Il fiore che fece impazzire il mondo: la bolla dei tulipani del 1637

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Paolo Perantoni, Verona –

Nel 1554 l’ambasciatore fiammingo nell’Impero Ottomano Ogier Ghiselin de Busbecq spedì al botanico reale Carolus Clusius – fondatore e curatore del futuro Orto botanico di Leida – alcuni bulbi di uno strano e sconosciuto fiore: in Turchia era chiamato tullband, che significava turbante, copricapo.

Clusius ne rimase affascinato: fu il primo in Europa a osservare e a descrivere il fenomeno della “rottura dei tulipani”, ovvero il momento che dà origine alle diverse varietà del fiore, non riuscendo tuttavia a capirne le reali cause.
Per studiare questi fenomeni Clusius fu iniziatore della coltivazione scientifica dei tulipani in Olanda; negli anni ’60 del Cinquecento dalle navi provenienti dalla Turchia scendevano carichi di bulbi di tulipano ma già nel 1593 la cultura di questo nuovo fiore si radicò nei campi fiamminghi visto il crescente interesse per questa pianta.

Fu in quel momento che un mercante di nome Jacob Van der Buerse – il cui cognome di famiglia era originariamente il veneto “Della Borsa” – comprese il valore di questo fiore gestendo in casa sua le contrattazioni. Sembrerebbe che da qui nasca il termine “borsa valori”, vista anche l’araldica famigliare di Van der Buerse che vede uno scudo con all’interno tre borse.

La crescente ricchezza – frutto del fiorente commercio d’oltreoceano – unita al desiderio delle classi emergenti di nobilitarsi, trasformò ben presto questi fiori esotici in veri e propri status symbol.

Particolare di un pamphlet olandese sulla Bolla dei tulipani

I ricchi mercanti fiamminghi iniziarono quindi a rivaleggiare per accaparrarsi i bulbi più interessanti, nuove e coloratissime varietà di tulipani erano al centro delle contrattazioni che si moltiplicavano ora – laddove non vi era una Borsa – anche nelle taverne e nelle residenze private facendo levitare ancora di più il prezzo dei bulbi.

Così Chrispijn Munting, cronista della Gazzetta di Harlem, nel 1635 raccontava un fatto al quale aveva assistito:

 

Oggi un contadino ha acquistato un singolo bulbo del raro tulipano chiamato Viceré, pagando per esso: otto maiali, quattro buoi, dodici pecore, due carichi di grano, quattro carichi di segale, due botti di vino, quattro barili di birra, due barilotti di burro, mille libbre di formaggio, un letto completo di accessori, un calice d’argento e un vestito, per un valore totale di 2500 fiorini.

 

La somma che il contadino pagò per quel bulbo, al valore attuale, è di poco inferiore ai 30.000 euro.

Alle nuove varietà di tulipano – più di 160 – vennero infatti dati nomi sempre più altisonanti: Generale, Ammiraglio, Viceré, arrivando a scomodare i grandi condottieri dell’antichità come Scipio e Alessandro Magno; vennero commissionati anche i primi cataloghi merceologici della storia con illustrazioni dei tulipani e scritte in latino per poter essere compresi in tutto l’Occidente. La rarità divenne ben presto la condizione principale per far levitare il prezzo.

Il rarissimo Semper Augustus, probabilmente il bulbo più famoso, arrivò a essere battuto alla cifra record di 6000 fiorini. Per rendere l’idea: il reddito medio di un lavoratore era di 150 fiorini annui; nel 1642 il capolavoro di Rembrandt Ronda di Notte, fu venduto per “soli” 1650 fiorini.

Tutti ormai cercavano la speculazione nella compravendita dei bulbi, i grandi possedenti terrieri arrivavano a liquidare i propri immobili pur di investire nei tulipani, attirandosi la satira feroce di artisti come Jan Brueghel il Giovane che ritrasse i contraenti come scimmie impazzite.

Jan Bruegel il Giovane, Satira della Tulipomania, 1640 ca, Frans Hals Museum, Haarlem

Il giornalista scozzese Charles Mackay, nella sua opera del 1841, Extraordinary popular delusions and the madness of crowds, fu tra i primi a descrivere in maniera analitica quanto era successo in Olanda duecento anni prima:

 

Dapprima, come avviene nelle infatuazioni per i giochi d’azzardo, la fiducia era alle stelle e tutti guadagnavano. Operatori in tulipani speculavano sull’aumento e sulla diminuzione delle scorte di bulbi e realizzavano lauti profitti acquistando quando i prezzi cadevano, vendendo quando salivano. Molti divennero improvvisamente ricchi, un’esca dorata penzolava invitante davanti alla gente e uno dopo l’altro tutti si precipitavano agli empori di tulipani come mosche intorno a un barattolo di miele. Ciascuno era convinto che la passione per i tulipani sarebbe durata per sempre e che i ricchi di ogni parte del mondo avrebbero trasmesso i loro ordini in Olanda e avrebbero pagato qualsiasi prezzo fosse stato loro chiesto. […] Persone di ogni ceto convertirono le loro proprietà in contante per investirlo in fiori. Case e terre erano offerte in vendita a prezzi rovinosamente bassi o dati in pagamento di contratti conclusi al mercato dei tulipani. Gli stranieri furono colpiti dalla stessa frenesia e il denaro affluì in quella terra da tutte le direzioni.

 

L’afflusso continuo di denaro influenzò tutta l’economia olandese, così anche i prezzi dei beni, anche quelli di prima necessità, iniziarono a salire in modo graduale penalizzando i ceti più bassi della popolazione, ma l’euforia generale non accennava a placarsi.
Inizialmente le vendite dei bulbi avvenivano dalla fine del mese di giugno, quando si dissotterravano, fino a settembre, mese in cui si ripiantavano. Ma per far fronte alla domanda crescente le contrattazioni ebbero luogo tutto l’anno con l’impegno di consegnare i bulbi in estate.

La cosa paradossale di questo commercio di tulipani è che quasi nessuno li vedeva in fiore, anche perché la crescita del tulipano è molto lenta, ci vogliono quasi 7 anni perché sbocci. Nel frattempo si comperava e si vendeva il diritto a possederli, secondo il rischioso gioco di Borsa. Davanti a un notaio si poteva acquisire il diritto su un singolo bulbo di tulipano in una data futura (titoli futures) e ogni singolo contratto passava di mano diverse volte. Nel pieno della bolla speculativa che ne nacque, un singolo contratto poteva essere venduto anche dieci volte nello stesso giorno. Le speculazioni e le frodi erano all’ordine del giorno in quanto non si poteva stabilire dall’aspetto del bulbo se questo appartenesse alla qualità dichiarata dal venditore.

Il governo olandese dovette quindi correre ai ripari ed emanare degli editti per controllarne la vendita e vietarne la speculazione mediante short selling; questo avvenne a più riprese nel 1610, 1621, 1630 e infine 1636.

Nel 1634, anche i vicini francesi vollero entrare nel business del tulipano, e questo non fece altro che aumentarne il prezzo.

Hendrik Gerritsz Pot, Il carretto dei matti di Flora, 1637 ca., Frans Hals Museum, Haarlem

Nel settembre del 1636 i prezzi iniziarono a salire vertiginosamente. La tendenza al rialzo proseguì nei mesi di novembre, dicembre e gennaio raggiungendo valori esorbitanti. Ma nel febbraio 1637 improvvisamente la bolla speculativa esplose.

Da un giorno all’altro i prezzi scesero altrettanto vertiginosamente, improvvisamente il mercato non era più disposto a pagare cifre così alte, la voce girò in fretta e si diffuse un panico generalizzato che in sei settimane portò il prezzo a calare del 90% mandando in banca rotta numerosi investitori.
Munting descrisse in questo modo quei drammatici giorni:

 

Ci si rovina per tulipani che né il mediatore, né il venditore, né il compratore avrebbero mai toccato con le loro mani. Fu una speculazione sfrenata. Tutti guadagnavano. L’età dell’oro sembrava discesa sulla Terra. E poi improvvisamente tutti perdettero e il Paese si ridusse come Giobbe sul letamaio.

 

Il 24 febbraio del 1637 si riunì ad Amsterdam un’assemblea di delegati delle principali città olandesi, la cosiddetta Gilda dei fioristi, che decise che i contratti scritti tra il 30 novembre 1636 e la futura riapertura dei mercati all’inizio della primavera, avevano lo stesso valore di un contratto di opzione. Quindi si esentava l’acquirente ad acquistare i tulipani compensando il venditore con una percentuale fissa pari al 3,5% del contratto. La decisione fu poi ratificata dal Parlamento olandese. Secondo l’economista Earl A. Thompson, questa decisione si conosceva già nell’inverno 1636, gli speculatori quindi fecero impennare il prezzo per sfruttare il vantaggio di questa futura legge: si poteva quindi acquistare senza più rischio perché bastava pagare una piccola percentuale (il 3,5%) per sciogliere il contratto.

Il mercato però non prese bene questo gioco: tutti smisero di onorare i contratti quando il valore dei bulbi scese troppo causando così la fine della Tulipomania.

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