La nascita del mito di Napoleone: la battaglia di Lodi e le sue conseguenze

Napoleone, Lodi, Campagna d'Italia, Battaglia di Lodi

Louis-François Lejeune, Il generale Bonaparte dà ordini alla battaglia di Lodi (1804)

Davide Galluzzi, Milano –

La famosa battaglia di Lodi (avvenuta il 10 maggio 1796) non ebbe solo conseguenze militari – che pure furono importantissime, visto che la vittoria francese consegnava a Napoleone e al Direttorio Milano e la Lombardia – o ripercussioni sull’ordinamento amministrativo della provincia lodigiana, ma anche risvolti politici importanti per la Francia.

Il 14 maggio, quattro giorni dopo la battaglia, Napoleone ricevette una comunicazione da parte del Direttorio. Il governo francese, probabilmente intenzionato a ridimensionare Bonaparte dopo le vittorie ottenute, ordinava al comandante in capo dell’Armée d’Italie di dividere il proprio esercito in due parti. Una, sempre sotto la guida di Napoleone, avrebbe dovuto occupare Livorno e poi, di lì, partire verso Roma e detronizzare il papa, l’altra sarebbe stata comandata dal generale Kellermann. Contemporaneamente le forze francesi avrebbero dovuto prendere Milano.

Questa forte intromissione direttoriale, ovviamente, contrariò Bonaparte, il quale rispose con due lettere: una indirizzata al Direttorio, l’altra a Lazare Carnot, Presidente del Direttorio, con cui era in stretto contatto. Nella prima missiva il giovane generale utilizzò un tono duro, criticando apertamente la decisione del governo. Egli ricordò i grandi successi ottenuti, sottolineò come ritenesse giustificata una certa sua indipendenza nelle decisioni perché riteneva che questa si basasse sulla fiducia che il Direttorio aveva riposto in lui, sostenne che dividere l’armata in quel momento sarebbe stato “assai impolitico” e, infine, rigettò le intromissioni governative nel comando della sua armata e giunse a proporre, di fatto, le proprie dimissioni.

Lazare Carnot

Con la seconda lettera, invece, Napoleone intendeva giustificare il tono usato nella comunicazione al Direttorio. Egli sapeva bene che il governo francese avrebbe potuto interpretare male le sue parole e per questo giurava a Carnot che nello scrivere quella risposta non aveva mire personali, ma il suo pensiero andava solo alla patria. Nel corso della breve missiva affermò, inoltre, di avere fiducia nelle doti di Kellerman, ma riteneva disastroso un comando congiunto, ribadendo quindi la propria intenzione di dimettersi (espressa sempre tra le righe e mai direttamente).

Lo scontro fu vinto da Napoleone. Il Direttorio, ritornato sui propri passi, decise di lasciare al generale il comando unico dell’armata e gli inviò la divisione di Vaubois come rinforzo.

La lotta tra il comandante ed il governo ebbe anche risvolti sulla linea tenuta dal primo. Da quel momento, infatti, Bonaparte avrebbe iniziato a muoversi in maniera ancora più indipendente e ad intromettersi negli affari politici. Se alcuni atti precedenti allo scambio epistolare (come ad esempio l’armistizio con il duca di Parma) e anche successivi (come le contribuzioni imposte a Milano) erano in linea con il Direttorio, da quel giorno in poi il generale iniziò a prendere decisioni in netto contrasto con il governo. Se ne hanno alcuni esempi nei giorni successivi all’ingresso di Napoleone a Milano, quando il generale corso “trasforma la milizia urbana in guardia nazionale; il 19 maggio emana un proclama sull’indipendenza e permette l’organizzazione delle nuove municipalità; arruola una legione lombarda” (J.Delmas, La manovra di Lodi e le sue conseguenze militari e politiche) oppure quando, il 15 giugno, sottoscrive un armistizio con il Regno di Napoli, imponendo condizioni molto leggere, in contrasto con la volontà del Direttorio che intendeva imporre condizioni più pesanti.

Victor Adam, La battaglia di Castiglione, 1836

La manovra di Lodi, così come tutta la campagna militare italiana, ebbe un’ulteriore, importantissima, conseguenza: la creazione di un forte legame tra Napoleone ed i suoi soldati, basata sull’affetto che questi avevano verso il primo e sull’ascendente che il generale esercitava sui suoi subalterni. Questo aspetto sarà fondamentale durante tutta la successiva epopea napoleonica.

Altro aspetto fondamentale della vicenda lodigiana fu  il valore propagandistico e iconografico che ad essa venne riservato. La battaglia al ponte di Lodi (così come la successiva battaglia di Arcole) fu una delle basi del mito napoleonico. Non è inutile, quindi, analizzare brevemente anche questo aspetto.

Il primo fatto che balza all’occhio è uno scarto tra gli eventi reali e la loro rappresentazione, soprattutto a livello iconografico. È noto, per esempio, come l’avanzata francese sul ponte di Lodi si fosse fermata a seguito del fuoco austriaco. Fu in quel momento che, per spingere le truppe all’azione, i generali Berthier, Massena, Cervoni e Dallemagne decisero di porsi alla testa della carica, episodio confermato anche dal rapporto che il commissario Saliceti inviò al Direttorio (nel quale veniva sottolineata l’importanza decisiva della presenza di Bonaparte e del modo in cui galvanizzò i soldati, ma veniva anche detto esplicitamente che furono gli altri generali a porsi alla testa delle truppe). Lo stesso Bonaparte, ospite del vescovo di Lodi, Gianantonio della Berretta, disse che la battaglia avvenuta il giorno precedente “non fu gran cosa”.

Horace Vernet, Napoleone guida i soldati alla battaglia di Arcole, 1826

Pochissimo tempo dopo, tuttavia, la situazione cambiò radicalmente. Le stampe dell’epoca iniziarono a ritrarre Bonaparte alla testa dell’armata che, con impeto, trascinava dietro a sé soldati e generali verso l’attraversamento del ponte e la conquista del Rivellino. Dietro a questo importante cambiamento parrebbe esserci proprio la mano del giovane generale. Michel Vovelle, nel suo saggio Nascita e formazione del mito napoleonico in Italia durante il Triennio. Le lezioni dell’immagine, riporta infatti due testimonianze che vale la pena trascrivere interamente. La prima è ad opera di Jules Michelet, il quale scrisse:

 

Chi fu l’autore dell’errore? Lui medesimo, bisogna dire. Un giovane incisore di Genova gli aveva mandato in offerta stampe raffiguranti le nostre battaglie. Bonaparte gli spedisce 25 Luigi con la raccomandazione: “Stampi il ponte di Lodi”. Per riconoscenza quel giovane non poteva tralasciare di raffigurarvi Bonaparte e la sua immagine rimane su quel ponte ormai per sempre.

 

La seconda testimonianza è del pittore Antoine-Jean Gros, il quale riporta così l’incontro avuto con Napoleone il 19 frimaio dell’anno V – ossia il 6 dicembre 1796, pochi mesi dopo la battaglia – :

 

Dopo qualche parola sul mio talento mi disse: “David mi ha chiesto questo disegno” e intanto mi mostrava il lavoro di un ufficiale d’artiglieria intento a riprodurre in modo veritiero e abbastanza spirituale le conquista del ponte di Lodi. “Vuole dipingerlo, ma ho altri bei soggetti che vi farò sapere”.

 

Una sostituzione dei ruoli è presente anche nelle rappresentazioni della successiva battaglia di Arcole, nella quale Bonaparte si affianca ad Augereau – quando non addirittura lo sostituisce – alla testa delle truppe impegnate nell’attraversamento del ponte – che, al contrario di quello lodigiano, si rivelerà un fallimento.

Napoleone arringa l’Armée d’Italie

Queste ricostruzioni propagandistiche a posteriori – vi sono esempi anche in letteratura: Stendhal ricostruirà l’ingresso di Napoleone in Milano a seguito della vittoria di Lodi affermando che “Cesare e Alessandro avevano un successore” – sembrano avvallate dall’affermazione di Bonaparte, riportata nel Manoscritto venuto in modo incognito da Sant’Elena, secondo la quale fu proprio dopo la battaglia di Lodi che il futuro imperatore si considerò per la prima volta “non più un semplice generale, ma un uomo chiamato a determinare la sorte di un popolo. Mi vidi nella Storia”. Proprio questo punto sta alla base della propaganda napoleonica e dell’utilizzo che essa fece della battaglia di Lodi (e di altri avvenimenti): il futuro imperatore non subiva la Storia, egli la faceva.

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