Vaccini anziché bombe durante la Guerra fredda

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Carlo Patriarca – Milano

Mentre l’Italia entra tra scossoni e contrordini nella più grande campagna vaccinale della sua storia e si discute di vaccini americani, russi ed europei, i baby boomers tornano con la memoria all’epoca in cui venivano messi in fila per ricevere un dadino di zucchero imbevuto di poche gocce di vaccino antipolio del dottor Sabin. In Italia accadde per legge solo dal 1967, ma la vaccinazione a tappeto era stata avviata nel 1964, in modo sistematico al nord e più lentamente al sud, dove in quel triennio la poliomielite colpì tre volte di più che nel resto del Paese: fortunatamente molti pediatri non avevano atteso lo Stato per dare il via all’immunizzazione e si erano dati da fare in proprio come potevano.

La scena si era ripetuta troppo spesso, dolorosamente. Il bambino entrava in ospedale la sera, con la febbre e il mal di testa e la mattina dopo la suora caposala andava incontro al primario con la faccia scura e la notizia a fior di labbra: non muove più le gambe (figura sotto). Quanto spesso era accaduto? Cinquemila volte l’anno in Italia, dieci volte tanto in America. Succedeva da decenni, soprattutto d’estate, a causa di diversi ceppi di poliovirus che irruppero nella nostra vita in modo epidemico solo nel ventesimo secolo.

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La storia della reazione scientifica a quest’emergenza è fondamentalmente una storia americana. E russa, perché la malattia si diffuse anche in Unione Sovietica, sia pure con un certo ritardo di tempo, proprio com’è accaduto con il Covid19. Questo ritardo però, alla fine, fu forse utile tanto alla ricerca di un vaccino efficace, quanto alla causa della pace, perché spinse i ricercatori russi sulla via di una “diplomazia del vaccino” proprio nel pieno della Guerra fredda, nel 1956, offrendo la possibilità di una vasta sperimentazione in cambio di un vaccino americano alternativo, quello del dottor Sabin.

Cos’era successo negli anni precedenti alla visita dei russi del 1956?

L’America conviveva da decenni con il polio panic, contrastato con misure drastiche come la chiusura estiva di piscine, cinema, scuole e centri sportivi. Franklin Delano Roosevelt nascondeva in pubblico la sua disabilità, causata dall’infezione contratta a trentanove anni in un campo scout, ma l’impatto simbolico del corpo malato del presidente doveva agire nel profondo dell’opinione pubblica, soprattutto nei mesi finali della malattia, coincisi con la fine della II Guerra Mondiale. Del resto, era stato proprio Roosevelt a promuovere la ricerca sulla poliomielite, lanciando nel 1937 la march of dimes.

Fu una donazione di massa di pochi centesimi, ben diversa dai cospicui contributi di pochi facoltosi cui oggi assistiamo spesso.  Ma vennero raccolti milioni di dollari che finirono in una fondazione per lo studio e la cura della paralisi infantile. Purtroppo, però, i progressi tardavano ad arrivare e per i casi più gravi non c’era altra soluzione che il polmone d’acciaio (figura sotto).

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L’anno della svolta per la ricerca di un vaccino fu il 1952. Jonas Salk (1914-1995) (figura sotto), che nei decenni precedenti aveva lavorato a un vaccino antinfluenzale e che negli ultimi anni si era dedicato allo studio dei diversi ceppi di poliovirus e li aveva coltivati su tessuti animali, provò finalmente il vaccino sull’uomo. I bambini svilupparono anticorpi e non ebbero alcun effetto collaterale. Salk aveva scelto di utilizzare il virus ucciso dalla formalina, diventato così una particella innocua ma ancora riconoscibile dal sistema immunitario. Forse con questa strategia la memoria immunitaria non sarebbe stata così forte, ma l’America gli diede credito: del resto Salk aveva provato il vaccino anche su di sé, sulla sua famiglia e sul suo staff. Venne avviato uno studio randomizzato su più di un milione di bambini, che la stampa battezzò come i piccoli “pionieri della polio”. I risultati furono molto incoraggianti. Si arrivò così al 1955 e all’annuncio solenne che il suo vaccino era efficace nell’80-90% dei casi. Il governo americano autorizzò la vaccinazione e lo scopritore non volle brevettare il suo protocollo, rinunciando a una firma che lo avrebbe reso milionario. “Si può forse brevettare il sole?”, disse alla stampa.

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Salk inietta il vaccino

Purtroppo, poche settimane dopo si verificò “l’incidente di Cutter” a seguito del quale decine di bambini vaccinati contrassero la poliomielite. Cos’era accaduto?  I Cutter laboratories californiani, una tra le company farmaceutiche autorizzate a produrre i vaccini, aveva derogato per errore al protocollo di Salk e una partita di vaccini sembrava non essere stata del tutto inattivata dalla formalina.

Ma non fu questa la sola ragione che spinse altri medici a proseguire nella ricerca di un vaccino alternativo a quello di Salk. Un vaccino costituito da un poliovirus vivo e attenuato al posto di un virus virulento e ucciso avrebbe avuto anche altri vantaggi.

Ne era convinto Albert Sabin (1906-1993) (Figura sotto): il vaccino andava ingerito e si poteva somministrare con una zolletta di zucchero e non con un’iniezione come quello di Salk. In questo modo il vaccino avrebbe seguito la via naturale dell’infezione ed espulso vivo avrebbe contribuito ad immunizzare la popolazione. Sabin sapeva di non essere ancora pronto, non aveva fretta, ma nel 1956 era già a buon punto nella selezione di ceppi attenuati. L’America però aveva puntato sul vaccino di Salk e per Sabin era difficile avviare i trial clinici negli USA. Aveva già provato il vaccino su di sé, su sua moglie, sulle sue figlie, sui suoi vicini e su dei volontari delle prigioni federali, ma non aveva numeri sufficienti per procedere e di collaborare con Salk non se ne parlava: troppa rivalità e troppe diversità di vedute.

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Sabin

Gli vennero in soccorso i russi. Una delegazione di scienziati sovietici era in visita da settimane, alla ricerca di una strategia per affrontare l’epidemia oramai dilagante anche in Russia. Incontrarono Salk, ma vollero conoscere anche Sabin e questo incontro cambiò il corso delle cose. Non dev’essere stato semplice, nel pieno della guerra fredda e col timore che i virologi russi fossero in realtà spie del KGB, potersi scambiare liberamente opinioni scientifiche e dati sui vaccini sotto il controllo occhiuto del Dipartimento di Stato. Ma avvenne: e avvenne anche per i rapporti umani che da subito si instaurarono tra Albert Sabin (ebreo nato in Polonia orientale, allora Russia) e il capo delegazione Mikhail P. Chumakov, che aveva svolto un ruolo attivo nel movimento di destalinizzazione della medicina russa (Figura sotto). La stima tra i due virologi, entrambi meticolosi e molto determinati, divenne presto un’amicizia solida e duratura e il loro legame ebbe un ruolo cruciale e in questa vicenda tanto importante per la sanità mondiale.

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Chumakov

Dopo la visita di Chumakov negli USA, sia Salk che Sabin vennero invitati in Unione Sovietica. Salk rinunciò, in fondo non aveva più molto da dimostrare, era già una celebrità e poi forse non voleva troppe seccature con l’FBI. Sabin invece accettò. L’FBI volle interrogarlo ripetutamente, nel timore che i russi volessero trasformare i suoi vaccini in un’arma biologica ma alla fine il Dipartimento di Stato gli concedette di visitare gli ospedali di Mosca e di San Pietroburgo e di tenere delle conferenze. Sabin rimase in Russia diverse settimane, controllato in ogni suo passo da spie di entrambi i blocchi. Ma grazie a questo viaggio e alle pressioni efficaci di Chumakov sul Politburo, fu avviato un trial che divenne presto una campagna di vaccinazione gigantesca per più di dieci milioni di bambini russi, sia pure senza il rigore di uno studio controllato. Entro la fine del 1960 erano stati vaccinati con il protocollo di Sabin settantasette milioni di bambini e ragazzi russi e ventitré milioni di minori nei paesi satelliti del blocco sovietico. In quello stesso anno l’OMS dichiarò che entrambi i vaccini erano efficaci e sicuri. Nei mesi successivi la diplomazia dei vaccini divenne anche guerra di propaganda e in Russia ci fu chi, col sostegno della stampa (Izvestia), tentò di attribuirsi la paternità della vaccinazione. In breve, per fortuna, il vaccino di Sabin e il nome del suo scopritore ebbero la meglio e il vaccino venne adottato anche in tutto l’occidente, Italia compresa.

Il nostro Paese è stata definito dall’OMS area polio-free dal 2002. Anche Sabin, proprio come Salk, non volle mai brevettare la sua scoperta.

 

Consigli di lettura

W. Swanson, Birth of a Cold War Vaccine. “Scientific American” (April 2012)

J.L. Franklin, A Cold War Vaccine: Albert Sabin, Russia, and the oral polio vaccine, in “Hektoen International. A Journal of Medical Humanities”. Link consultato il 17/3/21

D.M. Oshinsky, Polio: An American Story, Oxford University Press, Oxford, 2005

Per una storia romanzata:

P. Roth, Nemesi, Einaudi, Torino, 2011

Per i ragazzi:

S. Rattaro, Il cacciatore di sogni, Mondadori, Milano, 2017