Autonomia sì, autonomia no: la situazione del Veneto sotto il governo Salvini-Di Maio

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Federalismo e Lega costituiscono un binomio indissolubile, un legame covalente che ne anima le progettualità fin dai primordi. Federale, ad esempio, era la struttura politica che Bossi indicò per la Padania durante la celeberrima dichiarazione d’indipendenza enunciata a Venezia il 15 settembre del 1996. Spostandoci in tempi più recenti, in ottica federativa si può declinare anche il progetto riformatore che Salvini vorrebbe attuare nei confronti dell’Ue.

Giuseppe Catterin, Venezia –

Che l’affannosa rincorsa pentastellata nei confronti dell’alleato Carroccio si manifesti anche nello sconfinato universo social risulta essere un dato, oggettivamente parlando, di fatto: che si tratti di un cinguettio, un post o di una diretta, la tenzone digitale pare ancora lungi dal definirsi completamente esaurita. D’altro canto, i motivi d’attrito tra le due forze di governo cordialmente rivali sono stati, da qui a giugno, tanto molteplici quanto vari.

Nonostante il 2018 sia già volto a termine, l’anno appena trascorso ci ha lasciato un ulteriore capitolo di questa never ending story: la questione dell’autonomia veneta, vero e proprio cavallo di battaglia dell’anima leghista del governo Conte. Facendo proprie le dichiarazioni ultimamente espresse dal vicepremier Di Maio, si tratta di un percorso d’ardua attuazione, dalle tempistiche tutto fuorché certe e che, in aggiunta, non prevede un “manuale delle istruzioni” capace di rispondere al meglio alla sfida non di una, bensì delle “autonomie” già formulate o in via di enunciazione (n’è riprova la volontà di dotarsi di maggiore autonomia esposte da Piemonte, Umbria, Toscana e Marche).

Le richieste avanzate dalla Lombardia ad esempio, sono molto differenti da quelle proposte da Venezia (che ha invece preferito portarsi a casa tutta la posta in palio). Un discorso analogo può valere anche per l’Emilia-Romagna, che si è limitata a domandare solo un numero ristretto di competenze. Le tre regioni, ad ora, sono tuttavia accomunate da un maggior sviluppo nella trattativa con il governo centrale.

Come ben si può immaginare, le parole del leader grillino si sono ben presto tramutate in tizzoni ardenti, capaci di risvegliare le polveri, mai del tutto sopite, di via Bellerio nonostante il genuino sostegno – che lo stesso Di Maio ha tenuto a ricordare – che i Cinque stelle destinarono alla consultazione referendaria tenutasi in Veneto il 22 ottobre 2017.

Federalismo e Lega costituiscono, infatti, un binomio indissolubile, un legame covalente che ne anima le progettualità fin dai primordi. Federale, ad esempio, era la struttura politica che Bossi indicò per la Padania durante la celeberrima dichiarazione d’indipendenza enunciata a Venezia il 15 settembre del 1996. Spostandoci in tempi più recenti, in ottica federativa si può declinare anche il progetto riformatore che Salvini vorrebbe attuare nei confronti dell’Ue.

In maniera federale (e nella sua accezione marcatamente mitica), infine, viene rivalutata la stessa storia della Serenissima che, assieme alle vicende dell’Italia dei Comuni medievali, costituisce il passato cui rifarsi e da cui attingere abbondantemente. Aspirazioni forse romantiche, ma che comunque si fondano, per buona parte, sulla storica eredita marciana. La tipica amministrazione della Repubblica del Leone, da sempre protesa a interessi ultramarini e Mediterraneo orientali, lasciò sempre ampi spazi di manovra alle comunità locali, favorendone l’autogoverno a fronte dei più classici degli impegni: versamento delle imposte precedentemente pattuite, sostegno in caso di guerra e quant’altro.

Al di là delle irrinunciabili suggestioni provenienti dal passato, l’idea federalista veneta dimora in questi territori già da un bel po’ di tempo. Indubbiamente, essa deve parecchio alla peculiare forma di forma statale sperimentata, nei secoli, dalla società veneta. Tuttavia, in un certo qual senso, e al netto delle peculiarità che lo hanno contraddistinto, il poc’anzi citato Referendum consultivo del 22 ottobre 2017 rappresenta la naturale evoluzione di un più recente processo di trasformazione del pensiero politico, che affonda le proprie radici negli ultimi decenni d’esistenza della Democrazia Cristiana.

Durante la preminenza scudocrociata in Veneto (che rappresentò a lungo un fecondo bacino cui attingere consensi e quadri), furono molteplici le voci di malumore che, a più riprese, si levarono per denunciare il “classico” paradosso veneto: l’essere un gigante economico che, volente o nolente, doveva far i conti con un congenito nanismo politico. I Veneti, insomma, si riscoprirono incapaci d’accedere alle stanze dei bottoni.

Preoccupazioni che un maturo Antonio Bisaglia palesò senza remore a un giovane Ilvo Diamanti. Allora (siamo nell’82), in tempi non ancora pronti per la riforma del titolo V della Costituzione (avvenuta solamente nel 2001), il modello da seguire, ed espressamente indicato dall’esponente rodigino della Dc, proveniva d’Oltralpe. Ad essere più precisi, da quella Baviera più e più volte utilizzata come pietra di paragone dalla stessa balena bianca veneta.

In altre parole, si stava facendo strada il concetto federativo basato sull’esempio di convivenza tra la bavarese CSU e la tedesca CDU. L’intento era, pertanto, di rimodulare l’intera Democrazia Cristiana con l’obiettivo di formare una Unionsparteien in versione italiana, così da poter attribuire ai Veneti un peso politico equivalente alla preminenza economica saldamente detenuta dal Veneto.

Il vero scatto qualitativo si è semmai registrato nel nuovo revival federalista che, nel Veneto guidato da Luca Zaia, si transustanzia organicamente in materia seria, dettagliatamente articolata perché espressione genuina di istanze presenti nella nostra Costituzione. Il maggiore scoglio d’affrontare sta nelle coperture finanziarie da attribuire e, soprattutto, da stanziare senza creare ulteriori sofferenze alla tenuta dei conti pubblici (a titolo di esempio, si tenga presente che la Sanità veneta necessita annualmente di c.a 9,5 miliardi). Impresa oltremodo ardua, soprattutto in tempi di debito pubblico e deficit galoppanti.

Rimane però inevaso un quesito: gli impetuosi venti autonomisti provenienti da Nord-Est riusciranno, in un avvenire non troppo lontano, a riscrivere il futuro assetto istituzionale del Belpaese?