Vivere la guerra, tramandarne la memoria: le “Storie bojanesi” di Michele Campanella

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Angelica Calabrese, Isernia –

“Fu così, che per volere di mamma Ines, Ada dovette sposare lo zio benestante americano e John, soldato inglese, giunto a Bojano durante la seconda guerra mondiale, accontentarsi della sorella Giusy”, lo ha detto con gli occhi lucidi alla fine del racconto Michele Campanella, storico della città matesina. “Questa è una bellissima storia”, mi aveva anticipato qualche minuto prima, “me la leggi?”. Ed è così che per una volta si sono invertiti i ruoli. Solitamente sono i “grandi” a narrare le loro storie, invece questa volta sono stata io a raccontare una favola ad un ottuagenario. Un’altra generazione da cui si ha ancora molto da imparare. Bisogna approfittare allora dei tanti ricordi, forse anche un po’ sbiaditi, degli anziani e imprimerli sulla carta, per poter tramandare un giorno quello che fu. È importante trascorrere del tempo con questi veterani per formarsi e affinarsi dal punto di vista umano. Uno scambio bilaterale, perché confrontarsi fa bene anche a loro. Nelle piccole realtà, infatti, troppo spesso, gli anziani si ritrovano a parlare anche da soli, perché hanno ancora molto da dire.

La storia a cui si accennato precedentemente parla d’amore. Amore vero s’intende, non quello balenante dei social a cui siamo abituati oggigiorno. Ada era una bellissima ragazza di Bojano. Aveva lunghi capelli biondi ed occhi azzurri. Un soldato inglese, John, s’innamorò perdutamente di lei e chiese la sua mano, ma Ada era ancora minorenne. La madre, Ines, apprezzò molto la situazione. Un futuro sposalizio con un militare le avrebbe risparmiato i soldi per la dote e vista la miseria d’un tempo questa sarebbe stata una buona cosa. John fu ospitato in quella casa per due mesi e con il passare del tempo anche Ada perse la testa per lui, fino a quel tragico giorno in cui i due dovettero separarsi perché John doveva trasferirsi. Prima di andar via però le promise che sarebbe tornato non appena finita la guerra. Dopo due anni la guerra terminò e di John neanche una traccia. Continuarono a trascorrere inverni e primavere, ma nulla, solo che il cuore di Ada continuava ad attendere speranzoso. Fino a quando non rientrò dall’America il fratello di mamma Ines, che nel nuovo continente faceva bella vita e chiese la mano della nipote. Ines anche in questa circostanza intravide una ghiotta possibilità per la figlia e allora convinse Ada a sposare lo zio “perché John poteva essere morto in guerra”.

Ada andò in America e John tornò, esattamente il giorno del suo ventunesimo compleanno, voleva sentirsi dire che anche da maggiorenne lei avrebbe onorato il voler star con lui, ma si trovò davanti questo cambio di programma. Pianse molto John, ma mamma Ines sapeva come consolarlo, certamente a suo vantaggio. Aveva ancora una figlia da maritare e la dote rimaneva cosa rara per questo gliela fece conoscere. In un primo momento John rifiutò “l’affare”, solo successivamente acconsentì, ma solo perché alcune sembianze di Giusy gli ricordavano Ada. Le due sorelle non si sentirono più, la madre glielo impedì. Solo troppo tardi Ada seppe che John si era sposato con Giusy, vivevano in Inghilterra e avevano due figli. Glielo raccontò la madre durante una sua visita a Bojano. La giovane ripartì immediatamente per l’America.

Civita di Bojano, vista dall’alto in una foto d’epoca

“I nomi che ho utilizzato nella stesura di questo racconto non sono veri”, ha specificato Michele Campanella, nato a Bojano, precisamente nella frazione di Monteverde dove, dopo 87 anni ancora vive e dove è considerato il saggio del paese. Ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale Michele e ha deciso di raccogliere alcuni significativi aneddoti nel libro Storie bojanesi (Tipolito Matese Editrice, Bojano, 2004).  “Il passaggio della II Guerra Mondiale a Bojano ha lasciato anche ricordi belli” ha raccontato. Perché negli istanti di paura e terrore si è spinti a vivere tutto in maniera più intensa. Questo è il senso che il professore di lettere Campanella ha voluto imprimere nel suo racconto Confessione. “Durante lo sfollamento i Bojanesi si trasferirono a Civita”, (antico borgo medievale posto a 717 metri sul livello del mare), dove i tedeschi avevano organizzato un osservatorio. Quando gli americani bombardarono la piccola rocca i Bojanesi si trasferirono tra Guardiaregia e Sepino. Anche la mia famiglia fece questo calvario”, ha continuato Michele.

 

Con cugini, genitori, zii, nonni, mia nonna era addirittura legata perché non riusciva a camminare, ci avviammo verso Guardiaregia. Appena giunti si cercò qualche alloggio e mio padre si recò presso alcuni amici ottenendo solo un piccolo fondaco utilizzato per produrre i manufatti di creta. Poi mio padre chiese anche qualcosa da mangiare, ma l’amico rispose che non avevano la quantità di risorse necessarie per sfamare le più di 4000 persone di Bojano, anche se data l’amicizia gli avrebbe dato un dono di patate che poi avrebbe dovuto restituire. A casa le mie zie e mia madre avevano il compito di dividere le patate per il numero dei presenti e secondo i calcoli ne toccavano cinque ciascuno. Iniziò la distribuzione. Quando si arrivò a me, che avevo 13 anni e mezzo, una patata mi cadde per terra. Allora iniziai a cercarla, ma non la trovai, così inizia a gridare – Mi hanno rubato la patata, mi hanno rubato la patata -, mia madre si avvicinò a me, mi diede una patata delle sue e mi disse: – Eccoti la patata e non gridare più, mangia e stai zitto -. Un mesetto dopo, quando tornammo a casa, mio padre mi disse che una mia zia che si era rifugiata con noi era malata e aveva voglia di vedermi e salutarmi. Il giorno dopo ci andai e appena arrivai mi fece un grande sorriso e mi disse: – Tu te la ricordi quella patata quella sera? Quella patata te la rubai io e lo feci perché tu avevi mangiato una fetta di pane la mattina, io non avevo mangiato nulla. Ne avevo proprio bisogno, ora io sto per morire, ti devo chiedere perdono, ma tu mi perdoni? – E mi toccò la mano, io la strinsi forte, si commosse e finì lì.

 

Non sono solo autobiografici i racconti del maestro Campanella, che addirittura nella sua raccolta parla di un caro amico che a causa di quella fame dovette arruolarsi nelle SS e alla richiesta di sparare ad uomo si tirò indietro e per questo fu rinchiuso dai tedeschi in un pollaio, da cui riuscì coraggiosamente ad uscire, giungendo poi dai pressi di Isernia fino a Bojano. Nella raccolta Storie bojanesi è descritto anche l’altro volto dei tedeschi, quello buono, troppo spesso celato o meglio omesso, soprattutto quando si trattava di donne, bambini e cibo.

Michele Campanella ricorda anche una sorta di Campo di Concentramento a Bojano “con 280 posti, ma non fu mai pieno”. Era una fabbrica per il tabacco. C’erano delle apposite apparecchiature, ma ci aggiunsero qualche latrina appunto per adibirlo a campo. “Ci lavorava una donna di Bojano con cui ho parlato tante volte ed è venuta a mancare poco tempo fa”, ha svelato Michele. Faceva la cuoca e raccontava che le persone lì dentro erano tanto buone e calme. C’erano prevalentemente zingari e donne di cui non si conosceva il ruolo nella società. Di fatto erano state confinate. Rimaste lì fino a quando sono arrivati gli americani. “Forse si salvarono per questo. Di confinati ricordo anche tre o quattro persone venete, qualcuno è rimasto a Bojano tanto che si è trovato bene”.

La località Giudecca a Civita di Bojano

A Civita di Bojano, come in altre zone del Sud,  invece, presso le mura di cinta si legge ancora “Via della Giudecca”, dove vivevano gli ebrei. “Non solo con la guerra, ma anche duecento anni fa venivano tenuti lontani gli ebrei, come qualcosa che non fosse gradito”, ha specificato Campanella.

Per mantenere a galla la memoria storica si sta sviluppando in Molise il progetto Turismo della Memoria a cura dello storico Roberto Colella.

 

Michele Campanella
Storie bojanesi
Bojano, Tipolito Matese, 2004
205 p.