10 settembre 1977: L’ultima ghigliottina

Samuele Sottoriva, Padova –

Il 10 settembre 1977 la testa dell’ultimo ghigliottinato della storia di Francia cade sotto la lama. È quella di Hamida Djandoubi, tunisino, 27 anni, condannato a morte per stupro, tortura e omicidio della giovane Elisabeth Bousquet.

Djandoubi è l’ultima vittima di una lunga lista di condannati alla ghigliottina. Un elenco che parte da Nicolas Pelletier, semplice ladro giustiziato a Parigi in Place de Grève il 25 aprile 1792, passando per teste più o meno celebri e più o meno colpevoli: Luigi XVI, Maria Antonietta, Maximilien de Robespierre, Antoine Lavoisier, Olympe de Gouges, Gracchus Babeuf. Decine di migliaia di uomini e donne che, in poco meno di due secoli, finirono le loro vite sotto la Louisette. Fino all’ultima esecuzione capitale: Hamida Djandoubi, 10 settembre 1977, ore 4:40, prigione des Baumettes di Marsiglia.

L’eccezionale testimonianza di cui sono presentati e commentati alcuni passi è stata scritta dal giudice istruttore Monique Mabelly, nominata d’ufficio per assistervi. Il figlio Rémy ha recentemente consegnato il testo all’ex ministro socialista della Giustizia Robert Badinter che lo ha girato a sua volta al giornale «Le Monde» per pubblicarlo (9 ottobre 2013).

Il rapporto stilato da Monique Mabelly, consegnato dal figlio all’ex ministro della Giustizia Robert Badinter nel 2013

Tre pagine sobrie e riservate, un po’ verbale un po’ diario personale, con le quali Mabelly mise per iscritto ciò che aveva visto, sentito e provato. L’uscita dalla cella, la sigaretta, il bicchiere di rum, i tentativi di prendere tempo, la lama che cala, il sangue. L’ultima ora dell’ultimo ghigliottinato.

 

Esecuzione capitale di Djandoubi, cittadino tunisino.
Alle ore 15, il Presidente R. mi fa sapere che sono stata scelta per assistervi. Moto di rivolta, ma non posso sottrarmi. Convivo con questo pensiero per tutto il pomeriggio. […] Una macchina della polizia mi viene a cercare alle 4 e un quarto [di mattina]. Durante il tragitto non pronunciamo una parola. Arrivo alle Baumettes.

 

Le Baumettes è una prigione a sud-est di Marsiglia, a non molta distanza dalle Calanques, le splendide e selvagge spiagge della Provenza. Costruita negli anni Trenta del Novecento, sette originali sculture adornano il suo esterno: Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira, Accidia. I sette vizi capitali, pericoli da evitare se non si vuole finire all’interno delle sue mura.

 

Tutti sono là.  Si forma il corteo, una ventina (o una trentina?) tra guardie e “personalità”. Durante tutto il percorso delle coperte brune sono stese sul pavimento per attutire il rumore dei passi. Si apre la porta della cella. Sento dire che il condannato sonnecchiava, ma non dormiva. Lo si “prepara”. Ci si mette del tempo, perché ha una gamba artificiale e bisogna mettergliela. Aspettiamo. Nessuno parla.

 

Nel 1971 Djandoubi era stato vittima di un terribile incidente sul lavoro. Mentre lavorava in un’azienda agricola la sua gamba destra era finita sotto un trattore. I pompieri impegnarono oltre due ore tentando di salvare l’arto inferiore, ma ogni tentativo si rivelò vano. Quando Djandoubi si svegliò all’ospedale de la Conception la sua gamba destra era stata amputata fino al ginocchio.

 

Ritorniamo nel corridoio. Il condannato si siede su una sedia. Una guardia gli dà una sigaretta con filtro. Comincia a fumare senza dire una parola. Vedo tra le mani del boia, che si tiene dietro il condannato fiancheggiato dai suoi due assistenti, una cordicella per sostituire le manette con la corda. Il boia non si accontenta di togliergli le manette, ma pronuncia delle parole orribili e tragiche: «Vedete, siete libero!». Ho un brivido…

 

Marcel Chevalier, nato nel 1920 a Montrouge, sud di Parigi, era da poco più di un anno il boia ufficiale di Francia. Ricopriva lo stesso ruolo che fu di Charles-Henri Sanson, forse il boia più famoso, celebre rappresentante di una nota dinastia familiare ed esecutore di migliaia di decapitazioni, compresa quella del re Luigi XVI nel gennaio 1793. Quella di Djandoubi rappresentava la seconda esecuzione per Chevalier, che aveva già utilizzato la ghigliottina per Jérôme Carrein nel giugno 1977.

 

Fuma la sua sigaretta, che è quasi terminata, e gliene viene data un’altra. Ha le mani libere e fuma lentamente. È in questo momento che vedo che comincia veramente a realizzare che è finita – che non può più scappare – che è in quel momento che la sua vita durerà tanto quanto durerà quella sigaretta. […]
È già trascorso più di un quarto d’ora. Una guardia, giovane e dal fare amichevole, si avvicina a lui con una bottiglia di cognac e un bicchiere. Gli riempie mezzo bicchiere. Il condannato comincia a bere lentamente. […]
Il bicchiere è quasi terminato e, ultimo tentativo, domanda un’altra sigaretta. Ma il boia, che comincia a spazientirsi, si intromette: «Siamo già stati molto gentili, molto umani, ma ora bisogna finirla». Un certo fastidio comincia a impadronirsi degli assistenti. Sono ormai venti minuti che il condannato è seduto sulla sedia. Venti minuti così lunghi e così corti!
Tutto si mescola. […]
L’ultima sigaretta è rifiutata, e, per finire, si preme perché finisca il suo bicchiere. Beve l’ultimo sorso. Tende il bicchiere alla guardia. Subito, uno degli assistenti del boia fa uscire delle forbici dalla tasca e comincia a tagliare il collo della camicia blu del condannato. Il boia fa segno che la scollatura non è abbastanza larga. Allora l’assistente dà due grandi colpi con le forbici nella schiena della camicia e, per semplificare il tutto, denuda tutta l’alta schiena. […]
Le guardie aprono una porta del corridoio. La ghigliottina appare, di fronte alla porta. Quasi senza esitare, sono le guardie che spingono il condannato e anche io entro nella stanza (o, forse, una corte interna?) dove si trova la “macchina”. Di lato, aperto, un grande cesto di vimini bruno.

 

Per quasi tutto il Novecento ci sono state due ghigliottine operanti in Francia: una a Parigi e una itinerante. Ma quando nel 1964 quest’ultima vene inviata in Martinica per un’esecuzione sul posto, fu lasciata nelle Antille per eventuali future esecuzioni “d’oltre-mare”.

La macchina era diversa da quella utilizzata per la prima volta nell’aprile 1792. Le scanalature all’interno dei montanti erano state foderate di metallo, minuscole ruote erano state poste sui lati della lama per accelerarne la discesa, e la lunette, che teneva fermo il collo del condannato, era stata resa regolabile.

Il trafiletto di Le Monde con la notizia dell’esecuzione di Hamida Djandoubi

Quella trasportata da Parigi a Marsiglia pesava complessivamente 580 chili e la lama, di 39 chili, cadeva da circa due metri e mezzo in due decimi di secondo. E, dettaglio più importante, avrebbe impiegato due centesimi di secondo per tagliare il collo di Djandoubi.

 

Tutto si svolge velocemente.
Il corpo è quasi gettato a terra a pancia in giù ma, in quel momento, mi volto, non per timore di “svenire” ma per una sorta di pudore (non trovo altre parole) istintivo, viscerale.
Sento un rumore sordo. Mi volto – del sangue, molto sangue, del sangue molto rosso – il corpo è precipitato nel cesto.
In un secondo, una vita è stata tranciata. L’uomo che parlava, meno di un minuto prima, non è più che un pigiama blu in un cesto. Una guardia prende una manichetta dell’acqua. Bisogna cancellare presto le tracce del crimine…ho una sorta di nausea, che controllo.
Ho in un me une révolte froide.

 

Djandoubi fu l’ultimo uomo a essere giustiziato in Francia. Altre persone furono condannate a morte nell’Esagono ma con la legge n. 81-908 del 9 ottobre 1981, fortemente voluta dal ministro della Giustizia Robert Badinter, la pena di morte venne abolita e la ghigliottina fu consegnata alle sale dei musei.

O forse no? … Nel 1996 Doug Teper, deputato della Camera dei Rappresentanti della Georgia (USA), avanzò una curiosa proposta: l’utilizzo della ghigliottina per alcune esecuzioni capitali. La sedia elettrica, si legge nel disegno di legge n.1274, non permetteva al condannato di donare i propri organi visto che il passaggio dell’elettricità li rendeva inutilizzabili per un trapianto. La ghigliottina, al contrario, sarebbe stato un metodo di esecuzione compatibile con la volontà di donazione del condannato.

Il disegno di legge non passò.

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