Storia di una regina guerriera: Eleonora d’Arborea nella Sardegna medievale

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Jessica Romiti, Torino –

Eleonora d’Arborea rappresenta una dei principali personaggi della storia sarda, prefigurandosi, al contempo, come grande donna del medioevo italiano. La sua figura si trova a metà tra la storia e la leggenda. Viene definita, soprattutto dai Sardi, come una grande eroina, la patriota che dette la sua stessa vita per amore della sua terra, donna fiera e bellissima. Quel che è certo è che nella seconda metà del XIV secolo divenne giudicessa d’Arborea – ovvero sovrana – e si pose l’obiettivo – purtroppo per lei mai raggiunto- di unire l’intera isola, allora divisa in quattro parti, sotto un unico dominio, svincolandosi dal vassallaggio alla corona aragonese. La Sardegna, inoltre, le è debitrice di una carta legislativa, la Carta de Logu, decisamente avanzata per l’epoca, tanto da essere rimasta in vigore fino al 1827, quando venne sostituita dal Codice Feliciano.

 

La situazione sarda a metà del XIV secolo

Eleonora nacque a Molins Rei, in Catalogna, nel 1347. Figlia di Mariano IV dei de Serra Bas e della catalana Timbora di Roccaberti, in tenera età si trasferì in Sardegna con la famiglia. Il padre fu uno dei maggiori governanti del giudicato d’Arborea: fiero difensore della sua autonomia, la sua linea politica era permeata dalla visione di un certo indipendentismo sardo da qualsiasi ingerenza straniera.

Va detto, infatti, che la Sardegna medievale era divisa in quattro entità territoriali autonome, chiamate giudicati (Torres, Arborea, Gallura, Cagliari), ognuna retta da proprie leggi e governanti. Tuttavia, l’autonomia di questi territori venne meno quando il papa, nel 1297, elevò la Sardegna, assieme alla Corsica, al rango di regno, donandola come dominio feudale a Giacomo II, re d’Aragona. Alla lenta ma inesorabile conquista territoriale aragonese si oppose, però, il giudicato di Arborea. Rompendo il vincolo vassallatico, Mariano IV diede avvio, nel 1353, ad un lungo conflitto – la guerra sardo-catalana – che contrappose per mezzo secolo l’Arborea, intenzionata a bloccare il sempre crescente potere aragonese nell’isola, alla corona iberica stessa, desiderosa di riunire tutto il territorio sardo e trasformarlo in provincia del regno aragonese.

Nell’ottica di una ricerca di alleanze in chiave anti-aragonese, intorno al 1376 Eleonora sposò Brancaleone Doria, il cui casato – genovese – vantava vasti possedimenti nella porzione nord-occidentale dell’Isola.

I legami con la Superba, tuttavia, erano destinati a rafforzarsi. Nel 1382, Eleonora si trasferì a Genova. In questa occasione venne sottoscritto un prestito tra Eleonora e il doge della Repubblica di Genova, Nicolò Guarco, in base al quale a quest’ultimo veniva concesso un prestito di 4.000 fiorini d’oro, da restituire entro dieci anni; in caso contrario la penale prevedeva una multa di 8.000 fiorini. Ma, cosa più importante, vennero stipulati accordi riguardanti il matrimonio tra i rispettivi eredi: il figlio maggiore di Eleonora, Federico, avrebbe sposato la figlia del doge, Bianchina, non appena raggiunta la pubertà. Era, probabilmente, un’altra mossa per guadagnarsi l’alleanza con la repubblica genovese. Infatti, nonostante la pace stipulata tra Genova e Pietro IV d’Aragona qualche anno prima, la Superba nutriva grossi interessi a fornire aiuto e sostegno agli Arborensi.

L’ascesa di Eleonora al giudicato

L’assassinio del fratello Ugone III nel 1383 pose immediati problemi circa l’elezione di un nuovo giudice. Eleonora si prodigò immediatamente affinché al governo d’Arborea fosse eletto il proprio figlio primogenito. Prima di tutto rientrò in Sardegna e stroncò con energia ogni forma di ribellione in atto sui suoi territori. Successivamente, scrisse una lettera al re d’Aragona per chiedergli di riconoscere Federico come legittimo successore al governo. Vista la delicatezza della situazione, il marito Brancaleone venne inviato a trattare direttamente con Pietro IV d’Aragona

Eleonora stava seguendo le orme paterne, il suo intento era riunire sotto un’unica guida la maggior parte del territorio sardo. Progetti presto compresi dalla corona aragonese, timorosa nel vedere il potere crescente della famiglia Arborea – Doria: il sovrano prese in ostaggio Brancaleone, deciso ad usarlo come strumento di pressione su Eleonora.
L’azione, tuttavia, non fece che confermare in lei propositi di guerra.

Nel 1383, Eleonora si autoproclamò giudicessa di Arborea, seguendo l’antico diritto regio sardo, secondo cui alle donne era consentito succedere al padre o al fratello. Si nominò reggente per il figlio minorenne Federico, che riuscì a far eleggere giudice nell’assemblea della Corona de logu. Questo gesto fu interpretato dal re come lesivo dell’autorità regia, in quanto non rispettava il principio del vincolo vassallatico, leso nel preciso istante in cui i “sindici” dei villaggi sul territorio del giudicato avevano prestato giuramento nelle mani di Eleonora.

Tuttavia, Eleonora non era una donna irragionevole e votata unicamente alla guerra. Se gli obiettivi prefissati potevano essere raggiunti anche tramite vie diplomatiche, la scelta virava su queste ultime. Così iniziarono le trattative di pace tra il giudicato e la corona aragonese: nella primavera del 1385 arrivò in Sardegna il plenipotenziario regio Gilberto de Campllonch. Le trattative durarono ben tre anni, ma infine l’intransigenza arborense fu piegata anche grazie all’uso che gli aragonesi fecero del loro ostaggio.

La Carta de Logu

Quietata la questione estera, Eleonora era pronta al riordino della Sardegna. Negli orientamenti di governo si ispirò più all’esperienza del padre Mariano IV che del fratello Ugone, il quale governando con pugno di ferro si era guadagnato la morte. Sì impegnò, poi, a difendere la sovranità e i confini del giudicato d’Arborea ma soprattutto si prodigò nella sistemazione degli ordinamenti e degli istituti giuridici locali, ordinando definitivamente la Carta de Logu d’Arborea, promulgata già ai tempi del padre.

La “carta del luogo” era una raccolta di leggi e di usi giuridici locali, che comprendeva 198 capitoli su norme di diritto civile e penale e si prefiggeva di regolare in modo chiaro i vari settori della vita dei cittadini del giudicato. Fu scritta in lingua logudorese, in modo che le leggi in essa contenute fossero di facile comprensione alla fetta più ampia possibile di sudditi. Per alcuni la sua emanazione rappresenta una tappa importante nella costituzione dello “stato di diritto”, ovvero uno stato in cui tutti siano sottoposti alle norme giuridiche vigenti e in cui tutti ne siano a conoscenza.

Fu certamente uno dei più interessanti statuti del Trecento, e la sua validità è testimoniata dal fatto che rimase in vigore fino alla prima metà del XIX secolo, quando infine nel 1827 fu adottato il Codice Feliciano. Tra i punti più importanti, ricordiamo l’importanza data al fattore soggettivo del reato, la sensibilità ambientalistica (erano previste norme severe contro coloro che appiccavano incendi) o, ancora, le pene previste contro gli stupri (nel caso di violenza carnale nei confronti di una nubile, il matrimonio riparatore era ammesso solo col consenso della donna).

Il periodo di pace che aveva permesso ad Eleonora di dedicarsi degnamente alle questioni interne del suo territorio si interruppe nel 1391. Per volontà del marito Brancaleone, che chiamò alle armi tutti i sardi dai quattordici ai sessant’anni, iniziò una nuova campagna militare. Con una forza di circa 100.000 uomini, riuscì a riconquistare quasi tutti i territori perduti precedentemente. Conquista che, comunque si rivelerà effimera, a causa della riscossa aragonese.

 

La fine

Da tempo ormai la giudicessa si era defilata dalle questioni di politica estera. La sua morte avvenne in una fase di stallo del conflitto, con gli Arborensi che avevano ormai guadagnato il predominio sulla terra e gli aragonesi quello sul mare. La peste, allora dilagante in Europa, se la portò via nel 1404.

Molti aspetti della sua azione di governo rimangono ancora avvolti nell’oscurità, soprattutto per mancanza di fonti sufficienti. Alcuni aspetti della sua persona vanno sicuramente ridimensionati perché eccessivamente mitizzati. Tuttavia, la sua memoria e il ricordo delle sue imprese rimasero a lungo impresse nella memoria del popolo sardo che, ancora oggi, la ricorda in rievocazioni storiche e leggende, continuando a tramandarne il nome attraverso la storia.

 

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