Il Grande Gatsby e il tema della memoria

grande gatsby, francis scott fitzgerald, letteratura americana, tempo, memoria

Francesco Greco, Verona –

Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.

 

È con queste parole che Francis Scott Fitzgerald conclude il suo grande romanzo americano. Non eguaglierà mai più la grande potenza poetica e la ricca immaginazione del breve e intenso libro dato alle stampe nel 1925. E sebbene il romanzo successivo, Tenera è la notte, presenti, per certi versi, una scrittura maggiormente controllata, Il Grande Gatsby resta il capolavoro maggiormente conosciuto e apprezzato dello scrittore americano.

Il passato e la continua rivisitazione di esso costituiscono, non a caso, alcuni dei temi principali del racconto che vede per protagonista il parvenu Jay Gatsby, il quale ha accumulato una ricchezza misteriosa e che, a sua detta, sarebbe il mezzo attraverso il quale avrebbe dovuto riconquistare l’amore di Daisy Buchanan. Tuttavia, se dovessimo mantenerci alla superficie del problema, il romanzo resterebbe una tragica storia di un amore irrisolto, che non può essere riacceso attraverso futili gesti – o acquisizioni verrebbe da dire – materiali.

Invece, Fitzgerald utilizza la storia impossibile del protagonista per indirizzarci a temi ben più alti; in questo caso l’impossibilita di far rivivere il tempo passato che deve necessariamente riposare nella memoria, pena la dannazione dell’eroe che tentasse un’impresa cosi ardua. Come Gatsby, il quale pagherà con la vita la sua superbia e nel quale potremmo intravedere il tema, caro ai greci, della hybris.

In queste pagine tenteremo di analizzare questo tema nelle sue diverse declinazioni e va da sè che il lettore non si attenda una disamina esauriente del romanzo.

Francis Scott Fitzgerald


I

Per comprendere appieno il tema della memoria nel Grande Gatsby bisogna innanzitutto partire dal concetto di innocenza. Nel tentativo del protagonista di recuperare un amore passato, vi è anche l’estremo desiderio di recuperare quella purezza primigenia che Jay Gatsz – questo il vero nome del nostro eroe – possedeva prima di assumere la maschera del milionario di West Egg.

Per certi versi trattasi del progressivo “mascheramento” dell’overreacher, figura cara alla letteratura in genere, il quale nella spasmodica tensione verso un obbiettivo, sia esso materiale o ideale, perde se stesso e quindi si condanna alla dannazione. Gatsby nella sua “discesa agli inferi” è il Dr Faustus di Marlowe, il Satana di Milton, il Don Giovanni di Byron; seppur in maniera meno esplicita e con minore caratterizzazione. In questo senso, la narrazione del passato del protagonista, di come sia riuscito a diventare ciò che il narratore Nick Carraway considera grande, è inserita a metà del romanzo, non solo poiché a Fitzgerald – su consiglio di Hemingway, l’amico-nemico degli anni ruggenti – senza questa digressione il personaggio sembrò scarno, ma poiché alla progressiva mistificazione dell’eroe bisogna sempre fornire un certo background. Insomma, per essere cacciati  dall’Eden bisogna che ci sia un antefatto.

E questo antefatto è allo stesso modo ciò che dà spessore alla figura di Gatsby, ma allo stesso modo ne provocherà la tragica fine: l’amore per Daisy Buchanan. E questo ci porta a definire un ulteriore passaggio nell’analisi di questo tema: l’impossibilità di rivivere un amore oramai consumato, e dunque non più innocente, è ciò che dà corpo al tragico sogno di Jay Gatsby.

Robert Redford in una scena del film Il Grande Gatsby del 1974

II

Il tragico sogno di Gatsby è l’amore per Daisy, impossibile da rivivere, poiché ne sono mutate le condizioni. Tuttavia, esso ci pare un simbolo di qualcosa di più profondo. Si potrebbe affermare che il protagonista del romanzo, pur facendo sua la crociata di riappropriarsi della sua amata, in realtà così facendo stia cercando di recuperare un’innocenza sepolta e lordata dalle malefatte che ha dovuto compiere per divenire l’uomo ricco e “rispettabile” che è diventato. Per trasformarsi nell’uomo che Daisy avrebbe potuto, e forse dovuto, amare.

Dunque, sebbene Gatsby tenti di ricavarsi “la sua fetta di paradiso”, è evidente come già dall’inizio egli sia caduto dall’Eden; come egli sia dannato. È questo un tema che attraversa tutto il romanzo. Una questione che ci riporta al peccato originale, la perdita dell’innocenza che non può essere redenta se non da un più alto sacrificio. In questo Gatsby diviene quasi una figura cristologica, in quanto egli stesso berrà il suo calice amaro, nella continua consapevolezza che la sua ricchezza comporterà un rischio: la perdita della sua anima. Siamo di fronte, dunque, a un personaggio complesso che rimanda ad altri simboli, ad altre figure, anche più grandi di lui.

Riconquistare Daisy è dunque fondamentale in questa “caccia all’innocenza”: se Gatsby riuscisse infatti a riavere  il suo amore contraccambiato come in passato, egli vedrebbe riconfermata la sua purezza; tornerebbe insomma ad essere quel giovane Jay Gatsz che aveva strappato un bacio e vinto il cuore della giovane Daisy Buchanan al suo debutto in società.

La stessa Daisy però è cambiata e ha dovuto sporcare la sua vita nel mondo. Ella non è più la giovane donna che si struggeva ad ogni lettera d’amore che Gatsby le inviava dal fronte. Qualcosa sembrerebbe essersi tragicamente rotto in lei dopo il matrimonio con Tom; o forse dopo che ha dovuto vendere un ideale cosi alto come l’amore per la stabilità economica che un Buchanan poteva offrire. In questo senso, siamo di fronte a persone vuote, prive di un’anima che possa spingerle a vivere la vita con passione, anche solo con l’estremo senso di fiducia e speranza con la vive il protagonista del romanzo. È lo stesso Fitzgerald a darcene un indizio quando scrive:

 

Erano gente sbadata Tom e Daisy: sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro.

 

Anche se qui il termine usato nell’origine è careless, molto più incisivo di “sbadati”, poiché la sua accezione in inglese indica delle persone poco attente alla sofferenza altrui; che hanno dimenticato cosa significhi avere un’anima.

Tuttavia, al di là del singolo giudizio sui protagonisti di questa triste storia, il collante che tiene insieme tutto e che sembrerebbe aleggiare come un fantasma tra le pagine del romanzo, è il Tempo, il quale potrebbe essere considerato un personaggio vero e proprio del romanzo e che a suo modo con la sua presenza implicita contribuisce al senso tragico delle vicende.

Leonardo DiCaprio e Carey Mulligan in una scena del remake de Il Grande Gatsby, del 2013

Fitzgerald pare aver costruito l’intero impianto della storia intorno a una particolare concezione del tempo. Infatti, tutto intorno ai personaggi pare essere fermo, immobile nel tempo. La trama si dipana inesorabile, ma nulla in realtà si muove; i personaggi vivono un eterno presente. O meglio un interno passato, impantanati in un passato che li ha resi gli uomini e le donne che sono. Paradossalmente il loro passato li ha resi incapaci di vivere il tempo e dunque essi vivono senza realtà. Essi vivono una vita priva di memoria e di passione, poiché spesso accade che la memoria sia la fornace delle passioni presenti. Da qui deriva l’atmosfera quasi onirica del romanzo, poiché cos’è un sogno se non l’eterno fuori dal tempo?

Gatby in questo rappresenta in parte un’eccezione. Egli ha ben presente il valore della memoria, ma ne fa un bene così preziosi da divenirne dominato e infine bloccato. Fitzgerald non ne fa mistero, tanto che Gatsby appare nel romanzo come un personaggio distante dalla realtà. Egli è infatti avulso a tutto: possiede tanti libri ma non ha mai letto uno; organizza mirabolanti feste, dove l’alcool scorre a fiumi, ma non vi partecipa mai e in nessuna occasione sorbisce un qualsiasi drink; ancora, mostra a Daisy la sua ricca collezione di camice di seta, ma non ha mai indossato una; possiede una piscina dove mai ha nuotato.

Ciò detto, questo non significa però che Gatsby sia paragonabile a Daisy o a Tom. Egli non è caduto in un becero materialismo, dove più nulla conta. Egli è il Grande Gatsby proprio per il fatto che la sua consapevolezza del passato gli fornisce la passione e il vitalismo necessario per vivere i suoi sogni. Jay non vuole permettere che l’innocenza resti perduta per sempre, ma vuole riesumarla, quasi in un rito negromantico, farla rivivere nel presente, far sì che il passato sia il metro con cui misuriamo le sfide del presente.

E infine la conclusione del romanzo suona come un monito e allo stesso tempo racchiude in sé l’anima della questione: Gatsby potremmo essere noi; oppure potremmo scegliere la vita di Daisy e di Tom. Ad ogni modo, qualunque la nostra scelta, dovremo pagarne il prezzo e scegliere se farci dominare dal tempo e dalla memoria –  e dunque farci dannati – oppure affrontare la nostra esistenza in modo vitale, sfidandone il passato con la sana speranza e romantica ribellione di Gatsby.