni di abitanti, erano in mano a poco più di 800 latifondisti e 400.000 piccoli e medi proprietari. Dal 1876 il paese viveva sotto un regime profondamente autoritario che stava portando una relativa modernizzazione economica ma i cui frutti erano finiti ad ingrassare le tasche delle classi alte urbane e dei grandi latifondisti, impoverendo sempre di più le masse popolari, in particolare i contadini – peones – in gran parte di etnia indios. Fu in questa condizione sociale che il ricco proprietario terriero progressista Francisco Madero chiamò a sé le masse e i proprietari illuminati inneggiando all’insurrezione armata contro il generale Porfirio Díaz.

È quindi in questo contesto che si caratterizza l’azione del gruppo di Demetrio Macías: la loro lotta contro i federales è sostenuta dalla popolazione che deve però subire i saccheggi e le violenze da parte di entrambi gli schieramenti.

 

“Com’è bella la Rivoluzione, anche nella sua barbarie!”, esclamò Solís commosso. Poi aggiunse sottovoce, in tono vagamente malinconico: “Peccato che ciò che verrà non lo sarà altrettanto. Bisognerà aspettare un po’. Che non ci siano più combattenti, che non si sentano altri spari salvo quelli della teppa che si dedica ai piaceri del saccheggio, e che risplenda diafana come una goccia d’acqua la psicologia della nostra razza che si può sintetizzare in due parole: rubare e uccidere…! Che delusione amico mio, se noi, che abbiamo offerto tutto il nostro entusiasmo e la nostra stessa vita per far cadere un miserabile assassino, diventassimo i costruttori di un enorme piedistallo su cui si innalzassero cento o duecentomila mostri della stessa specie! Un popolo senza ideali è un popolo di tiranni! Peccato per tutto il sangue versato…”

 

Sconfitto Díaz, Madero diviene presidente nel 1911 ma deve far fronte – oltre alle ali reazionarie che vedevano di buon occhio il vecchio dittatore – anche alle correnti rivoluzionarie più estreme guidate da Emiliano Zapata che chiedeva a gran voce la ridistribuzione delle terre ai contadini attraverso una radicale riforma agraria. Quando le forze conservatrici – guidate dal generale Victoriano Huerta – fanno assassinare Madero e occupano la capitale nel 1913, in Messico si ricomincia la lotta popolare.

Mariano Azuela

Dinnanzi al nemico del popolo, impersonificato in Huerta, si crea un fronte comune composto dalle forze irregolari di Zapata e di Villa e quelle regolari guidate da Venustiano Carranza e Álvaro Obregón; insieme riescono a sconfiggere Huerta e lo costringono alla fuga nel 1914, ma quando si deve discutere della formazione del nuovo governo lo scontro tra gli alleati ricomincia.

Mentre Carranza formava un nuovo governo promettendo una nuova costituzione, libertà politiche e riforme sociali e fiscali, Villa e Zapata ricominciano la lotta armata contro gli ormai ex alleati con l’obiettivo di dare la terra ai contadini. La guerra civile che ne scaturisce diviene ancora più violenta e sanguinosa della precedente; le stesse masse popolari si dividono: mentre i contadini seguono Zapata e Villa, gli operai appoggiano Carranza.

Anche l’ormai folto gruppo di Demetrio Macías deve scegliere da che parte stare; il loro condottiero non capisce bene cosa sta succedendo a livello politico, ma è fedele alla parola data al suo comandante – Julián Medina – per cui sposa la causa di Villa; il pensiero del gruppo è lasciato al “matto” Valderrama che forse più di tutti ha compreso cosa significhi questa lotta armata.

 

Valderrama fece un’espressione sprezzante e solenne da imperatore: “Villa…? Obregón…? Carranza…? X… Y… Z! E a me che me ne importa? Amo la Rivoluzione come amo il vulcano che erutta! Il vulcano perché è un vulcano, la Rivoluzione perché è la Rivoluzione…! Ma delle pietre che dopo il cataclisma finiscono sopra o sotto, che me ne importa…?”

 

Lo scrittore messicano Carlos Fuentes definì Quelli di sotto come una sorte di “Iliade scalza”, in riferimento anche al miserevole equipaggiamento degli insorti, ma ha pure sottolineato come l’epica del romanzo si degrada rapidamente: lo stesso Pancho Villa è ritratto da Azuela, con sottile ironia, come “un Napoleone messicano”.

Allo stesso modo i personaggi sono ben lungi da essere degli eroi: nessuno dei protagonisti è “un eroe a tuttotondo” come ha brillantemente scritto Schenardi nella postfazione del libro.

Un’altra sequenza del murales di D. A. Siqueiros

Anche i più grandi idealisti presenti nel romanzo si lasciano trascinare in violenze, saccheggi, soprusi nei confronti della popolazione contadina che dovrebbe essere protetta da loro. Quando il gruppo torna a Juchipila, dove nel 1910 si è scatenata la rivoluzione Valderrama esclama:

 

“Juchipila, culla della Rivoluzione del 1910, terra benedetta, terra irrigata dal sangue dei martiri, dal sangue dei sognatori…gli unici buoni!”

“Solo perché non hanno avuto il tempo di diventare cattivi”, completa brutalmente la frase un ufficiale, ex federale, che passa di lì.

 

Il romanzo di Mariano Azuela quindi è un insolito ritratto contro-epico della rivoluzione messicana e proprio perché non vi è né epos né retorica diviene una vivida e veritiera testimonianza della rivoluzione e della conseguente guerra civile messicana in cui la lotta non ha più niente di epico e dove sono sempre “quelli di sotto” a dover pagare il prezzo della sua violenza.

 

M. Azuela (a cura di R. Schenardi)

Quelli di sotto

Roma, Edizioni Sur, 2017

190 pp.