Canne, mille anni dopo: il racconto della battaglia

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Arturo Mariano Iannace, Roma –

Lo scontro

 

Nell’ottobre 1018, come abbiamo visto, un nuovo scontro, questa volta risolutivo, si profilava all’orizzonte tra due opposte forze: da un lato Melo, barese di nascita, intento a cancellare il dominio bizantino dall’Italia meridionale; dall’altro, Basilio Boioannes, nuovo rappresentante dell’imperatore Basilio II in quella stessa terra. La posta in gioco: il controllo dell’intera Puglia.

Non sappiamo quali fossero le intenzioni di Melo all’indomani della sconfitta subita, tra le mura di Trani, dal partito a lui favorevole. È altamente probabile che l’approssimarsi dell’inverno, e la necessità di rimpinguare le proprie forze dopo tutte le battaglie (vittoriose) sostenute contro i bizantini, abbiano spinto il barese ad optare per una ritirata strategica. Boioannes, al contrario, deve aver optato per una strategia decisamente più aggressiva; in caso contrario, risulterebbe difficile spiegare come mai lo scontro sia potuto avvenire in una località più nell’entroterra rispetto a Trani, lungo il tragitto che conduceva ai territori del principato longobardo di Capua-Benevento (da cui Melo, come si è visto, traeva parte delle sue forze, e probabilmente anche rifornimenti).

D’altronde, l’inseguimento di un nemico indebolito intento ad una simile manovra era una tattica tutt’altro che sconosciuta, soprattutto per la mentalità bizantina, avvezza a tali tecniche a causa della costante guerra di attrito contro gli Arabi in Asia Minore tra l’VIII ed il X secolo. Purtroppo, nessuna delle nostre fonti ci fornisce un quadro, pur anche approssimativo, delle forze in campo: sappiamo per certo che Melo possedesse un nucleo di cavalieri normanni, ed è facile intuire che la gran parte delle sue forze dovesse essere composta da truppe locali, di Longobardi provenienti sia dai principati meridionali (Benevento, Capua, Salerno) sia dagli stessi territori pugliesi; per l’esercito del catepano Boioannes, invece, abbiamo solo un vago riferimento, fornitoci da Ademaro di Chabannes, riguardo la presenza di Russorum. Si tratta probabilmente dei Rhos, i mercenari russi di origine scandinava già da diverso tempo impiegati nelle armate tagmatiche (gli eserciti da campo dell’Impero).

L’area archeologia di Canne della Battaglia

Questo ci permette di intuire che il grosso delle forze a disposizione del catepano non fosse di provenienza locale, bensì provenisse dal resto dell’Impero, possibilmente proprio dalle armate a disposizione del governo centrale, e cioè quelle unità tagmatiche (dal greco tagmata), composte sia da sudditi dell’imperatore che da mercenari stranieri, che ormai andavano a sostituirsi sempre più alle vecchie armate tematiche come forza militare principale dell’Impero. Sicuramente anche Boioannes aveva con sé un piccolo nucleo di cavalleria pesante (i famosi catafratti), la cui presenza era espressamente prevista dalla trattatistica bizantina del periodo, ed il cui ruolo, nelle tattiche dell’Impero d’Oriente, era fondamentale.

Le fonti restano laconiche anche sul resto dello scontro: non sappiamo chi dei due contendenti abbia ingaggiato effettivamente battaglia, né come essa si sia svolta nel dettaglio. Tutto ciò che abbiamo a nostra disposizione sono poche righe, che puntano per la maggior parte a mettere in rilievo il valore dei cavalieri normanni nello scontro (com’è prevedibile, trattandosi spesso di autori del periodo normanno, che puntavano proprio alla glorificazione delle gesta degli “uomini del Nord”); eppure, neppure le fonti più tendenziose (Amato di Montecassino e Guglielmo di Puglia, soprattutto) nascondono l’esito disastroso (per Melo ed i Normanni) della battaglia.

L’unica possibilità che abbiamo di crearci una, seppur vaga, immagine dell’andamento generale dello scontro, è di ricorrere sia a ciò che sappiamo sull’esito finale dello stesso, che sulle tattiche usualmente impiegate dai contendenti: così, è quasi certo che l’apice della battaglia sia stato costituito da una carica dei cavalieri normanni, vero asso nella manica di Melo, fronteggiata, evidentemente con notevole successo, dalle truppe bizantine, particolarmente dai cosiddetti menàulatoi, reparto di lancieri d’élite dell’esercito imperiale, il cui compito può venir suggerito dall’arma da cui traevano il loro nome: il menàulion, infatti, era una lunga e solida lancia. Non a caso, il compito codificato nella trattatistica dei menàulatoi era proprio quello di sostenere l’urto della cavalleria pesante nemica. Inoltre, la prassi imponeva, nel caso la carica del nemico fosse respinta con successo, di procedere poi ad una contro-carica da parte dei catafratti.

A questo punto, con i Normanni ormai fuori gioco (le fonti parlano di numerose morti tra le loro fila, che sarebbero state addirittura decimate), la fanteria di Melo si sarebbe trovata sola ad affrontare la carica dei temuti catafratti, dopo aver visto il fiore del proprio esercito respinto. Il tracollo dev’essere stato totale, perché non ci sono più tracce di alcun esercito a disposizione di Melo dopo la battaglia. Lo stesso barese riuscì a fuggire, ma da solo, e trovò rifugio presso l’imperatore germanico Enrico II, a Bamberga (dove morirà, peraltro dopo essere stato insignito del titolo di dux Apuliae dallo stesso sovrano, e dove è tutt’ora sepolto). I pochi Normanni scampati alla battaglia, invece, trovarono rifugio nei principati longobardi vicini, o nei territori pontifici (alcuni si misero al servizio di Datto, cognato dello stesso Melo, che deteneva il possesso di una torre sul fiume Garigliano per conto del pontefice).

La vittoria bizantina, quindi, risultò totale, in grado di spazzare via in un sol colpo di spugna l’intera serie di successi ottenuti da Melo fino ad allora. Da quel momento in avanti, la Puglia bizantina sarà internamente pacificata, le frontiere saranno restaurate e protette, grazie soprattutto all’intensa attività politica ed amministrativa del catepano Boioannes, che si dimostrerà, oltre che un brillante generale, anche un eccellente amministratore, restando in carica per ben dieci anni, ben più di ogni altro catepano (la cui media di governo si attesta sui due anni). A nulla varranno gli sforzi compiuti dall’imperatore Enrico II, che guiderà di persona una spedizione nel Meridione, nel 1022, per distruggere il nuovo sistema difensivo bizantino; le incursioni arabe sulla costa saranno respinte; ed i Normanni torneranno ad essere una minaccia solo ben dopo il richiamo di Boioannes a Costantinopoli (nel 1025).

La battaglia di Canne del 1018 non è conosciuta come quella del 216 a.C., né siamo altrettanto informati su di essa. Ma, forse paradossalmente, essa fu uno scontro ancora più risolutivo di quello, e garantì la presenza dell’Impero d’Oriente in Italia per quasi altri sessant’anni.

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