“Viva l’Algeria francese!”: la destra italiana di fronte alla Guerra d’Algeria (1954-1962)

destra italiana, guerra d'algeria, storia d'italia, storia contemporanea, storia politica, storia dei partiti politici, guerra fredda, decolonizzazione, algeria, msi, ordine nuovo

Veronica Bortolussi, Venezia –

 

“Il comunismo internazionale, con il pretesto di appoggiare un ambiguo movimento locale di «liberazione» nei dipartimenti francesi d’Algeria, stava conquistando, a pochi anni di distanza dalla sua prima grande vittoria riportata in Indocina, un’altra vittoria sull’Occidente. Una vittoria, se è possibile, ancora più pericolosa della precedente perché con essa gli strateghi della guerra rivoluzionaria riuscivano a disporre di una nuova, formidabile, testa di ponte per la loro azione sovvertitrice nel seno stesso del Mediterraneo; e cioè praticamente, per quanto ci riguarda, alle frontiere stesse dell’Italia.”

 

È con queste parole che Enrico De Boccard, giornalista e agente del Servizio Informazioni Difesa (SID), aprì il convegno dedicato alla «guerra rivoluzionaria» organizzato dall’Istituto di studi storici e militari Alberto Pollio presso l’Hotel Parco dei Principi di Roma dal 3 al 5 maggio 1965:  parole nelle quali è racchiuso il senso del sostegno della destra italiana ai propugnatori dell’«Algeria francese».

Lo scoppio e la persistenza delle ostilità in Algeria, frutto dell’insostenibilità della dominazione francese all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale e delle premesse del movimento di decolonizzazione del continente africano, catalizzò dal 1954 al 1962 l’attenzione e l’interesse di Movimento Sociale Italiano, Avanguardia Nazionale Giovanile e Centro Studi Ordine Nuovo, oltre che di alcune formazioni minori. Alla sua esplosione, avvenuta nella notte del primo novembre 1954, il conflitto oppose alla dominazione francese dei pieds-noirs, come erano chiamati i francesi d’Algeria, i «ribelli» algerini del Fronte di Liberazione Nazionale, i quali rivendicavano l’indipendenza della propria nazione dopo essere stati sottoposti per anni al giogo dell’imperialismo francese.

La destra italiana entrò in scena a fianco della sua omologa francese mettendo in dubbio la genuinità del movimento indipendentista algerino, accusato di essere solo uno strumento nella mani di Mosca. L’anticomunismo era allora la forza motrice comune ai rispettivi partiti, da una parte all’altra delle Alpi, e diveniva più forte che mai con l’aumentare dei consensi dei rispettivi partiti comunisti, percepiti come l’«avanguardia» della conquista sovietica dell’Occidente. La dottrina della «guerra rivoluzionaria» non era stata ancora ufficialmente teorizzata, ma la paura di un vero e proprio attacco da parte delle forze sovietiche era allora percepita come una minaccia concreta. Ricorda in merito Giuseppe «Pino» Rauti, fondatore del Centro Studi Ordine Nuovo che allora

 

«si stava combattendo una guerra contro il dilagare della sovversione nel mondo. E a noi, che eravamo i più bersagliati dall’odio comunista, questo non poteva che fare paura […] in quel momento sentivamo sul nostro collo il soffio di questa forte ventata di comunismo che si espandeva a macchia d’olio nel mondo».

 

Questa preoccupazione è presente anche nel Movimento Sociale Italiano, in particolare sotto la guida di Arturo Michelini. Il partito missino non fece mai mistero della sua avversione al processo di decolonizzazione, considerato ancora una volta una mera arma nelle mani dell’Unione Sovietica e, quindi, da contrastare. Trovandosi però in un delicato momento della sua storia, in cui la «strategia dell’inserimento» messa in atto da Michelini immobilizzava il partito, il MSI dovette procedere con le dovute precauzioni e ciò si rifletté nella mancata organizzazione di una mobilitazione di piazza e il sostegno aperto alle rivendicazioni dei «francesi d’Algeria» trovò il suo spazio solo nelle pagine dei giornali legati al partito.

 

destra italiana, guerra d'algeria, storia d'italia, storia contemporanea, storia politica, storia dei partiti politici, guerra fredda, decolonizzazione, algeria, msi, ordine nuovo

Arturo Michelini

 

All’interno del Movimento Sociale Italiano, però, sussistevano tendenze diverse che emersero con la discesa in campo del generale Charles De Gaulle, richiamato in politica dall’aggravarsi del conflitto e visto come l’«uomo forte» in grado di porvi definitivamente fine. Accanto a chi subiva il fascino del Generale, considerato il simbolo di una «rivoluzione nazionalista» da tempo attesa, e intesseva una serie di rapporti organici con il suo Rassemblement du peuple français, si trovavano anche alcune voci discordi che trovarono eco nel giornale Il Borghese, allora diretto da Mario Tedeschi, che riservava una vera e propria rubrica settimanale alle «questioni francesi», il «Diario di Parigi», dalle cui colonne il giornalista Eggardo Beltrametti, in seguito tra i relatori al convegno dedicato alla «guerra rivoluzionaria», espresse il suo scetticismo nei confronti dell’apporto di De Gaulle alla causa dell’Occidente, in quanto colpevole di essersi già alleato con i comunisti nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

 

destra italiana, guerra d'algeria, storia d'italia, storia contemporanea, storia politica, storia dei partiti politici, guerra fredda, decolonizzazione, algeria, msi, ordine nuovo

Un frame tratto dal film “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo (1966)

 

Il sostegno fornito ai pieds-noirs fu comunque particolarmente evidente in occasione della cosiddetta «settimana delle barricate», che paralizzò Algeri dal 24 gennaio al 1 febbraio 1960. Il Secolo d’Italia riservò allora grandi elogi agli studenti francesi che, capitanati da Pierre Lagaillarde, presidente dell’Association générale des étudiants d’Alger e tra i futuri fondatori dell’Organisation de l’Armée Secrète, erano considerati meritevoli di plauso proprio per il loro impegno a difesa della patria, minacciata dalla sovversione comunista. Accanto alle lodi riservate alla capacità di iniziativa degli studenti, inoltre, si sviluppò ulteriormente l’ammirazione per i militari francesi e, in particolar modo, per la figura del paracadutista, il «parà», assunto a vero e proprio mito grazie anche al suo accostamento con i guerrieri profetizzati da Julius Evola, considerato dai camerati di Ordine Nuovo alla stregua di un capo spirituale. Proprio l’elevazione a esempio dei militari fu all’origine di quello che la storica francese Pauline Picco ha ribattezzato «mito OAS», e che Rauti spiegò legandolo, ancora una volta, al pericolo rappresentato dalla sovversione comunista:

 

“La tentazione autoritaria e golpista che pervase il mondo fascista italiano ed europeo in quegli anni fu innescata dall’esempio dell’Oas. Noi vivevamo in una nazione a sovranità limitata con il pericolo comunista ai nostri confini. E pensavamo che una reazione delle forze armate potesse essere foriera di principi più sani, meno democratici, nel senso deteriore della parola. E poi, ripeto, eravamo terrorizzati dalla minaccia comunista.”

 

Sempre Rauti, inoltre, disse che il sostegno ai «parà» francesi era motivato dal fatto che questi svolgessero

 

“anche un ruolo sociale in Algeria. Costruivano pozzi, acquedotti, ponti, strade. Propugnavano l’integrazione tra le popolazioni. Sognavano di concedere agli algerini una sorta di cittadinanza francese, un po’ come gli antichi romani facevano nelle province conquistate. I pieds noirs credevano in una Francia diversa, che restasse in Algeria con funzioni di civiltà e strappasse gli algerini al terzomondismo, al servizio di Mosca, in cui poi sarebbero caduti.”

 

Il Centro Studi Ordine Nuovo fu, comunque, insieme ad Avanguardia Nazionale Giovanile e ad altre formazioni minori, caratterizzato dalla presenza nelle piazze italiane che, invece, mancava al Movimento Sociale Italiano. Il movimentismo giovanile si tradusse a volte in veri e propri scontri aperti, come dimostra il caso del Fronte Universitario d’Azione Nazionale (FUAN), movimento nato nel 1950 come sezione universitaria del partito missino che, il 25 novembre 1960, si rese protagonista di un’aggressione ai danni dei militanti dell’Unione Nazionale Universitaria Rappresentativa Italiana che, nella sua sede romana, aveva indetto una serie di manifestazioni a supporto del Fronte di Liberazione Nazionale algerino. Il sostegno all’«Algeria francese», comunque, arrivò anche da una nuova formazione di destra dalle connotazioni estremistiche, Giovane Nazione, un movimento a base giovanile legato sia a Ordine Nuovo che, a livello internazionale, a Jeune Europe. La sua azione, in particolare, è significativa poiché il neonato gruppo organizzò una vera e propria conferenza dedicata ai rapporti tra Francia e Italia in occasione della quale distribuì numerosi volantini a sostegno della causa dei pieds-noirs, definiti «eroici difensori della civilizzazione europea», e che si concludevano con un significativo «Viva l’Algeria Francese! Viva il governo rivoluzionario di Algeri!».

 

destra italiana, guerra d'algeria, storia d'italia, storia contemporanea, storia politica, storia dei partiti politici, guerra fredda, decolonizzazione, algeria, msi, ordine nuovo

Pino Rauti

 

 

In questo contesto, comunque, ci fu un movimento che inizialmente si schierò su posizioni favorevoli all’indipendenza algerina: Avanguardia Nazionale Giovanile, guidato da Stefano Delle Chiaie e da questi reso autonomo nel 1959 fuoriuscendo da Ordine Nuovo. Ricorda infatti proprio Delle Chiaie come, allo scoppio delle ostilità, «noi appoggiamo decisamente l’Armata di Liberazione Nazionale algerina che lotta per l’indipendenza del suo Paese e ha un’impostazione ideologica molto vicina alla nostra», tanto da ammettere che alcuni addestratori dell’Armata di Liberazione Nazionale algerina siano stati considerati alla stregua di veri e propri «camerati». Le cose cambiarono con la discesa in campo del Fronte di Liberazione Nazionale, considerato dai militanti di Avanguardia «perforato dal marxismo leninismo» e, di conseguenza, da considerarsi «un’arma dell’espansionismo sovietico» da contrastare in ogni modo.

In conclusione, la destra italiana si ritrovò unita a difesa dell’«Algeria francese», considerata unanimemente minacciata dall’avanzata comunista, seppure con iniziative tra loro diverse ma, alla fine, rivelatesi complementari. La lotta dei paracadutisti francesi in Italia conobbe grande fortuna anche dopo la fine del conflitto, venendo eretta a vero e proprio esempio da seguire nella lotta ai movimenti di estrema sinistra nella seconda metà degli anni Sessanta e rappresentando un tema destinato a rafforzare le basi di durevoli rapporti transnazionali a livello ideologico e culturale con la destra francese.

LE LETTURE CONSIGLIATE: