Istruzioni per il buon uso della nostra lingua: le “Lezioni di italiano” di Francesco Sabatini

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Francesco Sabatini

Caterina Mongardini, Venezia –

Pur essendo stata sempre molto affascinata dalla linguistica e dalla storia della lingua, purtroppo mi sono avvicinata tardi a queste tematiche, ma ho avuto la fortuna di trovare in Lezioni di Italiano: grammatica, storia, buon uso (Mondadori, 2016) di Francesco Sabatini un libro molto diverso da quelli che oggi giorno inondano le nostre librerie. Ritengo che questo testo sia la testimonianza che esista ancora, nel panorama culturale italiano, chi è in grado di scrivere un’interessante e stimolante riflessione sulla nostra lingua, riportando in termini divulgativi studi di grande spessore, senza risultare pedante. La novità di questo testo sta proprio nell’approccio inclusivo con cui l’autore vuole coinvolgere il lettore – anche il meno preparato come me – nella scoperta della propria lingua, cercando di spiegarne il funzionamento affinché venga adoperata correttamente.

Negli ultimi anni, infatti, il mondo dell’editoria si sta saturando di libri che pretendono di insegnare al lettore come “scrivere bene”, come “non scrivere”, come “leggere nel modo giusto” e in che modo è più “corretto” parlare in differenti occasioni (dal colloquio di lavoro, alla chiacchierata con gli amici, allo scambio di indicazioni stradali). Spesso si tratta di testi che si profondono nella descrizione del degrado che l’uso della lingua italiana sta subendo. Essi, nella maggior parte dei casi, approdano a conclusioni sconsolanti, di ripiego di fronte all’inevitabile declino della nostra lingua. C’è da chiedersi se questi “bignami” dell’uso della lingua italiana, che offrono soluzioni pronte per determinati problemi, siano effettivamente utili, o se forse non siano più dannosi perché incentivano un modo di concepire la lingua come uno mero strumento “usa e getta”. Questi spunti di riflessione sono scaturiti proprio dalla lettura del libro di Francesco Sabatini che – a differenza di altri – non è in alcun modo un libro che serva a chi debba confezionarsi un colloquio di lavoro per domani.

Non a caso i tre temi che vengono affrontati – grammatica, storia e buon uso – non hanno la velleità di insegnare al lettore l’italiano, illustrando, invece, le connessioni tra la lingua, la cultura, la società, la scienza e l’attualità. Il dato fondamentale da cui parte l’autore è: la lingua si forma dentro di noi già in tenerissima età, grazie alle connessioni spontanee che il nostro cervello – quello dell’uomo sapiens sapiens – ci consente di fare tra simbolo (parola) e cosa. Accanto ad esso, opera anche un altro meccanismo comunicativo istintivo che è l’imitazione: il bambino cerca di imitare il linguaggio verbale (e non) dell’adulto e così intuisce (dal latino, intueri, “vedere dentro”, cogliere in sé) anche la grammatica. La grammatica, quindi, è elaborata dal cervello prima della scrittura e questo non è solo un dato biologico e “didattico” – perché si impara a scrivere dopo che si è imparato a parlare – ma anche storico. L’uomo comunicava verbalmente anche prima dell’invenzione della scrittura. Ed è a questo punto che Sabatini introduce al lettore la storia della lingua.

 

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È universalmente noto che l’italiano faccia parte delle lingue neolatine, ossia che discendono dal latino, come il francese, lo spagnolo, il rumeno, ecc…; meno noto è che anche il latino a sua volta discenda da un ceppo linguistico più antico e vasto, l’indoeuropeo. A cosa serve risalire tanto indietro nel tempo? capire che il linguaggio si è sviluppato in forme diverse, a seconda del contesto sociale e culturale di riferimento, ma anche che è nato dallo stesso bisogno – quello di comunicare – e con le stesse modalità: la necessità di stabilire dei legami tra due o più cose attraverso simboli, per poter instaurare una comunicazione completa. Questo bisogno nasce dalla natura stessa dell’uomo, un animale sociale che evolvendosi ha migliorato nel tempo anche i propri metodi di comunicazione: dai versi alla parola.

Posto il fatto – tutt’altro che scontato – che la lingua è un’eredità tanto biologica quanto culturale che ci portiamo dietro da millenni e che è mutata nel tempo per l’utilizzo orale che se ne è fatto, non è altrettanto scontato avere la consapevolezza che la scrittura è un’invenzione molto recente che ha, inoltre, irrigidito le forme della lingua. In che senso? Ne ha codificato la grammatica, istituendo delle regole che hanno normato la redazione dei testi scritti, i quali a loro volta hanno influenzato il modo di parlare. Gli alfabeti, in questo senso, sono stati i primi tentativi; l’imposizione di uno standard di una lingua scritta, si rintraccia sin dalla koinè (κοινὴ) greca, una lingua comune comprensibile a tutti i greci, e non solo! In seguito, il latino ha assunto tale funzione e l’ha mantenuta fino a pochi secoli fa.

Questo viaggio tra i meccanismi biologici, culturali e sociali della lingua, consente all’autore di illustrare la complessità dello strumento con il quale comunichiamo e le forme che esso ha assunto nel tempo (la forma orale prima, in seguito scritta ed infine virtuale). Sono tre livelli che con il tempo hanno influito sulla composizione del vocabolario che utilizziamo o sul significato che diamo alle singole parole. Da questo punto di vista la lingua è continuamente in evoluzione: ad essere messa in discussione dal passare del tempo non è, però, la grammatica, quanto l’uso pratico – e il più possibile corretto – della lingua. Sabatini, in quanto stimatissimo linguista e membro dell’Accademia della Crusca, è la voce autorevole che ci può indirizzare sulla strada del buon uso. Attenzione: ripetiamo che l’autore non dà regole e/o suggerimenti ai quali rifarsi all’occorrenza, ma spiega e rende comprensibili a tutti i meccanismi che regolano la comunicazione tra noi umani. Il modo in cui lo fa è sorprendentemente semplice: tra i capitoli del libro – chiamati significativamente Dialoghi e Inviti – egli inserisce quelle che lui chiama delle Provocazioni che, anche attraverso dei veri e propri esercizi di grammatica da compilare, allenano la mente a una lettura più consapevole.

Una volta capito – anche con l’aiuto delle neuroscienze – come si crea scientificamente in noi la lingua; come è impiegata per comunicare; come si è modificata nel tempo a seconda dell’ambito culturale di riferimento; che essa è un istinto primordiale, ma che abbiamo bisogno di imparare a leggere e a scrivere per poterla padroneggiare completamente; solo allora, saremmo in grado di adoperarla con le dovute maniere.

Per comprendere quanto la lingua si adatti alle esigenze espressive del mondo – ma anche quanto le regole che abbia siano necessarie – porterei due esempi, uno dei quali particolarmente interessante e curioso.

A chi non è mai capitato di essere perplesso? A nessuno. E quale era la questione che vi…perplimeva? Ecco il primo esempio: il verbo perplimere. Sui vocabolari, almeno fino a quelli del 2003, non esiste questo verbo, eppure sempre più capita di sentirlo adoperare. Da dove viene se nel vocabolario della lingua italiana è assente? Il verbo perplimere è un neologismo inventato da Corrado Guzzanti che lo fa pronunciare al suo Rokko Smiterson in “Avanzi”, programma Rai condotto da Serena Dandini. L’uso che Rokko fa delle parole è chiaramente satirico e gli errori – a volte madornali – che escono dalla sua bocca rispondono ad un canone che ne ammette l’uso. Al contrario, però, di molti strafalcioni, Rokko utilizza la coniugazione del verbo in questione nel modo più corretto possibile. Perplimere/perplesso, infatti, si comporta come riflettere/riflesso, comprimere/compresso e, per di più, risponde a un’esigenza della lingua italiana che fino a quel momento non aveva un verbo per indicare l’azione di “rendere perplesso qualcuno”. Nonostante le origini della parola, anche l’Accademia della Crusca ha assecondato l’ingresso di tale verbo nella lingua italiana, cosicché ora dobbiamo ringraziare Guzzanti se possiamo toglierci d’impaccio quando ci sentiamo assillati da un dubbio.

 

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Corrado Guzzanti alias Rokko Smitherson con Serena Dandini in una puntata di “Avanzi”

 

Il secondo esempio, invece, concerne il piuttosto che, oggi utilizzato erroneamente con valenza disgiuntiva come o/oppure. Sabatini è categorico a riguardo: non è ammissibile che la lingua italiana accolga un tale scempio. Perché, allora, perplimere viene accettato, e piuttosto che non può essere usato con altra valenza? Mentre il verbo è un neologismo che rende più semplice comunicare un disagio arrecato da un’esperienza che non è possibile valutare chiaramente (ossia, il disagio dall’essere perplesso), usare il piuttosto che come disgiuntivo, non solo arreca danno alla sintassi della lingua, ma rende oscuro il messaggio che si vuole comunicare. Dire: “Dipingo la camera di azzurro piuttosto che di rosso” non è la stessa cosa che dire: “Dipingo la camera di azzurro oppure di rosso”. Nel primo caso si esclude uno dei colori (il rosso); nel secondo, entrambi i colori hanno la stessa probabilità di essere scelti dal soggetto.

Ho apprezzato questo libro per il messaggio positivo e vivace che veicola: immergersi nella conoscenza della nostra lingua è il modo più bello che abbiamo per utilizzarla e valorizzarla. Ci sono cose, quindi, che è bene sapere della nostra lingua per poter avere con essa un rapporto sereno; sembra una stupidaggine ma relazionarsi senza timori con la propria lingua aiuta anche la comprensione del mondo e di noi stessi, e ci aiuta a vivere meglio. Lo sapevate? Io, ho dovuto leggere questo libro per scoprirlo: a Roma di dice “si nun lo sai, sallo!”. Tradotto: “Se non lo sai, è bene che tu lo sappia”.

 

F. Sabatini,
Lezioni di Italiano: grammatica, storia, buon uso
Milano, Mondadori, 2016
pp. 224

1 thought on “Istruzioni per il buon uso della nostra lingua: le “Lezioni di italiano” di Francesco Sabatini

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