L’Occidente e la rinascita dell’anno mille: la ripresa economica europea tra il IX e il XIII secolo

Matteo Beccari, Roma –

All’alba del IX secolo, quella che noi oggi chiamiamo Europa occidentale, con tutte le sue nobili e secolari tradizioni, era un anonimo angolo del pianeta. L’Europa Orientale sotto il dominio di Costantinopoli o il Vicino Oriente tenuto insieme dall’impero arabo erano le grandi realtà politiche, culturali ed economiche del tempo.

Tuttavia fu proprio dal IX all’XI secolo che vediamo una grandissima spinta espansiva, in ambito politico, militare, culturale ma anche e sopratutto in ambito economico, farsi strada tra i regni e le città occidentali. Così come accade oggi, anche mille anni fa, l’economia può essere divisa in tre principali settori: il settore primario, ovvero l’agricoltura, su cui tutte le civiltà fino all’epoca preindustriale si basavano per misurare la ricchezza, il settore secondario, cioè l’artigianato, ancora scarso in questo momento ma destinato a decollare con l’anno Mille, infine il settore terziario, mi riferisco a quei sistemi di intermediazione finanziaria, di cui l’Europa era ancora all’oscuro, ma di cui grandi esperti si ritenevano bizantini e arabi.

Proprio tra IX e XI secolo, la civiltà bizantina (che si considerava la vera erede della tradizione romana) e quella araba (che dagli anni ’30 del VII secolo aveva iniziato la sua espansione territoriale) avevano raggiunto il culmine delle loro capacità economiche, potendo vantare l’appellativo di giganti economici dell’area mediterranea; non riuscendo però ad andare oltre, finendo per soccombere sotto i colpi dei mercanti europei, italiani e francesi tra i primi.

 

 

L’Occidente europeo era ancora un’area arretrata sotto molto aspetti, se paragonata a questi due giganti, come però ci ricorda l’economista Gerschenkron, l’arretratezza non ha solo connotati negativi; due infatti sono i grandi vantaggi che i paesi arretrati godono quando si confrontano con quelli più evoluti: quello di poter apprendere ciò che gli altri hanno già fatto e quello di poter ricavare notevoli benefici dai contatti economici con strutture più prospere.

Vediamo infatti che, il contatto con gli evoluti imperi mediterranei, servì agli europei oltre che ad ottenere ricchezze, anche per acquisire conoscenze. Gli europei ad esempio erano arretrati nell’uso della moneta, ignoravano il funzionamento dei sistemi bancari complessi o non utilizzavano assetti societari e commerciali ampi ed efficienti.

Furono proprio bizantini ed arabi, attraverso l’intermediazione dei mercanti italiani, a diffondere queste tecniche economiche in Europa. Una delle prime migliorie che gli europei apportarono alle tecniche produttive di bizantini ed arabi fu l’abolizione della schiavitù.

La schiavitù, che ad esempio fu la colonna portante del sistema economico romano, era un sistema inefficiente per almeno due motivi: in primo luogo gli schiavi non traendo benefici da un eventuale crescita produttiva, erano portati a lavorare il minimo indispensabile; in seconda battuta, il latifondista, potendo contare su una forza-lavoro a basso costo, ovvero gli schiavi, non era motivato a investire in nuove e spesso costose tecnologie di produzione.

 

 

Gli europei ben presto posero fine alla schiavitù nelle regioni più evolute, non tanto perché i potenziali schiavi fossero finiti, ma perché si comprese che il lavoro degli schiavi non sarebbe stato così produttivo quanto quello di essere umani cointeressati ai risultati della propria attività.

Abbiamo così in Europa l’affrancamento dalla schiavitù e la diffusione del sistema dell’affittanza dei suoli. Un’altra caratteristica dell’Europa occidentale, fu quella di adottare molte innovazioni tecnologiche, a volte importate dalle stesse popolazioni barbare, come le staffe, oppure già presenti, come i mulini, che furono modificati per funzionare oltre che con la forza-lavoro di uomini, animali o del vento, anche con quella dell’acqua.

Ancora tra le innovazioni possiamo ricordare l’adozione dell’aratro pesante, di probabile origine balcanica, che aveva il merito di poter arare più in profondità la terra; abbiamo poi l’adozione della rotazione triennale delle culture, dove il terreno veniva diviso in tre parti all’incirca uguali e solo un terzo era lasciato a riposo: in questo modo la produzione saliva dalla metà all’incirca ai due terzi della produzione possibile con un aumento di un sesto della produzione su tutta la terra coltivabile e di un terzo rispetto al metodo biennale.

Ma non si tratta solo di un miglioramento quantitativo: cambia anche la qualità delle colture. Una parte del terreno, infatti, viene seminata in autunno per i raccolti invernali, mentre l’altra è seminata in primavera per i raccolti estivi.

Un terzo del campo viene invece lasciato a riposo e nell’anno seguente si alternano le colture. Da questo nuovo metodo deriva un triplice vantaggio: con i raccolti invernali si nutrono sia le bestie che gli uomini; in caso di carestie poi, si può sperare nel raccolto della stagione successiva, ma soprattutto si ottiene una variazione della dieta e l’introduzione in essa dei legumi, fondamentali per il loro apporto di proteine.

 

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Grazie alle innovazioni introdotte in campo agricolo e alla ripresa di scambi economici di un certo peso, grazie ai collegamenti forniti dal Mediterraneo, arriviamo ad una nuova fase, che vede il progressivo abbandono dal X secolo in poi dell’economia curtense, economia che fu sicuramente chiusa, ma che permise la conservazione di un embrione di mercato; sviluppando così quei mercati, che da locali si trasformarono in regionali, interregionali ed infine in mercati internazionali.

Il mercante e la fiera sono i due soggetti principali che ebbero il merito di modificare radicalmente la visione dell’economia nell’Europa occidentale. Le fiere più importanti si trovavano ovviamente nelle regioni più dinamiche da un punto di vista economico, vediamo nelle Fiandre, che furono un importantissimo polo economico e commerciale, il sorgere delle fiere di Ypres, Lille e Burges; di eguale fama godettero le fiere sorte nello Champagne, come quelle di Provin,Troyes e Lagny, che dal Duecento giocarono un ruolo fondamentale nel commercio europeo dei tessuti, per poi specializzarsi in centro dei cambi.

 

 

Le produzioni del Nord, così come quelle dell’Oriente, venivano acquistate dai mercanti italiani che le smerciavano per tutta l’area mediterranea o per il Nord Europa a seconda dei casi. Centri per lo smistamento delle merci e del commercio erano le due città marinare di Genova e Venezia, mentre la Lombardia si avviava diventare il centro della lavorazione dei tessuti, la Toscana invece, grazie ai suoi comuni potenti ed aggressivi sotto il profilo bancario, si avviava a diventare il referente finanziario di molti regni e città.

Questa continua fase di espansione e di crescita che dal IX al XIII secolo praticamente fu ininterrotta, subirà una battuta d’arresto nei primi decenni del Trecento, fino alle drammatiche vicende connesse alla Grande Peste del 1347, che però a ben guardare, diedero un nuovo impulso economico all’Europa.

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