Le relazioni tra Israele e la Francia: dall’idillio alla rottura

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Lorenzo Domenis, Verona –

Sin dalla sua nascita nel 1948, lo stato di Israele ha dovuto collocarsi sulla scena internazionale con non poche difficoltà.
Il mondo era appena sprofondato nella Guerra Fredda, i due grandi blocchi cercavano di ottenere consensi ed alleanze in tutto il pianeta per guadagnare un vantaggio sull’avversario. In questo contesto, poi, vi erano le ex potenze coloniali, ormai indebolite dopo la Seconda Guerra Mondiale, che provavano a non perdere il controllo sulle storiche regioni di influenza. Gran Bretagna e Francia non intendevano rinunciare alle rispettive zone di influenza nel Medio Oriente, dalla Siria all’Iraq fino all’Egitto e al prezioso canale di Suez. Proprio in questo scacchiere sorse una realtà statale nuova ossia Israele, un isola ebraica e “occidentale” nel mare musulmano e arabo.

Lo stato ebraico inizialmente ottenne l’appoggia sia degli U.S.A. quanto dell’Unione Sovietica, suggerendo l’ipotesi poi smentita di un Israele “non allineato”.
Ben presto però la Russia, sia a causa di scelte diplomatiche anti israeliane sia a causa di una ondata antisemita interna alle repubbliche sovietiche, non rappresenta più un possibile alleato; ben presto l’Unione Sovietica diverrà il maggiore fornitore di armi ed equipaggiamento dei nemici di Israele.
Gli U.S.A. dal canto loro, seppur diventando un importante referente per Tel Aviv, non inserirono Israele nella NATO, in quanto negli anni ’50 accarezzavano ancora il sogno di una vasta alleanza araba anti-comunista.
Lo stato ebraico si ritrovò quindi a metà degli anni ’50 piuttosto isolato: gli Stati Uniti erano sostanzialmente neutrali, l’Unione Sovietica era quasi ostile e le nazioni arabe erano animate da un forte sentimento di vendetta contro Israele stesso.
In questo contesto va inserita quindi l’offensiva diplomatica condotto nel Vecchio Continente, in particolare nei confronti della Germania e della Francia.

14 maggio 1948: Ben Gurion proclama la nascita dello stato d’Israele

L’incontro con la Germania fu doloroso, segnato dal ricordo vivissimo dell’Olocausto e dalle polemiche che scossero l’intera nazione. Molti ritenevano sbagliato trattare con il popolo che pochi anni prima aveva condotto una sistematica campagna di sterminio contro gli ebrei, causando milioni di morti e un lutto indelebile.
Tuttavia l’incontro diplomatico era necessario per tutte e due le nazioni, la Germania cominciò infatti a rifornire Israele di equipaggiamento bellico americano in gran segreto. Nel 1964, questo traffico di materiali venne alla luce e fu quindi sospeso. Israele tuttavia aveva già trovato da tempo un nuovo e prezioso alleato: la Francia.

A seguito della crisi di Suez, in cui le due nazioni iniziarono a collaborare, scattò un vero idillio tra Parigi e Tel Aviv: gli israeliani adottarono con entusiasmo modi francesi; la lingua francese entrò nelle scuole e nelle università con annessi e frequenti scambi culturali; numerosi cooperanti transalpini giunsero nel paese.
La Francia, oltre ad esercitare il suo fascino culturale, divenne soprattutto il principale fornitore di armi dello Stato ebraico. La flotta area israeliana era quasi interamente equipaggiata con apparecchi francesi, che gli israeliani contribuirono a migliorare grazie al talento e all’esperienza dei loro piloti. Dal 1957 la fabbrica israeliana Fouga Magister partecipa a progetti comuni con l’azienda Dassault.

Durante la Guerra dei Sei Giorni nel 1967, l’aviazione israeliana composta da Mirages, Super-Misteres e Ouragans francesi colpì duramente l’aviazione egiziana dotata dei sovietici MiG 19 e 21. Le campagne di bombardamento contro gli aeroporti nemici furono un successo clamoroso, garantendo il dominio incontrastato di Israele nei cieli. I Mirages pilotati dai capaci piloti israeliani impressionarono anche gli analisti militari americani e britannici, facendo ottenere un po’ di gloria riflessa alla Francia stessa.
Oltre agli arerei, l’esercito israeliano era dotato di mezzi blindati e corazzati di origine francese, tra cui possiamo citare l’AMX-13 che però incontrò difficoltà nell’affrontare i più moderni carri armati sovietici come il T-55, dotato di una blindatura molto più resistente rispetto ai predecessori come il T-34.
La Francia e Israele arrivarono persino a condurre pattugliamenti navali comuni lungo le coste dello Stato ebraico e nel Mar Rosso.

 

Milizie israeliane osservano Gerusalemme durante la Guerra dei sei giorni (1967)

L’idillio franco-israeliano tuttavia era destinato a finire proprio con la crisi del 1967.
Con l’arrivo al potere del presidente De Gaulle la liquidazione della complicata situazione algerina, il clima cominciò a cambiare. I pattugliamenti congiunti vennero via via abbandonati; in contemporanea si assiste ai primi voti divergenti all’interno dell’assemblea delle Nazioni Unite.
La visita del presidente israeliano Ben-Gurion non inverte questa tendenza ormai inarrestabile, la guerra dei Sei Giorni segna la conclusione definitiva.

Ossessionato dalla possibilità che scoppiasse la terza guerra mondiale e in apprensione per un possibile cambio degli equilibri mediterranei a svantaggio della Francia, De Gualle a partire dal 1967 si schiera apertamente con gli arabi, in particolare appoggiando il Libano, ex colonia transalpina.
La Francia cominciò ad imporre un embargo all’esportazione di armi verso Israele, blocco che divenne totale nel 1969. De Gualle arriva a definire gli israeliani come “un popolo d’elité, sicuro di sé e dominatore”. 
E l’opinione pubblica francese come reagì? L’atteggiamento di De Gaulle venne criticato, solo pochi anni prima i legami franco-israeliani erano molto profondi anche a livello culturale. Tuttavia ormai i rapporti giunsero al punto di rottura da cui fu impossibile tornare indietro.
Fino all’arrivo all’Eliseo di Mitterand non ci sarà nessuna forma di distensione.

Il presidente americano Lyndon Johnson con il primo ministro israeliano Levi Eskol (alla sua destra) e il Segretario di Stato Dean Rusk (all’estrema sinistra) nel gennaio del 1968

Il voltafaccia francese segnò un netto cambiamento nella politica internazionale israeliana, spingendo lo Stato ebraico verso gli Stati Uniti che divenne il principale supporter economico e anche militare, nonché unico vero alleato politico.
Eisenhower, nel 1962, aveva infatti imposto la rinuncia al neutralismo che Washington portava avanti da anni.
Dal 1967 in poi, l’alleanza USA-Israele diverrà una delle più importanti pietre angolari della politica mediorientale, in contrapposizione al ruolo sovietico in Egitto e soprattutto in Siria.
Gli U.S.A. furono infatti l’unica nazione che cercò di intervenire attivamente per limitare la pesante crisi del 1967, sfruttando la propria influenza nell’assemblea generale dell’ONU per ottenere varie risoluzioni volte a trovare un accordo di pace tra le nazioni arabe (Egitto, Libano, Siria, Iraq e Giordania) e Israele.

La vicenda politica franco-israeliana viene spesso dimenticata, ritenendo che il principale alleato occidentale di Israele siano sempre stati gli U.S.A., mettendo da parte la grande infatuazione che durò quasi dieci anni tra Parigi e Tel Aviv.
Ancora oggi si sentono gli echi di questa profonda alleanza, tramutatasi poi quasi in ostilità per finire poi in una gelida indifferenza.

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