Gli antichi greci e il mare: un rapporto complesso

Lorenzo Domenis, Verona –

Qualsiasi analisi storica della civiltà ellenica, dagli albori fino all’epoca ellenistica, deve tenere in conto della vocazione marinara dei Greci e del ruolo centrale svolto dal Mar Mediterraneo a livello economico, militare e politico. Tuttavia, vari storici tra cui il celebre antichista Arnaldo Momigliano, hanno denunciato la mancanza di un’opera storica approfondita riguardante il concetto di talassocrazia nel pensiero greco, che analizzi nel dettaglio il rapporto con il Mar Mediterraneo nelle varie fasi della cultura ellenica.
In questo articolo intendo dunque tracciare un quadro sintetico della relazione antichi greci-mare, esaminandone l’evoluzione nelle varie fasi storiche.

Già nell’epica omerica si può notare come compaia la stima della potenza di un regno in termini di navi possedute da un determinato sovrano; la vera consacrazione dell’idea di talassocrazia si ebbe però solo con Erodoto che individua nella figura di Policrate l’ideatore di questa strategia basato sul controllo dei mari come trampolino di lancio per il controllo regionale.
Una fase di talassocrazia viene solitamente attribuita ad Egina, piccola isola del Mare Egeo, e poi ad Atene, proprio quest’ultima baserà la propria politica espansionistica sul dominio dell’Egeo e sulla potenza della flotta, voluta al tempo delle Guerre Persiane da Temistocle per fronteggiare la minaccia della possente marina di Serse. Le forze navali persiane puntava su equipaggi di origini fenice ed egiziane, popoli estremamente abili nell’arte della navigazione nonché, nel caso dei fenici, concorrenti diretti dei greci nella colonizzazione del versante occidentale del Mar Mediterraneo.

Nell’opera Costituzione degli Ateniesi, scritta tra il 431 e il 430 in stile senofonteo, viene tracciato un netto parallelo tra potenza navale e democrazia: dato che la potenza di Atene dipende dal mare, inevitabilmente i marinai sono i signori di Atene; inoltre aggiunge che la potenza navale porta ricchezza, la quale favorisce e facilita la democrazia che, per l’autore, rappresenta qualcosa di negativo in quanto egli appoggia fieramente un governo oligarchico.
La tematica della talassocrazia ateniese divenne centrale durante la Guerra del Pelopponeso, dove Sparta e Atene si fronteggiare per il dominio della Grecia (e non solo), impiegando tattiche e strategie belliche differenti: i primi puntavano sull’esercito, i secondi sulla marina militare. Ciò provocò spesso situazioni di stallo piuttosto lunghe e di difficile risoluzione.
Nel discorso di Pericle, tramandato dall’oligarchico Tucidide, il leader ateniese tratta anche del dominio dei mari, evidenziando come la democrazia ateniese sia una tirannide fondata sul potere navale. L’intero sviluppo della Grecia fino alle guerre persiane è descritto in termini di potenza navale, potenza non sfruttata però per fini di conquista ma in ottica economica e commerciale.
All’occhio dello storico contemporaneo spicca l’assenza del riferimento all’attività coloniale greca sia verso Oriente sia verso Occidente che, probabilmente, veniva sempre inserita nel contesto delle dinamiche commerciali o comunque economiche, piuttosto che politiche.
Appare dunque ovvio come Tucidide riconosca uno stretto rapporto tra la potenza navale ateniese e l’atteggiamento mentale degli ateniesi stessi, in particolare riguardo il binomio potenza navale-ricchezza economica.

Il celebre retore Isocrate, prima difensore della seconda lega ateniese, in seguito criticò aspramente la politica talassocratica di Atene, evidenziando come essa rappresentasse qualcosa di maligno sia per Atene stessa sia per la sua rivale ossia Sparta.
La supremazia via terra, tipico attributo dei Lacedemoni, richiede ed incoraggia la virtù mentre la supremazia marittima è corruttrice: causa ingiustizia, pigrizia, cupidigia di sempre maggior ricchezze e, in sintesi, equivale alla tirannide.
Isocrate rafforza la sua tesi portando come prova la vittoria spartana nella Guerra del Pelopponeso: gli Spartani, partendo dal dominio sulla terra ferma, riuscirono ad imporsi anche sul mare, grazie a Lisandro e all’oro persiano, risultando così vincitori indiscussi. Il retore, infine, aggiunge nell’opera Panatenaico che: “una potenza terrestre è promossa dall’ordine, dall’assennatezza, dalla disciplina e da altre qualità simili; la potenza marinara non è accresciuta da queste virtù, ma dalle corporazioni che hanno a che fare con la costruzione delle navi e dagli uomini che remano su di esse”.
Per Isocrate vi è una solo soluzione: rinunciare al dominio sui mari; il dominio dei mari nel passato viene parzialmente giustificato in quanto male necessario affinché Atene non venisse schiacciata dai nemici.
Anche uno dei più importanti filosofi della cultura greca e occidentale in generale, Platone, riflette riguardo il concetto di talassocrazia; l’allievo di Socrate si dimostra particolarmente dura nelle “Leggi” dove sostiene che i traffici portuali generino sospetti e abitudini incostanti, rendendo la società sospettosa e ostile nei rapporti interni e non solo. In sintesi, Platone condanna nettamente qualsiasi forma di talassocrazia.

 

Aristotele, nella Politica, diluisce tale intransigente visione, asserendo che la posizione costiera offre, per una città, innegabili vantaggi economici, vantaggi che non vanno assolutamente trascurati. I rischi del porto vanno quindi evitati separando la città dalla zona portuale, sconsigliando i contatti tra le due aree.
L’allievo di Platone aggiunge inoltre che è saggio dotarsi di una flotta, persino potente, se si vuole avere una politica egemonica, senza però includere i marinai nel diritto di cittadinanza.
Questa soluzione aristotelica ebbe un vasto successo nel pensiero ellenistico, mentre la romanità rimase sospetta riguardo le politiche marittime. Cicerone, infatti, scrisse nel De Repubblica, opera incentrata sulle tematiche governative, che la corruzione e le sventure della Grecia sono dovute al fatto che le città sono sorte vicino al mare. Anche Cicerone però, come Aristotele, non può negare i vantaggi offerti dalla presenza di un porto, soprattutto vista l’innegabile arricchimento che Roma ebbe dopo a seguito dell’espansione nel Mar Mediterraneo che fu ottenuta anche grazie alla creazione di una possente flotta militare.

In generale l’Ellenismo quindi apprezza la talassocrazia, tuttavia rimane ben chiara la superiorità del potere terreste, superiorità incarnata poi dal popolo romano e dalla vittoria contro Cartagine, potenza navale e commerciale.
Momigliano propone l’ipotesi che la condanna platonica della potenza marittima sia stata ripresa dai Romani al fine di giustificare la distruzione di Cartagine durante la Terza Guerra Punica; in realtà non è possibile né negare la derivazione né confutare questa ipotesi, di certo la tradizione platonica sopravvisse e venne ripresa varie volte in opposizione a quella aristotelica.

Emerge come per i Greci risultò estremamente complesso scindere il concetto di talassocrazia dall’imperialismo ateniese, con tutti gli annessi punti critici e ideologici che andavano ad influenzare il dibattito filosofico-politico riguardo questa tematica così discussa.
Concludiamo con uno spunto di ambito sociologico che ci offre Momigliano riguardo la figura del portuale/marinaio che, ancora oggi, ci appare come una persona plebea e in qualche modo rozza e volgare; una visione pregiudiziale che affonda le radici nel complesso rapporto tra gli antichi greci e il mare.

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