Cabrei e catasti: fonti storiche per una lettura regressiva del territorio

Valentina Quitadamo, Torino –

Il materiale documentario rappresenta uno degli strumenti fondamentali per lo studio delle relazioni tra elementi appartenenti ad un medesimo sistema. Una lettura regressiva del territorio consente la ricerca di forme storiche a partire dalla sua configurazione odierna, come ad esempio individuare il tracciato originario di una strada rappresentata su una mappa del Settecento confrontandola con una attuale o direttamente in situ.

Le fonti storiche che andremo ad analizzare sono i cabrei e i catasti, in modo di fornire una panoramica generale di due degli strumenti che lo storico ha a disposizione per elaborare una lettura regressiva del territorio.

Il catasto inizia ad affermarsi con l’affinazione delle tecniche di rilevamento geometrico particellare del terreno e dei fabbricati edificati su di esso. La sua diffusione è a scala europea e ogni comune, anche se con tempi diversi, adotta questo strumento ai fini della tassazione poiché la misurazione del territorio diventa tecnicamente precisa. Accanto al foglio catastale vi sono: il sommarione, libro in cui annotare ed individuare le particelle, la rendita e il proprietario; il libro delle mutazioni, per l’annotazione di eventuali cambiamenti.

Il termine cabreo trae origine dal linguaggio notarile spagnolo, in particolare con la raccolta commissionata da Alfonso XI (1311-1350) nel XIV secolo per la definizione dei limiti e delle competenze della Corona sui territori della Castiglia. In aragonese il termine utilizzato è cabreo, in catalano capbreu. Il riferimento è all’espressione latina capi brevium, una serie di righe descrittive al termine delle quali si andava a capo, assimilabile ad un elenco descritto. In Francia è terrier e in Inghilterra estate survey, senza averne una esatta corrispondenza formale. In Italia, specialmente al sud, il termine alternativo è platea, mentre in contesto pre-unitario, in ambito toscano-lucchese, si attestano dei matrilogi (ceppo di tutti i beni stabili) o terrilogi (campione de’beni).

La raffigurazione nei cabrei si afferma dal Cinquecento, sia per l’affinarsi delle tecniche che per il simbolo del potere acquisito delle carte. Gli agrimensori, i trabuccanti, i geometri, i misuratori sono le categorie professionali che operano nella trascrizione nell’età moderna, ognuno con la propria specificità tecnica. Per la rappresentazione delle proprietà vengono utilizzati elementi pittorici, per quanto gli ingegneri militari vogliano, dalla fine del Seicento, ricercare un linguaggio simbolico uniforme. Gli elementi misurati sono rappresentati in alzato: edifici, chiese, castelli, mulini, fattorie o case. I terreni hanno una loro legenda comune: giallo per i coltivi, verde chiaro per pascoli e prati, verde scuro per le selve. Raffigurazioni di specie arboree sono sovente presenti per indicare i frutteti e le aree boschive.

Nel Seicento si era soliti rappresentare scene di vita quotidiana, di caccia. Le differenze tra XVII e XVIII secolo si evincono anche per la scelta del cartiglio, delle legende e nell’indicazione di scala. Le decisioni del misuratore rimangono fortemente influenzate dalla committenza che impone cartigli e colori per una riconoscibilità immediata.

Nel Settecento la committenza signorile è in forte diminuzione, ma non scompaiono i cabrei per la registrazione delle proprietà di ordini cavallereschi, religiosi, benefici ecclesiastici e possedimenti dinastici.
Il valore del cabreo viene meno con l’affermarsi della catastazione, rispetto alla quale il primo è ridotto a una ricognizione sistematica dei confini e delle proprietà con la raffigurazione delle colture.

In Inghilterra nella prima età moderna la pratica del rilevamento delle proprietà ha un grande influsso sulle trasformazioni delle tecniche agrarie e nell’economia terriera. La tecnica moderna di rilevamento si può collocare tra il 1520 e il 1620, periodo dell’affermazione dell’agrarian capitalism, con un considerevole aumento della signorilità rurale e dei rapporti di interrelazione tra proprietario terrierio e coltivatore.

In Italia, negli Stati preunitari la comparsa dei cabrei come atlanti figurati è coeva a quella dei plan-terriers o plans de bornage francesi nel corso del Seicento con una preminenza nell’impiego per i complessi religiosi e degli ordini cavallereschi, solo secondariamente per i possedimenti signorili.

Il passaggio dal cabreo al catasto si conclude nell’Ottocento, con qualche ritardo nel meridione d’Italia e alcune istituzioni, come gli ordini cavallereschi. Le mappe dei cabrei sono considerate strumenti della trasformazione rurale ed esempio di aggiornamento delle coltivazioni.

Il catasto figurativo moderno è uno strumento fiscale, nato per determinare la tassazione sulle proprietà terriere e fabbricate.

Per il territorio piemontese, il catasto sabaudo di prima attuazione (primi decenni del Settecento) presenta elementi nuovi per il rilevamento ed estimo, ma i metodi descrittivi rimandano ancora alla catalogazione medievale. Il lessico utilizzato non è standardizzato e il documento, nel complesso, non consente un’immediata georeferenziazione dei beni descritti. La catastazione sabauda della seconda metà del Settecento identifica l’esito politico-istituzionale per il complesso degli stati sardi. Per l’area piemontese, si affinano le registrazioni dei dati e i metodi di valutazione, a seguito di riforme regolamentari del 1755. La problematica principale dei territori piemontesi è la mancanza di standard di rappresentazione. Si ha riscontro di una toponomastica accurata per siti, aree e regioni. Per i registri catastali, la descrizione sintetica del bene non è del tutto standardizzata, l’elencazione delle coerenze delle parcelle è di impostazione narrativa.

Nel 1739 e 1740 sono definiti, attraverso regolamenti, per il Piemonte, alcuni standard operativi per l’aggiornamento degli estimi delle singole comunità. L’introduzione di questi strumenti permette il confronto tra le operazioni condotte nei diversi comuni, senza però una diretta comparabilità tra i dati raccolti. Il riferimento di identificazione territoriale avviene attraverso il recupero dei dati di proprietà, identificazione della parcella, toponomastica, uso del suolo, coerenze, estensione ed estimo.

Il catasto francese per masse di coltura (1803 – 1807) prevede l’aggregazione dei suoli aventi il medesimo uso senza considerare la suddivisione delle proprietà. L’uso del suolo nelle mappe è caratterizzato in modo pittorico, con un’accurata toponomastica.

Il catasto francese parcellare, detto napoleonico (1807-1814 in Piemonte, fino al 1850 in territorio francese) è costituito dalla mappa parcellare riferita ad una tavola complessiva di rappresentazione arricchita da caratterizzazioni orografiche e infrastrutturali. La toponomastica è articolata e gerarchizzata. I registri presentano descrizioni scarne e lessico standardizzato (professioni, uso del suolo).

Il catasto Rabbini (1855-1870) è composto da mappe parcellari, redatte con metodo trigonometrico. I registri e i sommarioni non contengono descrizioni narrative dei contesti, la toponomastica resta scarna.

Il catasto fabbricati, ossia l’inventario dei beni urbani, ha origine nel 1865 con la legge del 26 gennaio n. 2136 per l’unificazione d’imposta e dal R. D. 5 giugno 1871, n. 267 (di attuazione dell’art. 7 della legge 11 agosto 1870, n. 5784) che dispone la formazione del catasto a livello nazionale, in sostituzione di quelli esistenti negli stati preunitari e la sua gestione da parte degli uffici delle imposte.

Nel Novecento, successive modificazioni porteranno alla definizione dello strumento catastale così come lo utilizziamo oggi.

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