Uno scontro dimenticato tra l’Aquila e il Leone: Venezia e la guerra di Gradisca del 1615-17

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Maria Silvia Campus, Milano –

La Guerra di Gradisca fu un conflitto che vide contrapporsi, tra il 1615 e 1617, la Repubblica di Venezia e l’Arciducato d’Austria. Si svolse in Friuli tra l’Isontino, l’Istria, il Carso e il Tarvisiano.  I Veneziani giustificarono lo scontro con la necessità di indurre l’Arciduca Ferdinando a porre fine alle scorrerie degli Uscocchi, suoi sudditi, nell’Adriatico e nei territori istriani e dalmati allora sotto il controllo di Venezia.

 

Premesse

Le incursioni dei pirati uscocchi erano un problema che esisteva già da diverso tempo ma nel contesto europeo seicentesco avevano però assunto una nuova valenza. I veneziani erano convinti che, attraverso le aggressioni, l’Austria e dai suoi alleati volessero  attaccare il loro diritto sulla giurisdizione in Adriatico. Il dominio sul mare rappresentava per Venezia un valore assoluto ed esclusivo: se da un lato, consentiva il possesso delle vie di comunicazione di mare; dall’altro escludeva gli altri Stati nel fare altrettanto.

Un secondo motivo di discordia riguardava il secolare conflitto sui territori lungo il confine friulano tra Serenissima e Impero. Nella bassa pianura friulana il confine non seguiva nessun elemento naturale, prestandosi a sconfinamenti e dispute territoriali. Con la guerra i Veneziani  speravano di riconquistare Gradisca, persa nel 1511, e di annettere i territori austriaci posti lungo l’Isonzo.

La rioccupazione della fortezza avrebbe significato l’ottenimento di una posizione strategica di grande vantaggio: essa, insieme alla neonata Palmanova, sarebbe divenuta il centro di un nuovo sistema difensivo difficilmente superabile. Nell’estate del 1615 gli attacchi uscocchi, appoggiati da milizie arciducali, si moltiplicarono nei centri dell’Istria con assalti giornalieri e gravi danni ai civili. A Venezia la classe politica era divisa. Una parte dell’aristocrazia, guidata da Paolo Sarpi, attendeva un’occasione per schierarsi contro la Spagna ed entrare in guerra; l’altra parte, più vicina alla Chiesa, cercava di guadagnare tempo.

Una rappresentazione seicentesca dell’assedio di Gradisca


La Guerra e l’assedio di Gradisca

L’11 agosto 1615 fu approvata una deliberazione che consentiva l’aggressione alle basi uscocche. I risultati più importanti si ebbero con la presa del castello di Novi e della distruzione delle saline di Zaule. Nei giorni successivi, gruppi formati da soldati croati e uscocchi entrarono nel Monfalconese distruggendo i villaggi e conquistandone alcuni a ovest dell’Isonzo.

A Venezia questo episodio fu sfruttato per dare inizio a quello scontro che Paolo Sarpi aveva tanto auspicato e nel quale riponeva molte aspettative. Le ostilità iniziarono con la presa da parte della Serenissima di alcune postazioni: da Palmanova Pompeo Giustiniani, comandante dell’esercito veneto, si mosse con la fanteria e in pochi giorni conquistò tutti i villaggi sotto il controllo austriaco, a eccezione di Gradisca.

Nell’altro schieramento, gli arciducali si impegnarono nel rafforzamento delle loro piazzeforti e di alcuni castelli. Nonostante l’afflusso costante di soldati provenienti da diverse città italiane e straniere, l’esercito veneziano rimaneva appostato sui territori già conquistati senza tentare un vero e proprio assalto a Gradisca. La situazione era complicata dai continui colpi di mano, imboscate e azioni limitate mirate a sfiancare le linee veneziane.

L’assedio, ben presto, si trasformò in una statica contrapposizione di postazioni fortificate e trincee. Nella primavera del 1616, nonostante le artiglierie continuassero a bombardare le difese di Gradisca, ben pochi iniziarono a sperare in una rapida capitolazione della fortezza. L’unico auspicio era riposto nell’apertura di una breccia attraverso le mura settentrionali mediante l’utilizzo di mine.

L’operazione fu un fallimento ed ebbe come conseguenza diretta una valutazione delle azioni dei capitani, a partire dallo stesso Giustiniani. Le indagini non trovarono un colpevole e, anzi, portarono quest’ultimo a essere insignito del grado di maestro di campo generale.

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La fine della Guerra

In aprile si decise per un riesame della tattica militare: la mancata presa di Gradisca, lo stato delle truppe e l’accrescersi degli effettivi nell’esercito arciducale avevano tolto l’iniziale vantaggio di cui godeva l’esercito veneziano. La situazione non migliorò neppure in autunno: il 10 ottobre, Giustiniani fu ucciso durante una ricognizione e sostituito da Giovanni de Medici, che ebbe molte difficoltà nel tenere sotto comando le truppe olandesi di Giovanni di Nassau.

Con l’anno nuovo giunse al campo, con il titolo di Provveditore Generale, Nicolò Contarini colui che, assieme al Sarpi, aveva auspicato e premuto affinché Venezia entrasse in guerra. Un nuovo assalto su Gradisca, nuovamente mancato a causa delle indecisioni negli alti comandi, portò a far dire negli ambienti sarpiani “Venezia non è da guerra”.

A Venezia, intanto, già da alcuni mesi l’ala pacifista aveva fatto sentire la propria voce. In aprile iniziarono le trattative con l’invio di un ambasciatore a Madrid. In luglio, constatato il fatto che un esercito in quelle condizioni non avrebbe portato ad alcun risultato, fu inviato un ambasciatore anche a Parigi. Intanto la guerra procedeva e Gradisca continuava a resistere.

I veneziani costruirono tre nuovi forti e fondarono ridotti armati di artiglierie in modo tale che se da una parte la fortezza poteva essere presa a forza, dall’altro ne impedivano ogni rifornimento e soccorso. Proprio quando sembrava che la caduta fosse imminente, arrivò l’ordine di cessare ogni ostilità. La guerra poteva dirsi finita.

Frate Paolo Sarpi

Le trattative di pace

La pace venne stipulata in un accordo complessivo firmato a Parigi e a Madrid. I termini del trattato furono che l’Austria si sarebbe impegnata per scacciare gli Uscocchi da Segna, mentre la Repubblica avrebbe restituito tutti i territori presi durante la guerra.

Il prezzo pagato dalla Serenissima era stato elevato sia in termini di risorse umane che di sforzi finanziari. Anche il bilancio delle azioni di guerra era deludente: l’esercito aveva dimostrato poca coesione, scarsa organizzazione, insufficiente comunicazione tra i ranghi più alti e rivalità tra i condottieri. Quello che frustrava maggiormente era il fallimento della presa di Gradisca, dalla quale dipendeva il successo sul campo.

Tuttavia ci furono alcune note meritorie per Venezia: prima di tutto la Repubblica aveva saputo misurarsi alla pari contro un potente avversario; inoltre la guerra era stata portata nel territorio austriaco. Infine a Venezia, passate le disillusioni che la guerra aveva portato, ci si iniziò a chiedere quale ruolo la Repubblica doveva e poteva assumersi nel sempre più turbolento scenario europeo.

Con la firma degli accordi il conflitto si chiuse definitivamente, anche se ci volle un altro anno e una serie di incontri prima di arrivare ad una risoluzione definitiva, allo scioglimento delle compagnie, alla restituzione dei territori e allo scambio dei prigionieri.

In Europa quasi nessuno se ne accorse: a Praga, infatti, si erano accesi i focolai che avrebbero portato alla guerra dei Trent’anni, una serie di campagne che vennero combattute tra il 1618 e il 1648. Iniziata come una guerra di religione tra cattolici e protestanti sulle terre del Sacro Romano Impero, finì per diventare una lotta per l’egemonia tra la Francia e gli Asburgo.

LE LETTURE CONSIGLIATE:

  1. R. Caimmi, La guerra del Friuli 1615-17 altrimenti nota come Guerra di Gradisca o degli Usocchi, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2007
  2. F. Sartori, Pietro Foscari, dispacci. 1617-1618, Venezia, La Malcontenta, 2010
  3. M. Gaddi-A. Zannini (a cura di), Venezia non è da guerra. L’Isontino, la società friulana e la Serenissima nella guerra di Gradisca (1615-1617), Udine, Editrice Universitaria Udinese, 2008
  4. A. Puschi, Cenni intorno alla guerra tra l’Austria e la Repubblica di Venezia negli anni 1616 e 1617, in “Archeografo triestino, vol.7, fasc. 1-2 (1880-1881)