Non solo aiuti economici: “Cultural Weapon”, la propaganda culturale del piano Marshall in Europa

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Benedetta Giuliani, Roma –

La fine della Seconda guerra mondiale e l’affermarsi del confronto dicotomico tra Stati Uniti e Unione Sovietica indussero le due superpotenze a ricercare nuovi mezzi con cui condurre la lotta per l’egemonia mondiale. Il segretario della Marina James Forrestal aveva certamente ragione quando indicava nelle capacità militari e nella bomba atomica le fondamenta su cui riposava la potenza americana. Eppure, a questi tradizionali strumenti del potere, sul finire degli anni Quaranta se ne aggiunse uno che mai prima di allora era stato sufficientemente considerato quale congegno della politica estera: la cultura. Come hanno dimostrato di recente gli studi condotti nell’ambito della cosiddetta guerra fredda culturale, la pianificazione di una vera e propria cultural diplomacy costituisce un aspetto rilevante nel contesto dei rapporti internazionali dei primi anni Cinquanta. Affidarsi alla forza persuasiva dell’ideologia significava, tanto per gli americani che per i sovietici, impegnarsi in una battaglia per la diffusione universalistica del proprio ethos nazionale.

Negli Stati Uniti è possibile tracciare lo sviluppo di una diplomazia orientata in tal senso a partire dal 1945, quando il vicesegretario di Stato William Benton affermò che il presidente Truman aveva riconosciuto l’importanza del fattore culturale per la strategia americana all’estero. Secondo quanto riportato da Benton Truman aveva affermato la necessità di una politica di comunicazione internazionale che diffondesse “un quadro chiaro e positivo della vita americana e degli obiettivi del governo degli Stati Uniti”. La maturazione di tale strategia avvenne in concomitanza con il lancio del piano di aiuti per il continente europeo, l’European Recovery Program (ERP) anche noto come piano Marshall. Quando nel giugno del 1947 il segretario di Stato George Marshall presentò l’ERP all’opinione pubblica domestica e internazionale, egli descrisse il compito di risanare l’economia europea come un’iniziativa corale alla quale erano chiamate le nazioni del vecchio continente. A queste ultime, affermò Marshall, gli Stati Uniti erano disposti ad offrire un “amichevole aiuto” per sostenerle nell’impresa.

Manifesto promozionale del piano Marshall. Credits: Marshall Foundation.

Nel momento in cui gli Stati Uniti si preparavano a rifornire l’Europa di macchinari e materie prime, il governo americano decise di cesellare la cornice del piano di aiuti con una fitta rete di scambi internazionali volta ad esportare, insieme ai prodotti, anche “la cultura, i valori e la tecnologia” americane. La legislazione relativa alla politica culturale fu definita nel gennaio 1948, con l’approvazione dello United States Information and Educational Exchange Act, o Smith-Mundt Act. Il provvedimento abilitava il governo americano a prendere l’iniziativa al fine di promuovere “una migliore conoscenza degli Stati Uniti in altri Paesi e incrementare la reciproca conoscenza tra il popolo americano e i popoli di altre nazioni”. Lo Smith-Mundt Act istituì di conseguenza due tipi di programmi: un servizio di informazioni attraverso il quale diffondere oltreoceano notizie relative alla cultura e alla attualità politica americana; un programma di scambi per facilitare la circolazione di ricercatori, professionisti e insegnanti tra Stati Uniti ed Europa occidentale. Gli ambiti di cooperazione con Paesi terzi erano così riassunti nel testo dell’atto:

 

a) the interchange of persons, knowledge and skills

b) the rendering of technical and other services

c) the interchange of developments in the field of education, the arts and sciences.

 

Lo Smith-Mundt Act inaugurò lo sfruttamento sistematico dei principali mezzi di comunicazione per diffondere a livello internazionale la cultura americana. Stampa, radio e cinema acquisirono una specifica dimensione politica e divennero gli strumenti privilegiati per rendere immediatamente visibile i contenuti e i benefici dell’american way of life.

I propagandisti dell’ECA svilupparono un discorso celebrativo del modello produttivo americano in cui gli europei potessero rispecchiarsi. Nel film “Uomini e Macchine”, ad esempio, si cerca di dimostrare come la produzione di massa, nata con il fordismo ed esemplificata dalla produzione automobilistica, non fosse incompatibile con i metodi di produzione europei e in particolare con la tradizione artigiana del vecchio continente. Credits: Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico.

L’impiego dei mezzi di comunicazione di massa rappresentò uno dei punti cardinali anche nel lancio dell’ERP. L’agenzia preposta alla gestione pratica degli aiuti, la Economic Cooperation Administration (ECA) era composta in buona parte da uomini i quali, essendosi formati nell’ambito del grande business americano e nel mondo dell’informazione, attribuirono un’importanza centrale alla pubblicizzazione del piano Marshall, dei suoi principi, dei suoi obiettivi e dei suoi risultati. Nel delineare l’attività propagandistica legata all’ERP, i pianificatori dell’ECA non fecero che trasporre alcuni principi basilari che la scuola di marketing americana era andata definendo tra gli anni Trenta e Quaranta del XX secolo: la creazione di un prodotto riconoscibile e la sua promozione attraverso un linguaggio che risultasse familiare al pubblico di riferimento, questi dovevano essere gli elementi su cui avrebbe dovuto fondarsi la pubblicizzazione dell’ERP. L’ECA si dotò fin dal 1948 di una divisione adibita alla propaganda dell’ERP oltreoceano.

Manifesto promozionale italiano. Credits: Marshall Foundation


Pur essendo l’ECA il principale attore nell’organizzare la propaganda ERP, il suo operato si intrecciò – e in alcuni casi si sovrappose – a quello dello United States Information Service (USIS), preesistente dipartimento per l’informazione istituito nel 1945 e già ben ramificato sul territorio europeo. In rapporto all’uso sistematico dei mezzi di comunicazione per la promozione dell’ERP, un discorso specifico deve essere riservato al cinema il quale costituì il medium comunicativo prediletto dai pianificatori. La produzione cinematografica del piano Marshall si distribuisce lungo un arco cronologico all’interno del quale si individuano due segmenti principali. Il primo va dal 1948 al 1951 e corrisponde ai primi anni di vita dell’ERP. In questa prima fase le tematiche dominanti sono quelle attinenti ai problemi della modernizzazione produttiva e dell’integrazione europea, due processi che gli americani ritenevano propedeutici per la rinascita del continente. La seconda fase si estende invece dal 1951 al 1954 e coincide con la sostituzione dell’ECA da parte della Mutual Security Agency (MSA). La produzione cinematografica di questo periodo segue e assorbe le nuove dinamiche della scena internazionale: al centro dei film propagandistici non vi sono più le immagini di un’Europa in cammino verso la rinascita bensì quelle di un continente ormai rinvigorito grazie allo sforzo collettivo degli europei e al sostegno dell’alleato americano.

Obiettivo primario dei pianificatori era quello di indurre gli europei a identificarsi con l’immaginario politico-culturale che costituiva il sostrato ideologico dell’ERP. La nuova identità europea immaginata dalla propaganda americana era di fatti essenzialmente cosmopolitica e liberal-democratica. Attraverso il piano Marshall gli Stati Uniti cercarono di realizzare una trasformazione strutturale dello spazio politico ed economico europeo, promuovendo le immagini di un’Europa non più divisa dalle rivalità nazionali e da quelli che ne rappresentavano il contrassegno più odioso, ovvero gli ostacoli – fisici e normativi – al libero commercio.

Nel film “Dobbiamo vivere ancora”, il piano Marshall viene paragonato al plasma impiegato nelle trasfusioni per salvare un paziente moribondo. Così come il plasma, l’ERP inietta fluido vitale nelle vene prosciugate dell’Europa. Credits: Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico.

La divisione dell’Europa in unità nazionali appariva ai pianificatori come un residuo del passato, il quale avrebbe dovuto essere eliminato al fine di completare l’istituzione di un’economia atlantica integrata. L’aumento della produttività industriale, l’abbandono del protezionismo e la creazione di un ampio mercato di beni di consumo – temi dominanti nella filmografia del piano Marshall –  erano d’altra parte elementi che avevano caratterizzato lo sviluppo del capitalismo americano e ai quali gli europei avrebbero dovuto ispirarsi.

Eppure i pianificatori rimasero sempre convinti che l’introduzione di nuovi modelli di produzione e di organizzazione politica ispirati al modello americano non avrebbero dovuto generare fratture culturali con le tradizioni europee. La valorizzazione del passato e delle tradizioni europee rimase dunque un tema portante della propaganda ERP ma fu sapientemente coniugato a un orizzonte narrativo incentrato sull’esibizione di prospettive future di ricchezza e benessere, due obiettivi che si sarebbero potuti raggiungere soltanto abbracciando i principi di cooperazione politica e integrazione economica che costituivano il nucleo degli insegnamenti del piano Marshall.

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