I pretoriani tra Diocleziano e Costantino: una storia già scritta?

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Davide Redaelli – Udine

I pretoriani costituirono il corpo d’élite dell’esercito romano permanente di età imperiale. Fu Augusto a decidere di istituire un solo corpo pretoriano che si sarebbe dovuto occupare della tutela e della protezione dell’unico princeps, supremo comandante (imperator) delle armate romane. Stabilì dunque che i pretoriani, organizzati in nove coorti, ricevessero una paga doppia e servissero per un tempo più breve rispetto al resto delle truppe; fissò il loro acquartieramento a Roma, residenza del princeps, e nominò due prefetti del pretorio strettamente dipendenti dall’imperatore come loro comandanti. Il suo successore Tiberio dotò infine i pretoriani di una caserma, i castra praetoria ubicati tra il Viminale e l’Esquilino.

La fisionomia di questa milizia scelta rimase sostanzialmente inalterata fino al III-IV secolo; in questo lasso di tempo, i cambiamenti più rilevanti riguardarono un aumento del numero delle coorti, divenute infine dieci sotto Domiziano, e l’area di reclutamento.

Secondo l’opinione di molti studiosi, come Durry, Passerini, Porena e De la Bédoyère, con la fine della dinastia dei Severi (235) i pretoriani intensificarono il loro ruolo politico, partecipando ancora più frequentemente di prima ai complotti per eliminare imperatori a loro sgraditi e sostituirli di solito con i prefetti del pretorio. La nascita di altre formazioni scelte dotate della funzione di guardie dell’imperatore, come i protectores, avrebbe però segnato l’inizio di una crisi irreversibile del corpo nella seconda metà del III secolo d.C.: tale crisi si sarebbe acutizzata sotto Diocleziano e i Tetrarchi. L’ascesa di Massenzio, favorita proprio dal sostegno dei pretoriani, avrebbe successivamente costituito il loro ultimo momento di splendore, conclusosi con il 312, anno in cui la vittoria di Costantino su Massenzio avrebbe segnato la loro fine: il vincitore della battaglia di Ponte Milvio avrebbe punito la lealtà dei pretoriani verso il rivale sciogliendo definitivamente le coorti.

Una prima prova fornita dagli studiosi a supporto della tesi della decadenza dei pretoriani è la progressiva rarefazione delle fonti che ci consentono di ricostruire la loro ultima fase storica. Tali fonti sono in effetti poche a partire dal principato di Gallieno (251-268) e diventano ancora meno numerose per l’epoca da Diocleziano a Costantino. Le iscrizioni relative a soldati e veterani delle coorti pretorie, infatti, si riducono drasticamente, da 500-1.000 databili al I-III secolo a meno di dieci riferibili con sicurezza a fine III-inizio IV secolo e sono inoltre talvolta meno attendibili rispetto a quelle usate per l’indagine sulla loro storia fino alla metà del III secolo. Per esempio, la Passio di san Sebastiano, che informa che il santo fu ufficiale di una prima coorte (verosimilmente pretoria), presenta i fantasiosi caratteri di un’agiografia. Un loro riesame globale mostra tuttavia come l’interpretazione di un corpo in crisi, la cui storia termina nel 312, deve essere rivista.

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Per tutto il III secolo, anche dopo l’avvento al trono di Diocleziano, i pretoriani continuarono infatti a far parte delle truppe di accompagnamento degli imperatori, il comitatus, e mantennero i tradizionali compiti legati alla protezione della persona dell’imperatore. Lattanzio ci informa della presenza di coorti pretorie nel palazzo di Diocleziano a Nicomedia in Bitinia nel 303 e un’iscrizione attesta la probabile partecipazione di alcune coorti alla spedizione di Massimiano in Mauretania nel 296-298.

Sono ancora le iscrizioni a mostrare come in età tetrarchica alcuni soldati entrassero nelle coorti pretorie grazie a una promozione da unità anche piuttosto specializzate incluse nel comitatus imperiale, come i lanciarii. Inoltre, sotto Diocleziano i veterani pretoriani giunti al termine del servizio militare ripresero a ricevere i diplomi, secondo una prassi che sembra essersi interrotta con la morte di Gallieno nel 268. Questi documenti erano tavolette bronzee che costituivano copie individuali di costituzioni imperiali, cioè atti normativi che conferivano ufficialmente determinati privilegi ai congedati di alcune unità. Ai pretoriani veniva normalmente concesso il conubium, la possibilità di contrarre regolare matrimonio con donne che non godevano della cittadinanza romana. Dopo la concessione generalizzata della cittadinanza tramite l’editto di Caracalla del 212, i diplomi divennero una specie di attestato di congedo per i veterani e continuarono a essere emessi solo per i corpi più importanti, acquartierati a Roma e in Italia. La ripresa dell’emanazione dei diplomi in favore dei pretoriani dopo il periodo di cessazione della procedura appare dunque un altro indizio della volontà di Diocleziano di riconoscere, se non addirittura restaurare, il loro prestigio.

Un’ulteriore evidenza, comunque, mostra come a fine III secolo i pretoriani fossero ancora percepiti come concreta manifestazione del potere imperiale. Nel 286-287 Carausio, uno dei comandanti di Massimiano, si autoproclamò imperatore in Britannia: tra i suoi primi atti nominò un prefetto del pretorio, Alletto, e si dotò di proprie coorti pretorie, come dimostrano alcune monete coniate dall’usurpatore che recavano al rovescio la legenda COHR PRAET (cohortes praetoriae).

Gli storici che sostengono la decadenza del corpo pretoriano sotto i Tetrarchi fanno inoltre risalire questa teoria a due fatti: la riduzione degli effettivi pretoriani operata da Diocleziano (notizia di Aurelio Vittore) e la decisione di Galerio di sopprimere i castra praetoria (come racconta Lattanzio), il cui tentativo di attuazione nel 306 provocò la rivolta dei pauci milites rimasti a Roma e l’elevazione al soglio imperiale di Massenzio.

Pretoriani 2

Queste notizie, tuttavia, non provano la disaffezione dei Tetrarchi verso i pretoriani. Diocleziano, infatti, ridusse gli effettivi di ogni legione, ma le unità legionarie rimasero il nerbo della fanteria romana e anzi furono aumentate di numero. Il fatto che i diplomi attestino che le coorti pretorie rimasero dieci, inoltre, prova che il decremento potrebbe aver riguardato gli effettivi di ogni coorte, analogamente alle legioni, oppure i soldati pretoriani lasciati a presidio di Roma. La fondatezza di quest’ultima ipotesi è provata dal fatto che Lattanzio dica esplicitamente che i pretoriani rimasti a Roma e ribellatisi alla decisione di Galerio fossero pauci; Galerio stesso dovrebbe avere deciso di chiudere i castra praetoria e congedare questi pochi armati perché una caserma così grande non era più necessaria per forze così esigue e le coorti urbane sarebbero state sufficienti per sorvegliare Roma. Il legame dei pretoriani con l’Urbe era del resto ormai venuto meno: il servizio di scorta e sorveglianza e l’inclusione nei comitatus di sovrani che non risiedevano più a Roma aveva provocato già nel III secolo il loro allontanamento e acquartieramento nelle nuove sedi imperiali.

Questa ricostruzione implica però una conseguenza: come si evince anche dalle parole di Aurelio Vittore, nel 312 Costantino sciolse le coorti pretorie di stanza a Roma, quelle fedeli a Massenzio. Gli altri pretoriani, che facevano parte del seguito dei diversi imperatori, non subirono la stessa sorte. Dopo la vittoria su Massenzio, infatti, Costantino non controllava l’Oriente e dunque il provvedimento di abolizione delle coorti pretorie doveva necessariamente essere circoscritto all’area occidentale sotto il suo governo.

pretoriano parata

Negli ultimi anni la tesi della “non definitiva scomparsa” dei pretoriani nel 312 ha ottenuto sempre più consensi tra gli studiosi (Elton, Castello, Rocco, Bingham) e trovato un ulteriore supporto grazie a una nuova analisi di alcuni passi del De Magistratibus populi Romani, opera scritta in greco da Giovanni Lido, funzionario bizantino vissuto nel VI secolo, allo scopo di mostrare lo sviluppo storico delle magistrature romane e bizantine. In alcuni passi in cui illustra le mansioni del magister officiorum, Lido afferma come per esigenze fiscali i prefetti del pretorio persero il comando del praetorium e dei suoi soldati in favore del magister officiorum; dopodiché sottolinea come questo magister comandasse un corpo di diecimila uomini, numero corrispondente agli effettivi delle dieci coorti pretorie e non delle scholae palatinae tardoantiche. La situazione cui Lido si riferisce è senza dubbio quella della parte orientale dell’impero dopo la sconfitta di Licinio (avvenuta nel 324).

I pretoriani potrebbero dunque essere sopravvissuti allo scioglimento delle coorti fedeli a Massenzio, per poi essere progressivamente assorbiti in altre unità appartenenti alla categoria dei comitatenses, creati da Costantino, perdendo i signa distintivi del corpo. Si trattò insomma di una fine meno traumatica di ciò che comunemente si crede.

 

Le letture consigliate:

S. Bingham, The Praetorian Guard. A History of Rome’s Elite Special Forces, Tauris, London – New York, 2013

M. G. Castello, Evoluzione e funzioni del magister officiorum: rileggendo il De Magistratibus Populi Romani di Giovanni Lido, in G. Bonamente (a cura di), Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d.C). Atti del Convegno (Perugia, 25-27 giugno 2008), Edipuglia, Bari, 2010, pp. 99-116

G. De la Bédoyère, Praetorian. The rise and fall Rome’s imperial Bodyguard, Yale University Press, New Haven, 2017

M. Durry, Les cohortes pretoriennes, De Boccard, Paris, 1938

H. Elton, Roman Military Forces from the Third to the Seventh centuries, in The Cambridge History of Greek and Roman Warfare, Cambridge University Press, Cambridge, 2007, pp. 270-309

A. Passerini, Le coorti pretorie, Signorelli, Roma, 1939

P. Porena, Le origini della prefettura del pretorio tardoantica, L’Erma di Bretschneider, Roma, 2003

M. Rocco, L’esercito romano tardo antico. Persistenze e cesure dai Severi a Teodosio I, Libreria Universitaria, Padova, 2012


AURELIO VITTORE, De Caesaribus

EUTROPIO, Breviarium Historiae Romanae

LATTANZIO, De mortibus persecutorum

GIOVANNI LIDO, De Magistratibus populi romani

ZOSIMO, Historia nova