La banalità del male: il decreto sicurezza bis

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Giulia Barison, Venezia –

 

Oh cieca cupidigia e ira folle,

che sì ci sproni ne la vita corta,

e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!

Inf. XII, 49-51

 

Qualche giorno fa, lunedì 5 agosto, è stato approvato il cosiddetto “Decreto sicurezza bis” (scarica qui il testo completo). Il decreto tocca fondamentalmente tre punti: l’immigrazione, le manifestazioni pubbliche e la gestione delle forze dell’ordine. Per farla breve, l’immigrazione e le manifestazioni pubbliche, considerate “peccati” (tecnicismo che ben si adatta alla deriva religiosa presa dalle recenti narrazioni salviniane) gravissimi dal nostro ministro dell’interno, vengono soffocate attraverso un non indifferente inasprimento delle “pene” da una parte, e con l’aumento del potere conferito alle forze dell’ordine, in favore delle quali verranno stanziati 2 milioni di euro di soldi pubblici, dall’altra.

Negli anni ’60 Hannah Arendt pubblicava il celeberrimo La banalità del male, titolo poi diventato inflazionatissimo nella trattazione di fenomeni di violenza e ingiustizia del passato e del presente. In effetti, si tratta di una locuzione che coglie un aspetto fondamentale della genesi della violenza umana: la sua banalità, ovvero l’inconsapevolezza dell’uomo dinanzi alla violenza propria e altrui. Applicando quanto detto finora al caso preso in questione, è ovvio che nella politica leghista vi sia molta violenza e che questa violenza sia frutto di una certa inconsapevolezza presente sia a livello governativo, sia a livello elettorale.

Tornando al “Decreto sicurezza bis”, varrà la pena spendere qualche parola sulla sezione dedicata ai migranti. Che l’immigrazione non sia un fenomeno negativo, tanto più in Italia, è ormai dato di fatto: è sufficiente dare una veloce occhiata ai grafici dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) per rendersi conto che non è vero che gli immigrati “ci rubano il lavoro”, anzi, entrano in competizione con i lavoratori nativi solo laddove ci sia stata una cattiva gestione del capitale umano. Più semplicemente, qualora si crei competizione, questa non va intesa come una (o la) causa del tracollo economico, ma come un sintomo dello stesso: la colpa è tutta nostra. E non è finita qua. In questo scenario l’immigrato può risultare addirittura utile: rivolgendosi tendenzialmente a posizioni lavorative più umili, permette al nativo di dedicare il proprio tempo e le proprie energie ad attività maggiormente produttive e, di conseguenza, di arginare i danni arrecati al sistema fiscale e pensionistico.

 

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Ph: Donato Fasano – LaPresse, 08 08 2018 – Foggia

 

Tuttavia, la paura dell’“uomo nero” non ha solo motivazioni di carattere economico alle sue spalle. Altra giustificazione spesso adottata è il rischio di perdere la propria identità culturale. La comunità straniera attualmente presente in Italia copre l’8.5% della popolazione: si tratta di un numero che supera di poco i 5 milioni di persone, di cui solo il 21% deriva dall’Africa, contro il 51% che deriva dall’Europa. La molteplicità culturale si spalma in diversa misura su 5 continenti e quasi 200 Paesi. Se pensiamo che questi numeri irrisori possano costituire una minaccia per la nostra cultura, significa che il nostro sistema culturale è molto debole. Il che non è del tutto falso, se pensiamo che, soprattutto nel Nord Italia, si sta estinguendo la vivacità dialettale, dal momento che gli preferiamo non insegnare il dialetto ai nostri figli; che formiamo alcuni tra i migliori cervelli in Europa, per poi regalarli all’estero; che investiamo troppo poco nel nostro patrimonio artistico, basti pensare solamente alle condizioni, in alcuni casi apocalittiche, in cui si trovano città come Venezia e Roma. Ancora una volta, la colpa è tutta nostra: l’immigrato non è altro che vittima e capro espiatorio.

In un’ottica più ampia, questo dimostra quanto la globalizzazione sia stata un flop totale: null’altro, se non l’ennesimo prodotto del capitalismo imperante, per cui la visione globale non si è mai concretizzata in un’apertura positiva verso l’altro, ma si è limitata allo sfruttamento insostenibile dello stesso, alla distruzione delle barriere naturali in favore del mercato e all’erezione di barriere artificiali in favore di razzismo e intolleranza. D’altronde, chi colpevolizza i migranti (con tutte le conseguenze del caso) è la stessa gente che indossa vestiti prodotti in Asia e che alimenta la propria macchina con il petrolio estratto in Africa, finendo così per macchiarsi non solo di un’incoerenza e di un’ingenuità stupefacenti, ma anche di veri e propri crimini umani e ambientali (mi riferisco allo sfruttamento umano e ai danni ambientali provocati, in questo caso, dalla fast fashion e dal commercio del petrolio).

Eppure, mentre il nostro Pianeta sta andando a rotoli per ben altri motivi, in Italia il problema rimangono gli immigrati. Addirittura, salvare vite umane è diventato reato, come hanno dimostrato i recenti fatti relativi a Carola Rackete e alla Sea Watch e, soprattutto, lo stesso “Decreto sicurezza bis”. Viviamo in un Paese in cui il ministro degli interni può impunemente scrivere sui social network: «Ma vi par normale che una zingara a Milano dica “A Salvini andrebbe tirata una pallottola in testa”? Stai buona, zingaraccia, stai buona, che tra poco arriva la ruspa». La stessa ruspa con cui si è tentato recentemente di radere al suolo il celebre Xm24, il centro sociale di Bologna, sulla quale notizia Salvini si è espresso utilizzando queste parole: «Molto bene, la musica è cambiata: ordine, legalità e democratiche ruspe!». Ma se la musica che piace al ministro è l’inno di Mameli lanciato da lui stesso in veste di DJ al Papeete Beach, mentre la folla alza le braccia in saluti romani e le cubiste ballano scatenate sui cubi, forse questo cambiamento è meglio evitarlo.

 

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Il caso di Bologna ben dimostra come gli immigrati non siano l’unico grande nemico di Salvini: ci sono anche i “comunisti”. Senza spendere troppe parole su come l’uso del termine ‘comunismo’ adottato dal ministro sia sintomatico di una certa povertà lessicale e ignoranza storica, sarà in questa sede il caso di concentrarsi solo su quei “comunisti” che non piacciono alla Lega: i manifestanti. La manifestazione pubblica è un diritto del cittadino, soprattutto in un periodo storico come quello attuale, in cui lo stato di emergenza climatica ed ecologica è così grave, che l’unico modo per svegliare l’umanità dal suo torpore è la forte presa di posizione, anche e soprattutto attraverso scioperi e manifestazioni pubbliche. La risposta di Salvini a questa necessità è l’ostacolare questo tipo di azioni, in favore della piena libertà conferita alle forze dell’ordine, delle quali sono tristemente noti ormai diversi casi di abuso di potere sfociato nella violenza – quelli del G8 (di cui l’anniversario è caduto recentemente) e di Stefano Cucchi sono solo due dei più celebri. D’altronde per il governo italiano l’emergenza climatica non esiste: non solo non è stata ancora dichiarata, a differenza di quanto avvenuto in Irlanda, Canada e Francia, ma non vengono nemmeno prese misure indirizzate alla sostenibilità ambientale. È sufficiente visionare il programma proposto dalla Lega alle recenti elezioni europee per rendersi conto che la sua presa di coscienza sull’urgenza ambientale è pari a zero. Che la Lega non abbia mai dimostrato una particolare lungimiranza non è una novità e di conseguenza è inutile aspettarsi che sappia che nell’Artico gli incendi hanno raso al suolo un’area pari a quella della Grecia.

È inutile aspettarsi che si renda conto del disastro ambientale implicato e del numero di vittime che il fuoco sta mietendo. D’altronde, se anche Salvini si trovasse a scambiare due chiacchiere al riguardo con l’amico Putin, quest’ultimo gli direbbe, come ha già fatto pubblicamente, che «è colpa dei boscaioli». Ma ricordiamo solo qualche fatto avvenuto in Italia negli ultimi mesi: qualche giorno fa, le ondate di caldo provenienti da nord-est e alimentate dal Maestrale hanno prodotto una serie di incendi di una certa gravità in Sardegna, di cui ha sofferto in particolar modo la costa orientale; un mese fa l’Italia centrale, e in particolar modo l’Abruzzo e le Marche, è stata devastata da nubifragi e cicchi di grandine grossi come arance, che hanno prodotto un buon numero di feriti e anche qualche vittima; nei mesi scorsi eventi simili hanno toccato anche il Nord Italia e soprattutto l’Est, che ha subito danni pari a un milione di euro all’agricoltura. È ovvio che non si può parlare di ‘maltempo’, è ovvio che questi disastri ambientali sono sintomatici dell’emergenza climatica ed ecologica ed è ovvio che se non si prende in mano la situazione le cose andranno irrimediabilmente peggiorando. Come se non fosse già abbastanza frustrante il fatto che si siano dovuti creare ad hoc movimenti ambientalisti volti alla sensibilizzazione dei pigri, degli egoisti e dei ciechi, quando ormai l’informazione è alla portata di tutti, il “Decreto sicurezza bis” arriva addirittura a ostacolare questo tipo di manifestazioni pubbliche, magari con la giustificazione che si tratta di giovani “comunisti” che si divertono a fare falso allarmismo. D’altronde non esiste crisi ambientale: il problema sono gli immigrati.

 

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Mentre il Monte Cervino si sta sgretolando per il troppo caldo, suona anche l’allarme Marmolada: secondo alcuni studi, il suo ghiacciaio si sta sciogliendo a velocità imprevista e potrebbe scomparire entro 25 anni. Stessa sorte per quasi tutti i ghiacciai italiani.

 

Dato per appurato che la Lega ignora deliberatamente i veri problemi, cercando di nasconderli dietro a problemi inesistenti, vale la pena prendere in considerazione un ultimo fattore: la banalità di tutto questo male. Non si può decidere della vita o della morte di un innocente: non offrire aiuto alla gente in mare quando si ha la possibilità di farlo è omicidio. Non esistono giustificazioni: il senso di umanità supera e deve superare qualsiasi tipo di barriera – economica, sociale o culturale che sia. A maggior ragione, l’invenzione di false accuse per giustificare un tale comportamento è e deve essere un reato gravissimo. Mi chiedo come sia possibile che una buona fetta dell’elettorato italiano si fidi di una persona che uccide senza battere ciglio. Mi chiedo come sia possibile che l’elettorato meridionale lo sostenga con tanto fervore: è davvero convinto che se Salvini in passato avesse avuto la possibilità di fare con i “terroni” quello che oggi fa con i migranti non l’avrebbe fatto? È davvero convinto che l’attenzione dedicata oggi ai migranti nasca da presupposti diversi da quella che ieri veniva data ai “terroni”? L’importante è sempre stato avere un capro espiatorio. Ma oggi, per nascondere i propri errori, il nostro governo è arrivato a uccidere. E noi non possiamo nemmeno manifestare contro la banalità di questo male. Questo dovrebbe riportarci alla mente qualcosa. E dovremmo essere tutti terrorizzati.