Come nasce un comune medievale: Verona tra XII e XIV secolo

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Albert Goodwin (1845-1932), Piazza delle Erbe

Alessandro Rigo, Verona –

 

[In nomine domini Dei et.] salvatoris nostri Iesu Christi. Anno Domini millesimo, centesimo septimo, mense madii, indicione quintadecima. Rivo[alto…ca]ritatis dono conceditur quod alicuis finis vel refutationis termino concluditur […] …omnes Veronenses, tam de toto episcopatu Verone, quam etiam de eius comitatu, cum vestris heredibus et proherendibus imperpetuum debetis nobis…et heredibus ac proheredibus, absque omni conditione attendere et [o]bservare totum quod inferius inscribitur, scilicet: […] De vobis, qui hec sacramenta fecerunt hii sunt, scilicet: Beltramus filius de Bello, Riprandus…Bonus Çeno et Crescentius frater eius. Woderlicus de Foro, Aldus filius Guidonis […] Açeri filius Gosberti, Godo, Iohannes de Segnoreto, Bono… [Bo]nifatius notarius, Bonus de Bonafide, Bertramus filius Brunichi, Benfato de Ato, […] Peregrinus de Crescentio, […] Peregrino de Sancto Thoma, Girardus de Ponto…G[u]arientus, Federicus de Teuçone et multi alii, in quorum manibus prenominatam donationem…

 

Con questo protocollo si apre quel documento che, nel maggio 1107, sanciva la conclusione positiva dei rapporti commerciali e politici tra le città di Venezia e Verona.
Si tratta di una fonte importantissima per comprendere il processo di evoluzione di Verona in istituzione comunale, sia nei tempi che nei modi.

Ciò che salta all’occhio, in particolar modo, è l’assenza, tra i firmatari veronesi, delle figure del vescovo e del conte, mentre sono presenti un certo numero di nomi riconducibili in seguito a figure di negociatores.

Il protiro del maestro Niccolò (XII secolo) della basilica di San Zeno, che raffigura la città che rende omaggio al proprio patrono. Come si può notare, la scena simboleggia anche il sodalizio tra quelle “classi medie” che appartenevano alla categoria dei ‘cives’ (a sinistra) e l’aristocrazia terriera dei ‘milites’ (a destra)

La mancanza delle due figure tradizionali del potere cittadino altomedievale è tutt’altro che priva di significato: questa spedizione “veneziana”, formata da circa una quarantina di uomini, dimostra, nientemeno, che già prima dell’istituzione del comune consolare (per cui si hanno notizie a partire dal 1136) il ceto mercantile veronese godeva di un’autonomia all’interno della città che non era solo economica, ma anche politica.

Compaiono infatti, tra i firmatari, quei Crescenzi – definiti, in documenti dello stesso periodo, negotiatores – membri di una delle famiglie che la documentazione riconosce tra le più importanti della città durante tutta l’età comunale, per potenza e ricchezza.
Tali Crescenzi, assieme alla famiglia dei Monticoli, documentata a partire dal 1136 (non a caso l’anno in cui si hanno le prime notizie sul comune consolare), per le loro ricchezze avevano potuto ottenere concessioni feudali di importanti giurisdizioni, costituendosi come forze politiche alla pari dei milites, ovvero di quell’aristocrazia che attraverso i suoi vasti possedimenti terrieri era ancora padrona del territorio e delle vicende politico-economiche della città.

Un potere, quello dei commercianti veronesi, nato probabilmente dal fatto che essi godettero fin da subito di un’autonomia, all’interno del sistema economico e politico cittadino, che non era possibile a quei cives che, in qualità di artigiani, erano già da molto tempo sottoposti al controllo comitale e quindi all’autorità imperiale.
È appunto questa indipendenza che ne favorisce l’ascesa ai piani alti della politica e li porta a concorrere direttamente al potere con il conte e il vescovo.

La Domus Mercatorum come la vediamo oggi

È da collegare, quindi, anche a questo dato di fatto, la scelta di riflettere le gerarchie interne della corporazione su quelle del Comune, con l’istituzione prima dei Consoli e poi del Podestà dei mercanti, come si può dimostrare a partire dal 1175, quando proprio un altro trattato commerciale con Venezia ci dà le prime notizie sull’esistenza di un istituto corporativo mercantile e sullo stesso peso politico che esso aveva ormai assunto, dal momento che il nome del Console dei mercanti figura, tra i firmatari, gerarchicamente anteposto a quello del Console del Comune.

A quest’ultima data, un organismo nuovo nella vita cittadina, quello della Communitas mercatorum – come la definisce il Liber Juris Civilis – si era ormai contrapposto, come libera organizzazione cittadina, al Commune civitatis Veronae. Con il passare dei decenni, la Communitas preciserà sempre più le sue funzioni e il proprio potere politico, che verranno definitivamente sanciti negli statuti del 1228, nei quali essa comparirà chiaramente – per usare le parole di Vito Cavallari – come un’associazione

 

«politicamente indipendente, sovrana nella esplicazione della propria attività e nella persecuzione delle proprie finalità: sovranità magistralmente coordinata a quella dello Stato–Città, ma nei suoi compiti, nelle sue attribuzioni, nei suoi poteri, assolutamente indipendente»

 

Questa indipendenza, tuttavia, non pregiudica il fatto che tale istituzione fosse strettamente a contatto con quella comunale, anzi, è più esatto dire che esse abbiano operato coordinatamente, liberando mano a mano il potere cittadino dai vincoli feudali, fino a raggiungere una completa autonomia rispetto al vescovo e all’imperatore (rappresentato dal conte); una coesione, questa, riprovata anche attraverso uno spoglio dei vari consoli e podestà della città, da cui traspare che ad avvicendarsi le cariche furono, tra XII e XII secolo, quasi esclusivamente i membri più importanti delle nuove classi sociali in ascesa, i quali li troviamo alternarsi, in periodi diversi, a capo sia della associazione mercantile sia delle magistrature cittadine.

Il Commune Negotiatorum Veronae si delinea quindi, fin dalle prime fasi della sua formazione, come un’organizzazione – per usare le parole di Luigi Simeoni –

 

«sorta per necessità di difesa degli interessi della classe commerciale e per la conquista del Comune che solo potea tutelare gli interessi dei negozianti nel distretto Veronese e all’estero».

 

E questo è assolutamente vero se si pensi che la Communitas ottenne, per concessione del Comune stesso e a partire dal 1209, la giurisdizione nelle cause commerciali e di conseguenza il diritto di «sorvegliare» le altre corporazioni artigiane nel frattempo formatesi «e le loro consuetudini e regole». In questo modo tutta l’attività commerciale della città doveva sottostare alle decisioni dell’associazione dei mercanti, che proprio in questo periodo stabiliva la sua sede in quel caseggiato in legno in Piazza delle Erbe – la Domus mercatorum – voluto da Redaello dalle Carceri, che verrà poi ristrutturato in muratura un secolo più avanti, per il volere di Alberto della Scala.

Una veduta di Piazza delle Erbe nel XVIII secolo, ad opera del Ten. Col. Andrea Ercoleo

La fondamentale importanza di questo provvedimento la si può riscontrare valutando l’ampiezza del sistema corporativo veronese, complessivamente formato, all’anno 1319, da ben quarantacinque Arti, attraverso le quali si compiva un processo produttivo che al giorno d’oggi sarebbe valutato antieconomico: sostanzialmente, quelle che oggi sono semplici parti di un processo industriale unitario, all’epoca costituivano un procedimento artigiano a se stante. Ma questa catena produttiva aveva come forza coordinatrice e unificatrice proprio la figura del mercante, che la controllava conferendole organicità e permettendo di portare a compimento la produzione di un lavoro finito di qualità, il che consentì, quindi, all’artigianato veronese di conseguire quel perfezionamento nella lavorazione del prodotto che rese, soprattutto nel settore tessile, ricca e rinomata la città.

Su queste basi, d’altronde, si sarebbe poggiata la fortuna degli Scaligeri, i quali, dopo aver costruito, lungo la prima metà del XIII secolo, il proprio potere economico grazie al commercio dei panni, avrebbero acquisito gradualmente sempre maggiori poteri politici occupando, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo, le più alte cariche cittadine: il governo cittadino attraverso la podesteria del Comune, quello economico con il Podestà dei mercanti e il comando delle milizie, attraverso la carica del Capitano del popolo.

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