Come crollò il ‘faro del mondo’: l’assedio di Costantinopoli del 1453

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Jacopo Bernardini, Torino –

 

Quando l’ombra dei riccioli scompigliati della notte simile ad un indiano scese sulla guancia bianca del giorno, i combattenti della jihad traversarono il fossato e appoggiarono scudi e scale alte come il cielo alle mura delle torri. La battaglia durò fino al mattino, fino a che l’Armata Greca dell’alba non ebbe irrorato di sangue la piana dell’aurora per contendere la Fortezza celeste delle dodici torri al Comandante Negro del Crepuscolo che l’aveva occupata.

 

In questo modo lo storico turco Tursun Bey descrisse l’assalto Ottomano del 28 maggio 1453 alle mura di Costantinopoli. Per l’allora Sultano Mehmet II l’idea della conquista di Costantinopoli era diventata un’ossessione da tempo. La sua grade brama di conquista fu sicuramente influenzata dalla visione imperiale che Mehmet aveva del suo ruolo: prima di diventare Sultano nel febbraio dei 1451, il futuro “Conquistatore” accrebbe la sua esperienza nelle faccende belliche, incominciò a padroneggiare la letteratura classica persiana, greca e latina e imparò sei lingue. La conquista di Costantinopoli era ritenuta dal giovane Mehmet come indispensabile per lo sviluppo armonioso dell’Impero e per l’appropriazione della pesante eredità bizantina. Mettere le mani sulla capitale dell’antico impero romano, dando allo Stato Ottomano una vocazione universale, era un sogno accarezzato dalla Porta già ai tempi di Bayazed I: da tempo Costantinopoli era considerata solamente un’enclave all’interno dell’impero della Sublime Porta.

Almeno inizialmente, la politica seguita dal nuovo Sultano fu improntata alla prudenza e alla flessibilità, rinnovando, allo stesso tempo, la pace con Costantino XI e con i Veneziani. Tale prudenza era ritenuta necessaria a causa della particolare situazione anatolica: qui il karamanide Ibrahim diede origine ad alcune importanti rivolte, talmente estese che dovettero richiedere l’intervento diretto di Mehmet II per essere sedate. Ristabilito l’ordine in Anatolia, il 15 aprile 1452 Mehmet violò il trattato precedentemente stipulato con i Bizantini, dando inizio alla fondazione di una grande fortezza sul lato europeo del Bosforo, il Rumeli Hisari. La costruzione del “Tagliagola” durò quattro mesi e mezzo, fino al 31 agosto, e coinvolse più di cinquemila tecnici. Il forte fu dotato di cannoni che permettevano di tenere sotto scacco ogni imbarcazione che voleva attraversare il Bosforo. Questo gesto di aperta ostilità venne acuito dalla decapitazione, in giugno, degli ambasciatori bizantini inviati per chiedere spiegazioni presso il Sultano.

Un atteggiamento così ostile da parte Ottomana non poteva essere ignorato dall’imperatore bizantino Costantino XI Paleologo, detto Dragasse (da Elena Dragas, madre serba di Costantino): tuttavia le invocazioni di soccorso rimasero pressoché inascoltate. Veneziani e Genovesi tenevano ai loro ottimi rapporti commerciali con l’Impero Ottomano, mentre il Papa considerava prioritaria l’applicazione dell’Unione delle Chiese decisa a Firenze nel 1431: nei fatti, il pontefice pretendeva una sanzione definitiva della sottomissione a Roma. Il cardinale Isidoro di Kiev, legato papale, arrivò a Costantinopoli il 26 ottobre 1452: egli chiese, ed ottenne, che a Santa Sofia si svolgesse una funzione religiosa per celebrare l’Unione in presenze del basileus e della corte.

Mentre i bizantini si trovarono in difficoltà fin da subito, Mehmet II riuscì con facilità ad ottenere il controllo delle città sulla costa della Tracia, radunando, inoltre, una considerevole flotta a largo di Gallipoli. Il Sultano era fermamente convinto che l’unico modo per riuscire ad espugnare la città fosse quello di ottenere il controllo del mare. Per quanto riguarda l’artiglieria, gli Ottomani capirono, precocemente per quei tempi, la sua importanza in campo militare: essendo le loro conoscenze tecniche insufficienti, i Sultani assoldarono degli specialisti con le adeguate conoscenze nel campo della fusione dei cannoni. Il celebre fonditore Urban ricevette da Mehmet II un timar, cioè un appezzamento di terreno con le relative rendite, per i servizi resi alla Sublime Porta: per il trasporto dell’imponente cannone creato dall’ingegnere ungherese al Tagliagola furono necessari settanta coppie di buoi e duemila uomini. Di fronte ad un esercito Ottomano che si lasciava alle spalle definitivamente i metodi di combattimento medievali, i suoi avversari, che non fecero altrettanto, non potevano che risultare perdenti.

Per provare a resistere ad una tale forza offensiva (oltre 160.000 uomini), le difese cristiane, composte da circa 7.000 elementi, vennero disposte principalmente lungo le linee terrestri, dato che le fortificazioni marittime venivano giudicate sufficientemente solide. Lungo la cinta muraria di Costantinopoli, lunga ventidue chilometri e mezzo, fu creata una disposizione a scacchiera di bizantini, veneziani e genovesi, un modo tale da integrare al meglio i diversi tipi di combattimento. I due lati sul mare, facilmente difendibili, erano protetti dalle imbarcazioni Ottomane da una grossa catena che impediva l’accesso al Corno D’Oro. Nell’entroterra le celebri mura teodosiane, lunghe sette chilometri, non erano mai state violate: fortemente volute dall’imperatore Teodosio II (408-450) nel 413 d.C., esse si estendevano sino a Nord al quartiere Le Blacherne, scendendo verso la porta di San Romano, mentre l’estremità Sud coincideva con il quartiere di Studion, sul Mar di Marmara, e con la Porta D’Oro. Le fortificazioni più vulnerabili, cioè quelle della Porta di San Romano, erano presidiate da Costantino XI e dal comandante militare genovese Giovanni Giustiniani Longo, mentre la parte nord, fino all’intersezione con il Corno D’Oro, era presidiata dal Bailo veneziano Girolamo Minotto.

Nel febbraio del 1453 le truppe del Sultano incominciarono a radunarsi intorno alla città: Mehmet II, preceduto da cannoni e macchine d’assedio, raggiunse i suoi uomini il 2 aprile. Il Sultano ammassò l’esercito presso l’attuale quartiere di Topkapi, sperando di fare breccia attraverso il costante bombardamento dei cannoni: tuttavia, per lungo tempo, gli assediati riuscirono a riparare i danni inflitti alle mura dai colpi dell’artiglieria pesante. Gli attacchi Ottomani del 18 aprile, del 7 maggio e del 12 maggio vennero efficacemente respinti, mentre la flotta turca subiva ingenti perdite cercando di forzare il blocco del Corno d’Oro.

Mehmet II, con una brillante mossa strategica, decise di eludere tale blocco: il 22 aprile una parte della flotta del Sultano, composta da settantadue vascelli, riuscì a penetrare nel Corno d’Oro attraverso un ponte terrestre formato da rulli di legno, creato appositamente partendo dal porto di Besiktas. Ciò rese le mura che davano sul mare più esposte, riducendo, allo stesso tempo, le capacità difensive dei cristiani, già notevolmente provati dagli incessanti combattimenti.

L’ultimo, decisivo, assalto, venne stabilito per la notte del 28 maggio: la grande sproporzione di forze in campo si rivelò determinante. Nessun lato della città venne risparmiato durante l’attacco, ma fondamentali furono i tre assalti successivi nella valle di Lycus. Le mura di Costantinopoli, fino a quel momento invitte, caddero sotto i tartassanti colpi dell’artiglieria Ottomana. Con la defezione dei Genovesi, causata dall’allontanamento dalla battaglia del comandante Giustiniani, i greci ed i veneziani persero ogni speranza. L’ultimo imperatore bizantino morì combattendo. Il “faro del mondo”, la “città delle città”, come veniva chiamata all’epoca Costantinopoli, non poté nulla contro la straordinaria forza bellica Ottomana: la seconda Roma aveva trovato dei degni eredi.

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