Tra scienza e religione: la medicina nell’antica Mesopotamia

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Federica Bottino, Torino –

Fra tutti gli aspetti del pensiero antico che corrispondono alle attuali scienze, la medicina è quello che aderisce in misura maggiore al pensiero religioso, tanto da non poterne essere separata, pena gravi incomprensioni. Non solo la malattia specie se grave, spinge il paziente ad una inusuale considerazione della vita stessa e del mondo, ma spesso comporta la convinzione che un comportamento moralmente riprovevole o contrario ai principi religiosi possa essere la causa del male.

La concezione di medicina nell’antica Mesopotamia

La medicina dell’antica Mesopotamia riconosce le due caratteristiche tipiche della professione medica del mondo antico, alle quali corrispondono altrettante figure “professionali”: da una parte l’aspetto mitico-religioso, che tende ad accreditare l’origine soprannaturale delle potenzialità guaritrici, prerogative quasi divine concesse esclusivamente a sacerdoti ed esorcisti; dall’altro, invece, abbiamo un aspetto più laico e scientifico, che riconosce i primi tentativi di guarigione praticati grazie all’utilizzo di piante medicali e composti curativi, una pratica affidata ai medici-curatori.
La componente razionale e scientifica di una determinata malattia veniva così contaminata da un aspetto soprannaturale che trasformava quella patologia in una punizione divina nei confronti dell’uomo, il quale si era macchiato, forse involontariamente, di qualche colpa nei confronti di uno o più dei. I Babilonesi conferivano alle malattie i nomi degli dei poiché essi o gli spiriti costituivano le cause delle malattie stesse.
Al capezzale del malato il medico proferiva l’invocazione ”mano di..” Ishatar, Shamash o Ea ecc. per denunciare una determinata presenza occulta nel corpo di un malato. Altre malattie venivano identificate con nomi specifici: l’epilessia veniva chiamata bennu ( termine che indica sintomi convulsivi). Le ragioni della condizioni di sofferenza possono essere una colpa o un peccato commesso dal malato (adulterio, incesto, sacrilegio), per cui la divinità si è adirata, oppure a causa di qualche sacrilegio (filtro magico o formula malefica).
Il compito del medico era quello di stabilire se fosse presente un demone, interrogando il paziente per sapere, se nel corso della sua vita o nella storia della sua famiglia sia stato commesso qualche crimine che possa aver dato origine a quella malattia e alla fine del colloquio doveva trovare le modalità per far espiare la colpa.


Medici curatori ed esorcisti: asû e aŝipu

Nel periodo delle prime dinastie sumeriche si costituisce una corporazione di asû che sono sia guaritori che veggenti. L’ asû, infatti, viene considerato il medico vero e proprio, depositario del sapere empirico riguardo ai trattamenti. Nel curare le ferite si basava su tre tecniche fondamentali, descritte nel più antico documento medico conosciuto e datato intorno al 2100 a.C. : lavare la ferita, preparare i medicamenti e bendare. L’asû era una figura laica, rispetto all’ aŝipu che lavorava principalmente in botteghe poste vicino ai templi.
Lo Stato, elemento che emerge dal codice di Hammurabi, amministrava l’attività di curatore dell’asû, la quale veniva regolata in base alla classe sociale dell’eventuale paziente. Il codice di Hammurabi riporta varie casistiche in cui alle prestazione del asû– curatore venivano applicate diverse tariffe, a seconda della classe sociale del paziente.
Affianco alla figura del medico curatore troviamo quella dell’ ašipu o medico esorcista.

Nel mondo mesopotamico, quella dell’esorcista è una figura che si colloca a metà strada tra magia e medicina: alle incombenze più strettamente magiche, come il recitare incantesimi contro spiriti e forze demoniache e la partecipazione al culto sacramentale e ai rituali del tempio, l’ašipu univa l’esercizio dell’arte medica, praticata attraverso l’osservazione e la disamina dei sintomi del paziente, tanto in prima persona, quanto attraverso la ricostruzione della sua “storia clinica”. Egli faceva diagnosi sulla base dei sintomi generati nel paziente – secondo l’interpretazione tradizionale – dall’azione di spiriti maligni e dal malfunzionamento di parti del corpo, ο più precisamente – come suggerisce una recente ipotesi – di quelli causati da turbe di natura psicologica. Alla corte assira, l’esorcista occupa un posto di assoluto rilievo, essendo annoverato tra i notabili del regno e incaricato del compito di consigliere personale del sovrano e di precettore del principe ereditario. Come ci mostrano, da un lato il cosiddetto “Manuale dell’esorcista” (il testo assiro che raccoglie l’insieme della letteratura specifica che era chiamato a padroneggiare), e dall’altro i ritrovamenti delle biblioteche di alcuni di questi professionisti, la formazione dell’esorcista prevede un alto livello di specializzazione: bilingue, condotta su testi sumerici e accadici, comprende, oltre agli incantesimi e ai testi medici, liste lessicali e testi della tradizione ad uso della scuola.

Terapie

Le piante usate nei trattati, vengono somministrate per la cura dei sintomi e non per scopi magici o per tenere sotto controllo le divinità o lo spirito ritenuto colpevole.
La preparazione dei farmaci comprende un numero molto variabile di operazioni; essa può risolversi in una sola fase o, al contrario, seguire una procedura assai complessa. Di solito, le operazioni hanno inizio con l’essiccazione e la tostatura degli ingredienti, che sono poi pestati, tritati o macinati, passati al setaccio e pressati. Si mescolano, quindi, i diversi componenti e si aggiunge un eccipiente; a questo punto la preparazione può essere impastata o lavorata, oppure anche riscaldata o cotta, bollita o messa in forno. Talvolta la ricetta specifica il tipo di recipiente da utilizzare, per esempio la pentola diqāru o il tamgussu, un contenitore in bronzo. Si può, quindi, far raffreddare il preparato, lasciarlo riposare tutta la notte e poi filtrarlo.
La somministrazione dei preparati assume diverse forme: quella interna può avvenire per via orale oppure per via rettale, con l’introduzione di supposte o l’impiego di clisteri. I farmaci possono essere assunti anche per via vaginale, tramite tamponi, oppure uretrale, iniettando o insufflando attraverso il meato uretrale, operazione per la quale è talvolta menzionato un tubo di bronzo. Il tampone può essere introdotto anche in altri orifizi, come il naso, per bloccare un’emorragia, o le orecchie.
A livello topico esterno, numerose sono le creme, le lozioni, le pomate da spalmare, delle quali alcune specificamente oculari, le fasciature e i cataplasmi da applicare e le polveri da spargere. Sono documentate le gocce oculari o auricolari da instillare, i suffumigi e le inalazioni, nonché le insufflazioni.

Alcune steli provenienti dalla Biblioteca di Assurbanipal

Le fonti

La medicina mesopotamica è testimoniata da tavolette cuneiformi provenienti dalla Biblioteca di Assurpanipal e da altri siti archeologici, dal codice di Hammurabi, da testi del periodo medioassiro e mediobabilonese.
La maggior parte delle tavolette riporta prescrizioni, mentre alcune riportano riferimenti incrociati e sembrano essere organizzati in trattati. Il più esteso di questi è composto da quaranta tavolette ed è stato raccolto e studiato da René Labat, che ne ha pubblicato una una traduzione nel 1951 con il titolo di Trattato accadico di diagnosi e prognosi. Il trattato è organizzato secondo un ordine che procede dalle patologie che colpiscono la testa a quelle che interessano i piedi, con sottosezioni dedicate ai disturbi convulsivi, alla ginecologia e alla pediatria. Le descrizioni rivelano un’accurata capacità di osservazione e propongono in generale soluzioni ai problemi descritti. Per quasi tutte le malattie elencate, sono indicati rimedi sensati e razionali.

LE LETTURE CONSIGLIATE:

  • P. Attinger , La medicine mesopotamienne, JMC 11-12, 2008, pp. 1-9
  • J. Bòttero , Le problem du mal : mythologie et theologie, in Y. Bonnefoy (a cura di), Dictionaire des mythologie, Paris, 1981, pp. 56-54.