Anastasia: l’ultima impostura degli zar

Famiglia Imperiale, 1914 ca.

Caterina Mongardini, Venezia –

Nel 1998 la 20th Century Fox lanciò nelle sale italiane Anastasia, la “storia vera” di una principessa perduta, orfana e infine ritrovata, che affascinò me bambina e tante altre che, come me, videro nella sua storia una favola a lieto fine. Nel cartone animato, la giovane Anastasia, durante l’assalto al Palazzo d’Inverno in quel fatidico 1917, riesce a fuggire con la nonna – l’Imperatrice Madre Maria – grazie ad un passaggio secondario usato dalla servitù. Nella fuga, però, il malvagio Rasputin le vede, le insegue ma, tentando di afferrare Anastasia sulla Neva, sprofonda nel fiume ghiacciato. La nonna e la nipotina cercano di prendere un tram per sfuggire alla calca pietroburghese; la nonna balza sul predellino dell’ultima carrozza, cerca di afferrare la nipote, ma il caos sbalza Anastasia sul selciato mentre il tram prosegue incurante la sua corsa. La piccola granduchessa, a seguito dello shock e della caduta, non ricorda più nulla: viene così mandata in un orfanotrofio dove vivrà fino alla maggiore età.

Il film indulge in inesattezze storiche rilevanti: due esempi su tutti. Nel cartone la presa del Palazzo d’Inverno si verifica subito, si presuppone in Febbraio, dato che vi dimora ancora la famiglia imperiale; in realtà, non solo lo Zar nel 1917 risiedeva presso Carskoe Selo, ma neanche poté assistere alla presa del Palazzo che si verificò solamente in Ottobre per mano dei Bolscevichi. Rasputin – lungi dall’essere nemico degli Zar – era un santone e il consigliere personale della zarina, la quale gli affidava le cure del piccolo Alessio, gravemente malato. Il cartone, riprendendo e delineando i contorni di una Rivoluzione dalla natura tutt’oggi molto controversa, è una spia importante per capire quanto gli eventi del 1917 stimolino l’interesse del grande pubblico: cosa spinse i produttori della 20th Century Fox – e prima di loro nel 1956  quelli del film Anastasia, interpretata da una meravigliosa Ingrid Bergman – a mettere in scena la leggenda della granduchessa sopravvissuta?

Anastasija Nikolaevna Romanova (1901-1918)

Nel 1991, nei pressi di Ekaterinburg, furono rinvenuti i resti di nove corpi. Gli studiosi, tramite gli esami del DNA, dichiararono che cinque di quei resti appartenevano ai membri della famiglia imperiale: accertarono, in particolare, la presenza nella fossa dei corpi dello zar Nicola II, della zarina Alessandra e i corpi delle tre granduchesse che si suppose fossero Olga, Tatiana e Maria. Mancavano all’appello la granduchessa Anastasia e lo zarevič Alessio, i quali s’ipotizzò potessero essere sfuggiti al massacro. Nel 2008, alcuni resti furono rinvenuti in una fossa distinta, poco lontano da quella principale. I due fratelli non sfuggirono alla sorte della famiglia imperiale e quella che si era creduto fosse la salma della granduchessa Maria, nella prima fossa, era in realtà quella della sorella Anastasia: infatti le analisi sul tessuto osseo rimanente rivelarono che l’ultima salma femminile era appartenuta ad una ragazza più grande, di 18 anni (l’età di Maria nel 1918, mentre Anastasia ne aveva 17).
La leggenda sorta intorno alla figura di Anastasia non si nutrì solamente di questo.

Quando – in seguito alla Rivoluzione di Febbraio – il 15 Marzo 1917 Nicola II decise di abdicare, per la famiglia imperiale ebbe inizio un lungo periodo di prigionia:

Sono arrivato in fretta e senza problemi a Carskoe Selo – scrive lo Zar nel suo diario – Ma, Dio mio, che differenza! Per strada, intorno al palazzo e dentro al parco ci sono le sentinelle, e al portone dei sottoufficiali. Sono salito e ho visto la cara Aliks e i miei amati figli. Lei sembra allegra e in salute. Tutti stanno meglio, tranne Maria, che si è da poco ammalata di morbillo. Ho passeggiato in giardino, poiché non si può uscire fuori! Dopo il té, ho sistemato le mie cose.

Inizialmente Nicola, Alessandra e i figli furono confinati nel palazzo di Carskoe Selo, una gabbia dorata dove le difficoltà legate alla loro ingombrate posizione non tardarono a farsi sentire; in seguito, su ordine del capo del Governo Provvisorio – Aleksandr Kerenskij, che sostituì il Principe L’Vov in Agosto – la famiglia imperiale fu trasferita in una piccola residenza a Tobol’sk (Siberia), affinché l’incolumità dei suoi membri non fosse messa a repentaglio. Tra il Marzo e l’Ottobre del 1917, Pietrogrado era una città dilaniata dalle lotte politiche intestine che vedevano da una parte il Governo Provvisorio legittimo ma impotente e, dall’altra, i Soviet che – per il momento – accettavano di convivere con questo governo ma che, nei fatti, agivano in modo del tutto indipendente, talvolta in aperto contrasto con esso. Le voci che circolarono riguardo ad una probabile intercessione del Governo di Londra presso il Governo Provvisorio per la liberazione della famiglia imperiale, non avevano portato ad alcun risultato: i Windsor, imparentati con i Romanov – la Regina Vittoria era la nonna della zarina Alessandra – a causa di una “ragion di stato” influenzata dalla Grande Guerra, lasciarono che la famiglia imperiale russa soccombesse al proprio destino. Quando, alla fine d’Ottobre, i bolscevichi insorsero rovesciando il Governo Provvisorio, i Romanov divennero una spinosa questione politica da risolvere. Da una parte Trockij avrebbe voluto per la famiglia imperiale – ed in particolare per lo zar – un processo-spettacolo (legale) a cui facesse seguito l’espulsione dalla Russia e l’esilio; dall’altra, correnti più intransigenti – come quella di Sverdlov e del Soviet di Ekaterinburg – prospettavano una soluzione più radicale. Gli eventi precipitarono nell’estate del 1918, come racconta lo stesso Trockij:

“ […] Tobol’sk è una piccola città senza fabbriche né proletari, e non rappresentava una residenza sufficientemente sicura per lo zar; ci si sarebbe potuti attendere dai controrivoluzionari un tentativo di liberarlo per metterlo alla testa delle Guardie Bianche.”

Il pericolo di un ricongiungimento fra i Bianchi e l’ex-imperatore doveva essere evitato, perciò la famiglia fu trasferita in un luogo sicuro negli Urali: Ekaterinburg.

Nel frattempo lo sviluppo della guerra civile decise differentemente – continua Trockij – le Guardie Bianche circondarono Ekaterinburg e da un momento all’altro avrebbero potuto scendere in città. Il loro obiettivo principale era quello di liberare la famiglia imperiale. Sotto tali condizioni, il Soviet locale decise di giustiziare lo zar e la sua famiglia.

La fucilazione avvenne sotto la supervisione di Jakov Jurovskij – capo della Čeka di Ekaterinburg – e con il consenso di Lenin.

La stanza dove furono fucilati i membri della famiglia imperiale ad Ekaterinburg nel Luglio 1918.

Mentre in Russia infuriava la Guerra Civile, in Europa la pace di Versailles sanciva la fine della Grande Guerra: la curiosità per la sorte della famiglia imperiale era tenuta viva da una cospicua comunità russa in esilio in Francia, Italia e Stati Uniti. Gli ultimi mesi di vita dei Romanov erano rimasti un mistero per il mondo intero dal momento che, all’indomani di Ottobre, la prigionia li aveva tagliati fuori dalla vita politica e pubblica della Russia. Le speranze e le attese suscitate da voci su una probabile fuga e sopravvivenza di una delle granduchesse Romanov, alimentate dall’incertezza e il mistero creatisi in quei mesi del 1918, cominciarono a trovare delle rispondenze nella realtà nella Germania del 1920.

Anna Anderson, ossia Franziska Schanzkowski, 1920 ca.

Nel 1920, infatti, a Berlino una squilibrata – identificata con il nome di Anna Anderson – tentò il suicidio in uno dei canali che solcano la città: in seguito, tratta in salvo e portata in un ospedale psichiatrico, essa cominciò ad asserire di essere la granduchessa Anastasija Nikolaevna Romanova. Anna/Anastasia, sopravvissuta grazie ai gioielli cuciti nei corsetti delle quattro sorelle che attutirono il colpo dei proiettili, raccontò la sua rocambolesca fuga da Ekaterinburg, ma la sua identità fu da subito controversa e dibattuta. Alcuni la riconobbero come la granduchessa, altri – tra cui la sorella dell’Imperatore Nicola II – negarono che la donna fosse Anastasia accusandola di essere un’impostora. Nel 1994 l’analisi del DNA confermò che Anna Anderson non era Anastasia ma una contadina polacca di nome Franziska Schanzkowska, psicologicamente instabile e scomparsa proprio nel 1920.

Eppure, nonostante tutto, la leggenda nacque e prosperò e, seppure la verità non coincise con essa, ritroviamo nella vicenda una figura tipicamente russa: l’impostore.

Il fenomeno dell’impostura esercitò un ruolo importante nel folklore e nella tradizione russa: esso riguardò soprattutto gli Zar che, dalla fine del XVI secolo in poi, ebbero a che fare con personaggi che in nome del principio dell’investitura divina, di cui si proclamavano portatori, reclamavano il loro diritto a sedere sul trono. Il primo fenomeno di impostura fu quello che – non a caso – avvenne durante il Periodo dei Torbidi (1598-1613) e che riguardò il presunto ‘ritorno’ di un figlio di Ivan il Terribile, Dimitrij, che si credeva ormai morto. Il secondo episodio più importante, fu quello di Emel’jan Ivanovič Pugačëv: egli, sostenendo di essere il defunto Zar Pietro III (marito di Caterina II), fomentò una rivolta cosacca nei territori tra il Volga e gli Urali – tra il 1773 e il 1774 – riuscendo a mettere in seria difficoltà l’esercito Imperiale e minacciando da vicino la stabilità del potere della Zarina. L’episodio fu ripreso da Puškin sia nel suo romanzo in prosa La Figlia del Capitano (1836), sia in uno dei suoi saggi storici intitolato proprio Storia della rivolta di Pugačëv (1834).

Anche nel XIX secolo, quando Napoleone invase la Russia, tra le masse popolari cominciò a circolare una voce secondo la quale il “demone” corso altri non fosse che un altro figlio di Caterina II rifugiatosi in Europa per sfuggire al fratellastro Paolo, tornato a reclamare la propria corona e a liberare i contadini. Napoleone non si presentò mai in questo modo e non reclamò mai la corona russa, però il fatto che i suoi soldati parlassero dei principi di libertà unito alla presunta parentela con Caterina la Grande, furono due elementi che contribuirono alla creazione di questa diceria.

Gli impostori non sempre erano considerati in modo negativo e quindi puniti come criminali: degli esempi precedenti, Pugačëv pagò il prezzo della ribellione con la morte per decapitazione nel 1775; Dimitrij, invece, fu ‘riconosciuto’ come il vero Zar e regnò dal 1605 al 1606. In seguito, lo Zar Dimitrij cadde in disgrazia perché sposò una principessa polacca cattolica la quale, non convertendosi all’ortodossia, fomentò il malcontento popolare; ma la legittimità del suo regno non fu mai messa in discussione.

Nel 1920 Anna Anderson, proclamandosi Granduchessa, diede inizio ad una leggenda – soffiando sul fuoco delle dicerie che volevano che una delle figlie dello zar fosse sfuggita al massacro del 1918 – e incarnò l’ultima impostura nella storia degli zar.

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