Alle radici del negazionismo storico: il caso dell’Institute for Historical Review

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Benedetta Giuliani, Roma –

Nel 1979 lo Institue for Historical Review (IHR), associazione fondata nella città californiana di Torrance appena un anno prima, decise di presentarsi all’opinione pubblica americana attraverso una sfida: l’IHR promise di pagare una ricompensa di 50.000 dollari a chiunque avesse provato l’impiego delle camere a gas ad Auschwitz. L’IHR uscì sconfitto dalla contesa e fu costretto a corrispondere la somma pattuita a Mel Mermelstein, ex internato nel lager polacco il quale riuscì a dimostrare l’esistenza delle camere a gas grazie alle prove raccolte e all’intervento di un giudice. Nonostante lo smacco, l’associazione aveva ormai fatto il suo ingresso nel dibattito pubblico e si apprestava a capitalizzare le opportunità offerte dal clima culturale americano dei tardi anni Settanta, il quale aveva da poco sdoganato il concetto di historical revisionism.

Articolo di presentazione di uno dei classici dell’IHR


Il revisionismo storico, secondo uno dei suoi primi promotori, Harry Elmer Barnes, non sarebbe altro che “il riadattamento della ricerca storica ai fatti storici”. Tuttavia una precisazione linguistica si impone: il revisionism che Barnes e altri andarono teorizzando negli Stati Uniti tra gli anni Cinquanta e Sessanta e di cui l’IHR raccolse poi l’eredità, coincide con quello che noi definiremmo propriamente negazionismo, un concetto ben distinto dal revisionismo propriamente inteso, ovvero quel processo di interpretazione critica e aggiornamento continuo della conoscenza storica il quale costituisce l’ossatura dell’indagine storiografica. Come ha sintetizzato l’esperta di diritto Emanuela Fronza, la differenza tra negazionismo e revisionismo può così riassumersi:

 

Col termine revisionismo si indica la tendenza a rivedere le opinioni storiche consolidate alla luce di nuovi elementi e di nuove conoscenze acquisite nel corso della ricerca […] Negazionismo è invece un termine […] univocamente caratterizzato in senso negativo, sorto in ambito storico e giornalistico per definire […] un preciso filone del revisionismo storiografico […] quel filone che ritiene di poter dimostrare come la Shoha, in quanto fenomeno unico, univoco e con precise responsabilità ideologiche e criminali, non si sia mai svolto nei termini in cui viene comunemente ricostruito.

 

Il negazionismo pur essendosi diffuso inizialmente nel vecchio continente a partire dal secondo dopoguerra è riuscito a piantare solide radici anche negli Stati Uniti, laddove si è sviluppato recuperando e ampliando le tesi dei primi negazionisti europei fino ad affermarsi come un fenomeno specifico. Quando nel 1978 venne creato l’IHR, i suoi fondatori avevano alle spalle una lunga lista di autori dai quali trarre ispirazione. Le origini di quello che sarebbe divenuto l’indirizzo negazionista americano vanno ricercate nella letteratura revisionista sviluppata a partire dagli anni Venti e incentrata su una ricostruzione delle cause della Prima guerra mondiale volta a riconsiderare, quando non a contestare del tutto, l’idea che il conflitto fosse scoppiato per colpa dello Stato tedesco. Tra il 1920 e il 1950 autori come Sidney Fay o il già citato Barnes si dedicarono a sviluppare trattazioni, più o meno scientificamente fondate, in cui la Germania svestiva i panni tradizionali dell’aggressore per indossare quelli dell’aggredito, vittima delle manovre dell’asse angloamericano. Benché composte in un contesto significativamente differente da quello che avrebbe poi accolto le tesi pseudo-storiche dell’IHR, queste opere stabilirono un topos ricorrente nella successiva letteratura negazionista, ovvero il tema dell’attribuzione della colpa volto ad affermare l’idea che la Germania fosse innocente, o almeno tanto colpevole quanto gli Alleati nell’aver provocato le due guerre mondiali.

Indice di un numero del “The Journal of Historical Review”, rivista ufficiale dell’IHR.

L’IHR nacque per iniziativa di Willis Carto, una figura molto attiva nel sottobosco dell’editoria legata agli ambienti di estrema destra. Fin dall’inizio l’IHR cercò di costruirsi un’immagine di rispettabilità accademica, presentandosi come un istituto per la ricerca storica. Ancora oggi l’IHR si presenta così:

 

The Institute for Historical Review is an independent educational center and publisher that works to promote peace, understanding and justice through greater public awareness of the past, and especially socially-politically relevant aspects of modern history. We strive in particular to increase understanding of the causes, nature and consequences of war and conflict […] the IHR is non-partisan, non-ideological and non-sectarian.

 

Benché l’IHR dichiari di essere interessato a diversi fenomeni storici, è sufficiente una rapida analisi della biblioteca digitale dell’associazione e degli indici della rivista The Journal for Historical Review per rendersi conto che i temi dominanti siano quelli relativi alla Germania nazista, al secondo conflitto mondiale e alla nascita dello Stato di Israele. Analizzare il “The Journal for Historical Review” si rivela utile per osservare in che modo i negazionisti dell’IHR hanno assimilato tanto gli argomenti del revisionismo americano quanto quelli degli iniziatori del negazionismo europeo. Il primo numero, edito nel 1980, dimostra inequivocabilmente quali fossero le fonti di riferimento del neonato IHR: da un lato, personaggi come Maurice Bardeche e Paul Rassinier i quali, sul finire degli anni Quaranta, furono tra i primi a sostenere che l’Olocausto fosse un inganno ordito dagli ebrei stessi; dall’altro autori come Charles Tansill o Austin App, convinti che la Germania nazista non avesse fatto altro che difendersi dalle provocazioni degli Stati Uniti e dell’Inghilterra.

Mark Weber, attuale direttore dell’IHR

La maggior parte degli articoli editi nei primi numeri della rivista si articolano intorno ad alcuni temi ricorrenti come la negazione dell’impiego delle camere a gas o dell’esistenza di una politica sistematica di sterminio impiegata dai tedeschi contro gli ebrei. Descrivere l’Olocausto come un “imbroglio” e classificare le ricostruzioni relative al regime nazista e al genocidio da esso perpetrato come mitologie prodotte dalla propaganda alleata hanno come primo obiettivo quello di riabilitare la Germania nazista ma sortiscono anche un secondo effetto: decostruiscono i principi del metodo storico e mettono in discussione il suo valore epistemologico. I negazionisti trasformano l’indagine storica in uno strumento di lotta politica, deformano l’interpretazione del passato sottraendola a qualsiasi criterio scientifico per tramutarla in un racconto in cui gli attori storici, persone e istituzioni, sono considerati incarnazioni di entità morali come Bene e Male, Verità e Falsità.

Questa concezione anti-scientifica della storia costituisce la caratteristica principale delle pubblicazioni dell’IHR. Contro di essa, come ricordano due studiosi del fenomeno negazionista, non possiamo difenderci se non attraverso “gli strumenti della scienza, della logica e della storiografia”.

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