Sulla congiura di Marin Faliero. Intervista a Giorgio Ravegnani

 

A cura di
Giuseppe Catterin, Venezia –

In concomitanza con l’uscita del suo ultimo libro, “Il traditore di Venezia. Vita di Marino Falier doge”, edito da Laterza, abbiamo colto l’occasione di intervistare il Prof. Giorgio Ravegnani, docente di storia bizantina presso l’università Ca’ Foscari di Venezia.

Professore, partiamo da una domanda un po’ banale, ma necessaria: quali sono le ragioni che l’hanno spinta a focalizzarsi proprio su tale figura?

 

La motivazione per cui ho scelto di focalizzarmi sulla figura di Marino Faliero è casuale.
In primo luogo, la casa editrice Laterza mi ha chiesto una monografia su di un doge, settore in cui vorrebbe espandersi – ed io, avendo a suo tempo fatto una voce per il dizionario bibliografico sul Faliero, mi ricordavo particolarmente bene del suddetto doge. In secondo luogo, mi pare un doge abbastanza caratteristico per un motivo ben preciso: la figura del doge, a partire da una certa epoca, diventa abbastanza irrilevante. A parte, chiaramente, alcuni casi, come l’esempio di Enrico Dandolo, il quale è stato ampiamente biografato, e Francesco Foscari, che ha avuto parecchi estimatori e studi a lui dedicati. A questi due nomi aggiungerei anche il Faliero, poiché mi è sembrata una figura abbastanza evanescente. Evanescente nel senso che su di lui esisteva, e persiste ad esistere, una storiografia d’impronta veneziana, Otto-Novecentesca, che fu più indirizzata alla ricerca delle fonti d’archivio che non alla valutazione del fatto storico in maniera più ampia.
Tale ottimo lavoro, dal mio punto di vista, andava svenezianizzato.

La congiura del Falier ha avuto una particolare fortuna per quanto concerne lo sviluppo di un filone mitico intimamente legato alle sue sorti e che, al variare degli estremi cronologici, giunse addirittura ad elevarlo al rango di eroe romantico. Non volendo alimentare tale fenomeno mitopoietico, come può descrivere la figura di Marin Faliero? Cosa ne pensa circa i motivi che lo spinsero ad ordire la congiura?

 

Io personalmente mi sono sempre definito uno storico “libero e non seguo nessuna corrente: per me la storia non è catechesi: detesto i filoni storiografici, e non apprezzo le forme di catechesi storiografica. Posso far bene, posso far male. Come storico voglio solo rispondere alla mia coscienza: mi pare inutile giudicare le persone, anche storicamente. Un doge come Faliero può aver ordito la congiura perché gli offesero la moglie? E noi cosa ne sappiamo su come può reagire un essere umano?
L’uomo aveva una grande esperienza pubblica, avvezzo alle più diverse posizioni: era stato all’estero, aveva ricoperto ruoli nelle magistrature veneziane. E doveva sicuramente avere anche un carattere forte viste le circostanze che lo portarono all’elezione: subentrò, infatti, ad un doge abbastanza debole, come Andrea Dandolo, in un momento delicato per la storia di Venezia.

 

 

Carattere che, tuttavia, non gli servì: la congiura, infatti, si risolse in un nulla di fatto.

 

Sì, gli anticorpi erano efficientissimi. Il patriziato veneziano non perdona, e mantenne alta la guardia per parecchi anni: senza voler anticipare nulla al lettore, emblematico rimane l’esempio di un monaco veneziano. Ancora a parecchi anni dalla congiura ordita dal Faliero, venne fermato mentre si trovava su di una barca a San Giorgio e accusato di essere un cospiratore.
Insomma, ci fu una forma di nervosismo presso il patriziato veneziano, che già aveva subito la congiura di Tiepolo e di Marin Bocconio. Questa, tuttavia, a differenza delle altre, era una congiura grossa: partiva da un doge, e mirava a rovesciare completamente lo stato esistente a Venezia.

 

Giorgio Ravegnani

 

Ultimamente, grazie anche all’opera di molti storici, il connubio tra storia e narrativa sta riscuotendo un successo sempre più crescente. Nell’opera di gestazione di un testo, qual è il rapporto che vuole che si instauri tra le ed un ipotetico lettore?

 

Lo scopo a cui aspiro è che il lettore ipotetico capisca quello che voglio dire. Se lei mi chiede come scrivo un testo, anch’io preparo gli schemi, anch’io scrivo al computer durante i tempi morti.
Certo, bisogna imparare qualche metodo, qualche passaggio, qualche regola. Ma a spingermi è sempre la convinzione del postulato “parla come mangi”. La storia accademica è indirizzata ad un determinato settore, che è appunto quello degli accademici, e quindi molto spesso è una storia criptica, fatta per segni. Una specie di storia corporativa, che fa sì che non è alla portata di tutti: molte opere sono veramente complesse, e ci vuole davvero una preparazione di base che non tutti hanno. Secondo me invece, bisogna arrivare ad un certo equilibrio. Ovvero sia, fare una storia che abbia dei requisiti, e che quindi non risulti una boiata, ma che al contempo sia però alla portata di più persone, che non hanno una preparazione accademica ma che nutrono una passione per la storia.

 

Federico Hayez, Gli ultimi momenti del Doge Marin Faliero, 1867, Milano, Pinacoteca di Brera

 

Quali furono le motivazioni che la spinsero a scegliere di studiare storia?

 

Io ho iniziato la mia carriera all’accademia aeronautica. Nel contempo ho studiato, mi sono laureato in Lettere, iniziando le mie prime ricerche storiche. Successivamente, ho avuto la possibilità di venire a lavorare qui a Venezia, presso la Fondazione Cini. La scelta di occuparmi di storia?
La vocazione per la Storia è per me naturale, non mi è stata imposta: mi è sempre piaciuta. Le passioni, d’altra parte, non hanno una motivazione logica. E per fare lo storico ci vuole la passione per la storia. Altrimenti uno si mette a fare un lavoro qualunque. Ma, in questo caso, non è un lavoro che ha scelto, ma da cui è stato scelto.

Come mai storia bizantina?

 

I casi della vita! Mi sono laureato in Storia bizantina ad Urbino e poi ho proseguito con la storia bizantina. Un giorno andai a lezione di filologia bizantina, ero l’unico, ed il professore è stato molto disponibile. Mi ha insegnato a leggere la paleografia greca, studiando la “Storia” di Giovanni Cantacuzeno: vista la disponibilità del professore, decisi di laurearmi con lui. Difficilmente, infatti, uno nasce decidendo di fare lo storico bizantino. Personalmente, mi piaceva anche la storia romana – e infatti ove possibile trasbordo nel Tardo Antico.

Terminiamo la seguente intervista con una domanda che esula completamente dagli argomenti fin qui trattati, ma doverosa vista la sua particolare attenzione per il tema. A sua detta, quale fu il periodo migliore per le armi romee?

 

Direi il periodo di Giustiniano e di Basilio II. Con però alcuni distingui. La struttura militare giustinianea è ancora una struttura romana, seppur evoluta; quella Basiliana, invece, è più bizantina. Giustiniano, inoltre, aveva sì un esercito ben organizzato, ma spesso aveva dei pessimi generali. Basilio II, invece, fu un grande generale: guidava personalmente i propri eserciti. Insomma, darei un bel 10 a Basilio II, e un 8 a Giustiniano.