Tra memoria e cultura di massa. La BBC inglese alle prese con la divulgazione della Grande Guerra

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Stefano Grassia, Catania –

In occasione del centenario dalla prima guerra mondiale, l’emittente radiotelevisiva British Broadcasting Corporation ha deciso di commemorare la ricorrenza mandando in onda una vasta selezione di proposte culturali e programmi di approfondimento. L’iniziativa è senza dubbio encomiabile, ma in alcuni casi è emersa una linea di pensiero che fa riferimento a delle tesi storiografiche parziali e che è soggetta ad alcuni bias culturali.

Caso paradigmatico, tra i tantissimi sketch diffusi online, è stata una rap battle che nelle intenzioni dei suoi autori avrebbe dovuto colpire l’attenzione delle fasce più giovani, illustrando le presunte origini della grande conflagrazione.

Il video, caricato sul canale ufficiale della BBC, ha raccolto oltre cinque milioni di visualizzazioni, scatenando tuttavia le ironiche critiche di chi non si è fermato alle battute irriverenti e ai cliché riesumati per l’occasione. La storia che racconta è, infatti, ben confezionata ma tendenziosa. Se non lo avete ancora visto, questo è il momento giusto per rimediare.

 

 

I rappresentanti di questa battaglia in rima sono l’attentatore Gavrilo Princip per la Serbia, il generale Joffre per la Francia, l’imperatore Francesco Giuseppe per l’Austria-Ungheria, il Kaiser Guglielmo II per la Germania, lo zar Nicola II per la Russia e il sovrano Giorgio V per la Gran Bretagna.

Nel leggere questo elenco ci si dovrebbe domandare come mai per l’Hexagone la scelta non sia caduta su un capo politico, come invece è avvenuto per le altre grandi potenze. I personaggi appena citati, peraltro, hanno un proprio spazio nel video e recitano ciascuno i propri versi – tutti tranne il generale francese, il quale è relegato a un ruolo decisamente marginale.

Una battuta dell’imperatore tedesco rivolta a Giorgio V ci aiuta a svelare l’arcano: «Empire braggarts, you hate the French!». Il re tenta di dissimulare in maniera poco convincente, mentre Joffre continua a osservare la scena rimanendo visivamente in disparte.

 

 

Come spiegare un simile atteggiamento nei confronti di un alleato? Per comprendere tale dinamica va ricordato che, nonostante Francia e Gran Bretagna si fossero riavvicinate nei primi del Novecento in seguito all’espansione della Marina tedesca, le due potenze rimanevano storiche rivali.

L’Inghilterra, in particolare, riservava ai capi di governo d’oltremanica un marcato scetticismo, congiunto in questo corto al tentativo di ridimensionare l’importanza dello sforzo bellico francese, che sul fronte occidentale si sarebbe rivelato essere il più rilevante. I suoi meriti sono qui omessi e sostituiti con la convinzione secondo cui «Royal Britain rules the waves», così come quei leader politici sono ritenuti scomodi al punto da essere rimpiazzabili con il taciturno Joffre.

La figura dell’interprete selezionato per il ruolo di Nicola II suscita altrettante perplessità. Il vero zar era, infatti, ben più esile e basso, mentre nel video la somiglianza è più evidente con il predecessore Alessandro III. Una scelta probabilmente funzionale al tentativo di riproporre lo stereotipo del temibile e aggressivo impero orientale.

 

 

L’apice del british-apologism si raggiunge, però, con l’interpretazione del Kaiser. Oltre all’inscenare atteggiamenti effemminati, l’attore mette palesemente in ridicolo il suo personaggio – esemplare è la war dance, che priva di qualunque credibilità le sue parole.

Interessante è inoltre il linguaggio “genocidario” assegnatogli: «eradicate the serbian beast», cioè «eradicare la bestia serba», è un’espressione piuttosto forte anche per una sfida rap e lo sdegno espresso dal Kaiser denota un forte disprezzo per una razza considerata inferiore. Un chiaro richiamo alle ideologie razziste della Germania nazista e, soprattutto, alla figura di Adolf Hitler.

Le analogie con il leader del Terzo Reich non finiscono qui, dato che poco dopo Guglielmo II esalta il giovane impero tedesco affermando che «Germany will rise again like the past, / a glorious empire built to last! […] / Wilhelm the Great will go down in history!». Si notino nel video l’enfasi del linguaggio del corpo dell’attore, il tono di voce più alto e le riprese dal basso, elementi che tendono a interpretare come “folle” e arrogante l’imperatore, e che ne facilitano l’accostamento al Führer, passato alla storia anche per i suoi scatti d’ira (si pensi al film La caduta di Hitler)

 

 

L’estremizzazione diventa più evidente nelle battute finali: «Look into my eyes! You see compromise? / Your collective demise will see our rise! / I can’t back down now, I’ll look a clown now».

In altre parole, nella sua escalation isterica, l’imperatore si dimostra irragionevole, nonché refrattario al dialogo o al compromesso, e con sprezzante orgoglio sostiene di non potersi più tirare indietro, anche se la giustificazione qui addotta è di natura personale. Più che per ragioni di stato, infatti, appare preoccupato di fare la figura del “pagliaccio”, motivo per cui è ormai pronto a combattere a qualunque costo.

 

 

La sua chiusa è l’apogeo del giustificazionismo targato BBC: niente avrebbe potuto arrestare lo scoppio della prima guerra mondiale («ain’t shit that can stop this countdown now»), affermazione in linea con l’idea che nessun’altra azione inglese sarebbe stata in grado di arrestare la reazione a catena del luglio 1914.

Il conflitto sarebbe stato dunque necessario, poiché determinato dalla cieca ambizione di Germania e Austria-Ungheria, e fomentata dalla crisi serba. Una tesi opinabile, dato che Francia e Gran Bretagna non furono da meno in quanto ad azioni coercitive nell’Età dell’imperialismo.

Passando alla visione qui propinata dell’Austria-Ungheria: «get ready for the bombing, the shootin’, the gassin’», ammonisce Francesco Giuseppe. Ebbene, c’è da specificare che l’impero fece un uso estremamente limitato delle armi chimiche e solo a partire dal 1916, perché il sovrano era stato contrario al loro impiego.

 

 

Il verbo gassing sarebbe quindi alquanto inappropriato e altrettanto lo sono le espressioni bombing e shootin’ se presentate come esclusive delle potenze centrali. Azioni del genere, infatti, sarebbero state comuni ad ogni fazione, mentre un linguaggio bellico così crudo sembrerebbe qui appannaggio dei soli membri della Triplice Alleanza.

Appena prima, Francesco Giuseppe parla peraltro di bagni di sangue, per poi pronunciare il seguente verso: «I’ll kick you in the Balkans and degrade Belgrade». Anche in questo caso si noti l’utilizzo di un termine distruttivo (degrade) e la poca veridicità fattuale, dato che la distruzione di Belgrado non avvenne durante la presa austro-ungarica nel novembre 1914, bensì durante la riconquista serba del mese successivo.

La rappresentazione di Francesco Ferdinando, invece, restituisce l’impressione di un principe grasso e corrotto, poco avvezzo agli interessi dello Stato e del popolo, e interessato maggiormente al suo benessere («your fatty Franz Ferdinand didn’t see Princip’s pistol, / too busy guzzling his tenth wiener schnitzel»).

In verità, l’attività politica promossa fino ad allora dall’erede al trono lasciava presagire l’attuazione di importanti riforme all’interno della duplice monarchia, senza contare che il Circolo di Belvedere da lui costituito aveva dato un impulso determinante all’espansione della flotta austriaca.

Parallelamente, dai versi di Princip e dello zar russo emerge il chiaro intento di definire l’Impero austro-ungarico in declino e ormai in procinto di dissolversi («as your empre declines, / this time my solution is your dissolution»).

 

 

Anche in questo caso gli studi più recenti (cfr. Imperi e stati nazionali nell’Ottocento) hanno dimostrato che in quella fase era in corso un processo di adattamento ai nuovi paradigmi “nazionalistici”. D’altronde, si dimentica spesso che le principali etnie dell’Impero asburgico desideravano l’autonomia e non la scomparsa della monarchia danubiana.

A questo punto, non stupisce che Giorgio V sia apparentemente il più composto e ragionevole dell’allegra brigata: fa irruzione catturando l’attenzione dello spettatore con una simpatica battuta in riferimento allo «slavic Jeremy Clarckson», giornalista contemporaneo che a suo dire non avrebbe «nothing to do with us».

Dopodiché, si impegna a legittimare ancora una volta l’ingresso in guerra della sua nazione, una questione sulla quale lo storico N. Ferguson ha recentemente sollevato delle importanti criticità (cfr. The Pity of War). Rappando «your territorial ambition puts us in this position», infatti, si insinua che siano state le ambizioni strategiche della Germania a forzare la reazione inglese.

E prosegue: «We gave Belgium our word, / we’ve got no choice if you won’t behave», riferendosi a un accordo stipulato quasi un secolo prima, nel 1839, per difendere la neutralità belga.

In definitiva, se è vero che secondo Giorgio V «our poor old grandma must be spinning in her grave», è altrettanto vero che generazioni di storici si rigirerebbero nella propria, di tomba, nell’ascoltare questa distorta narrazione di come la Grande Guerra ebbe inizio.

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