Le chiese in città, mappe di un potere antico: la storia di Milano raccontata nei suoi edifici più nascosti

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Stefano Bernardinello, Firenze –

Le città, in Europa ed in particolare in Italia, furono, e sono tutt’ora, il luogo prediletto in cui le dinamiche di potere intrecciarono la società; un luogo nel quale un qualsiasi soggetto politico, che volesse costituire un’autorità sovrana, dovette installarsi e mostrare la propria forza.

Il successo di tali pratiche non si è costruito solo attraverso interazioni di tipo giuridico ma fu fondamentale, anche, l’aspetto visivo del potere; perciò, già dall’alba dei tempi, gli strati superiori della società finanziarono una serie di costruzioni d’impatto, che ancora oggi permeano i nostri centri storici.

Per secoli – dall’affermazione politica del cristianesimo (IV secolo) almeno fino alla Rivoluzione Francese – le chiese rappresentarono, per eccellenza, l’edificio del potere. Tutte le autorità, sia quelle che volessero consolidare la propria forza sia coloro che ambivano ad affermare un nuovo potere, affidarono parte delle loro fortune agli edifici ecclesiastici. Ciò ha portato alla costituzione nei centri storici delle nostre città di una “mappa cronologica delle autorità” visibile ancora oggi.

L’esempio, che voglio portare, è, forse, uno dei meno appariscenti in Italia: Milano.

 

San Vincenzo in Prato

(V. Daniele Crespi, 9 – Paleocristiana)

Attigua alle mura romane della città, S. Vincenzo fu fondata da Desiderio, ultimo re dei Longobardi, verso la fine dell’VIII sec. All’epoca la città aveva appena iniziato a riacquisire gli antichi fasti dopo che la distruzione da parte dei Franchi durante la guerra greco-gotica (539) e lo spostamento della capitale a Pavia avevano relegato la città in secondo piano almeno dal VI secolo. Le autorità cittadine decisero, perciò, di ricollegare questa costruzione al precedente periodo d’oro della città, l’epoca di Milano capitale dell’Impero romano d’Occidente (286-402): la chiesa riprese la struttura delle prime basiliche cristiane e, grazie ai pochi restauri, per la maggior parte eliminati nel Novecento, appare oggi simile, nelle forme esteriori, alla prima cattedrale cittadina, S. Maria Maggiore, legata al vescovo e patrono milanese Ambrogio (374-397) e distrutta nel Trecento per far spazio all’attuale Duomo.

 

Facciata di S. Vincenzo in Prato

 

San Simpliciano

(Pz. San Simpliciano, 7 – Romanico)

Una delle quattro chiese dette ambrosiane (IV sec.), subì durante i secoli vari restauri; quello più rilevante testimonia uno dei momenti di massima interazione tra autorità politica e visione religiosa. Le forme romaniche, stile per antonomasia lombardo, furono implementate tra l’XI e il XII secolo, un periodo nel quale la maggior parte delle chiese cittadine subì un rifacimento per azione di cittadini laici, conseguenza della nuova vitalità che pervase la città; un movimento ricollegabile con la stessa volontà politica che portò la città a costituirsi in quell’autonomia governativa, fonte dello scontro con il Barbarossa. Non è un caso che la leggenda dei martiri dell’Anaunia, apparsi sul vittorioso campo di Legnano, fu ricollegata con questa chiesa nella quale i tre santi erano stati sepolti. Le murature perimetrali narrano, ancora oggi, la storia secolare della chiesa come testimoniato dal ritrovamento, nel Novecento, di un sigillo del re Agilulfo, prova delle riparazioni avvenute tra il 590 e il 615.

 

S. Simpliciano

 

San Gottardo in Corte

(V. Francesco Pecorari, 2 – Gotico)

Se il Duomo è la rappresentazione ecclesiastica della massima espansione dei Visconti, S. Gottardo fu voluta alla genesi di questo processo negli anni ’30 del XIV secolo. Costruita per volontà di Azzone Visconti come cappella dell’immenso palazzo dei signori di Milano, seguì le linee del gotico italiano in particolare l’originale torre campanaria, detta delle Ore, per la presenza del primo orologio pubblico della città. Il lavoro dei più importanti artisti del tempo afferma la centralità dell’opera nella politica egemonica dei Visconti: un allievo di Giotto eseguì l’affresco della Crocefissione, ancora oggi collocato all’interno della chiesa, invece Giovanni di Balduccio, maestro della scultura gotica, scolpì il sarcofago dello stesso Azzone nel quale fu raffigurata la sottomissione delle città lombarde alla signoria viscontea.

 

L’arcivescovo Ariberto da Intimiano presenta a Dio il modello della chiesa di S. Dionigi

 

Santa Maria delle Grazie

(Pz. Santa Maria delle Grazie – Rinascimento)

A Milano il Rinascimento è la chiesa di Santa Maria delle Grazie, soprattutto per la presenza, nel refettorio dell’attiguo al monastero domenicano, del Cenacolo di Leonardo da Vinci (1495-1498). L’edificio rappresenta l’essenza del mecenatismo della dinastia degli Sforza: il corpo centrale fu ideato da Guiniforte Solari (Certosa di Pavia) rivale del più famoso Antonio di Pietro Averlino, detto il Filarete (Castello Sforzesco, Ospedale Maggiore). Uno degli obiettivi della riedificazione fu quello di rivaleggiare con la ricchezza architettonica di Firenze, il cui nuovo stile iniziò, anche in Lombardia, a sostituire il romanico, in primis nei colori. Il rosso cotto, tipico degli edifici milanesi, venne soppianto dal bianco granito come testimonia la Tribuna sovrastante la cupola, opera che segnò l’inizio del rinascimento lombardo. Anche in questo caso la motivazione fu politica: nel 1492 il nuovo signore di Milano, Ludovico il Moro sposò, con un fastoso matrimonio, Beatrice d’Este e volle costruire un monumento che testimoniasse il nuovo stile, affidandone l’edificazione a colui che, in quel momento, era l’ingegnere ducale: Donato di Angelo di Pascuccio, detto Bramante.

 

Tribuna di Santa Maria delle Grazie

 

Sant’Antonio abate

(V. Sant’Antonio Abate, 5 – Controriforma)

Nel 1577 Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, affidò l’intero complesso all’ordine dei chierici regolari Teatini. In pochi anni la ristrutturazione della chiesa creò un perfetto esempio delle idee scaturite dal Concilio di Trento: pianta a croce latina con una sola navata, tre cappelle per ogni lato, breve transetto, un profondo coro a pianta rettangolare. Nella piccola chiesa sono presenti non solo le volontà dell’ordine religioso ma anche dell’arcivescovo Carlo, protagonista della conclusione del Concilio tridentino e difensore cittadino delle idee della Controriforma e, in particolare, dello stile artistico che rappresentò quest’epoca: il Manierismo.

 

San Giuseppe

(V. Verdi – Barocco)

L’ultima chiesa introdotta in ordine cronologico si ricollega all’affermazione della dominazione spagnola in città. Innalzata tra il 1607 e il 1630, S. Giuseppe è il primo esempio cittadino del Barocco, stile per antonomasia dell’età moderna, e capolavoro finale di Francesco Maria Richini, l’architetto milanese più famoso della prima del XVII secolo ed autore del palazzo di Brera. Rappresentò l’intersezione tra i dettami del manierismo lombardo e la nuova arte romana che l’autore aveva acquisito durante un viaggio nell’Italia centrale, superando il carattere prettamente milanese ancora dominante nell’opera precedente, la chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia (1601-1626). La chiesa rappresentò un distacco con l’arte manierista ed ebbe un tale successo che servì come esempio per le chiese barocche a pianta longitudinale non solo in Italia settentrionale ma anche in Europa.

 

S. Giuseppe

 

San Maurizio al Monastero Maggiore

(Corso Magenta, 15 – Rinascimento)

L’ultima chiesa è un unicum della storia milanese, il perfetto connubio tra rappresentazione politica e mecenatismo artistico. L’edificio, costruito attorno al più importante e ricco monastero femminile cittadino, rappresentò, nel rifacimento cinquecentesco, il connubio di una serie di potere di carattere urbano e non: fu finanziata da Alessandro Bentivoglio, governatore del ducato di Milano dal 1531 al 1532, figlio di Giovanni II, signore di Bologna dal 1463 al 1506, e da Ippolita Sforza, figlia di Carlo Sforza, figlio illegittimo del duca Gian Galeazzo. L’insediamento di questa nuova famiglia, scappata da Bologna dopo l’occupazione da parte delle forze papali, fu rafforzato dalle presenze monastiche: quattro delle loro figlie furono destinate al convento ed una di esse, Alessandra, fu per sei volte badessa. La proprietà delle cappelle laterali evidenzia ulteriormente la volontà di controllo di questa chiesa poiché il patronato fu concesso solo a famiglie legate ai Bentivoglio. Dal punto di vista artistico, invece, la chiesa è decorata interamente da un vasto ciclo di affreschi di scuola leonardesca, soprattutto Bernardino Luini, di una bellezza tale da rinominare l’edificio la “Cappella Sistina” della Lombardia.

Questi sette esempi di chiese cittadine formano un piccolo museo dell’antico, nascosto e poco appariscente, ma che mostra un itinerario del rapporto tra la città di Milano e i suoi dominatori – sia i potenti arcivescovi (Ambrogio, Ariberto da Intimiano, Carlo Borromeo) sia le signorie laiche (Visconti, Sforza) – attraverso, anche, la varietà di stili architettonici: se fate un giro a Milano, entrateci senza indugio, mi ringrazierete.

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