Simboli ‘verdi’ di vizi e virtù: gli alberi nella cultura medievale

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Lorenzo Domenis, Verona –

Per migliaia di anni, il legno ha rappresentato un materiale essenziale per il genere umano, sia per quanto concerne la realizzazione di strumenti e oggetti, sia per la costruzione di strutture e abitazioni.
Il Medioevo non fa eccezione: nei lunghi secoli dell’Età di Mezzo, il legno gioca un ruolo fondamentale, entrando a fare parte dell’insieme di simboli tipici del pensiero europeo medievale.

Michael Pastoureau, docente di storia del simbolismo, nel saggio Medioevo Simbolico traccia un’attenta analisi del rapporto tra l’uomo medievale e l’albero, collocando il mondo vegetale in un universo simbolico contraddistinto dalla contrapposizione tra vizi e virtù.

 

La materia per eccellenza

Vivo, puro, nobile, oggetto di rispetto e di simpatia nonché di transazioni molteplici, lavorato da artigiani e onnipresente, il legno rappresenta, tanto nella vita quotidiana quanto nell’immaginario collettivo, la materia prima per eccellenza, quella che fino al XIV secolo è citata spesso in cima alla lista dei materiali impiegati e lavorati dall’uomo.

Soprattutto nell’Europa settentrionale e nord-occidentale, area dove le foreste coprivano vaste porzioni di territorio, il legno era considerato come una delle più importanti ricchezze, spesso al centro di intesi scambi commerciali in direzione del Mar Mediterraneo e del mondo islamico, e come uno dei più diffusi prodotti di consumo.

Per poter avviare traffici commerciali basati sul legno è necessario abbattere gli alberi e qui entra in gioco una figura piuttosto denigrata dalla società medievale: il taglialegna.
Il taglialegna è ritenuto un vero e proprio carnifex nei confronti dell’albero, un brutale carnefice che, dotato di utensili realizzati nell’impuro metallo, taglia senza pietà alcuna l’inerte fusto. Il ferro è un materiale sporco, non naturale e morto, a differenza del legno che è vivo, caldo e dotato di un’essenza.

Il boscaiolo viene descritto, inoltre, con alcune caratteristiche topiche: è scontroso, dotato di grande forza, non si mescola con gli abitanti dei villaggi e soprattutto non si separa mai dalla propria ascia. Il taglialegna è inoltre presentato come misero, sia a livello economico dato che non guadagna molto nonostante tutta la fatica, sia a livello etico e morale.

Ancora più meschino e povero del taglialegna, secondo le fonti medievali, è il carbonaio, uomo che maneggia direttamente il fuoco, vero nemico del legno, quasi come fosse una sorta di creatura infernale. Il carbonaio non ha famiglia, non ha ricchezza né casa, si muove di bosco in bosco per bruciare e distruggere: gli abitanti si tengono a distanza da questo personaggio così tetro.

Nei romanzi cortesi, spesso il protagonista si perde nel fitto di una foresta ed è costretto a chiedere aiuto a un misero e sporco carbonaio; per la sensibilità del XII e del XIII secolo questo incontro incarna gli antipodi della società, il vertice e la base che entrano a contatto.
Nonostante la fama negativa, l’utilità dell’attività del carbonaio – la carbonizzazione del legno appunto – è riconosciuta dato che il suo lavoro indispensabile nell’ambito della metallurgia e nella realizzazione di utensili.

Gli alberi benefici

La simbologia medievale relativa al mondo vegetale non porta sostanziali innovazioni rispetto all’Antichità ed è frutto dell’unione di tre diverse tradizioni religiose e culturali: la cultura biblica, il mondo greco-romano e il folklore “barbarico” dei popoli germanici che accordavano alla foresta e agli alberi un ruolo di primo piano.

Naturalmente, non tutti gli alberi sono presenti allo stesso modo nelle diverse culture europee medievali, dato che le differenze climatiche comportano diversità he nella tipologia di vegetazione: per un abitante della Germania, la palma non può avere lo stesso valore simbolico dell’abete o della quercia.

Tenendo presente questa importante considerazione, quali sono gli alberi ritenuti benefici nel Medioevo?
Tra gli alberi più apprezzati nel Medioevo troviamo il tiglio, spesso citato in diverse cronache e testi come albero virtuoso. Del tiglio si ammira la sua maestosità, la sua opulenza e la sua longevità. La caratteristica più lodata del tiglio, tuttavia è la ricchezza di prodotti che si possono estrarre e ricavare da esso: da profumi fragranti fino ad una serie di “farmaci” derivati dalla linfa, dalla corteccia, dalle foglie e dai fiori (che hanno proprietà rilassanti, questo albero è un vero campione della farmacopea antica e medievale.

Oltre all’uso in ambito medico, il tiglio trova spazio nel campo tessile (dalla sua corteccia si può ricavare un materiale tessile) e della falegnameria, dove viene spesso utilizzato per realizzare strumenti musicali.

Un altro albero benefico è il frassino, alberato già venerato dai Germani come ponte tra Cielo e Terra, dato che dal suo legno si ricavano gran parti della armi da lancio usate per difendere la Cristianità dagli infedeli.
Immancabile come albero virtuoso è, inoltre, la quercia, simbolo di forza, resistenza e purezza tanto da essere spesso associata alla figura di Gesù Cristo.

Gli alberi malefici

Tutti gli autori medievali, quando devono nominare un albero nefasto e malefico, citano sempre il tasso. Quest’ultimo, non soltanto si erge solitario dove le altre piante non crescono, ma sembra immutabile e immune agli elementi e al passare del tempo, quasi come se avesse stretto un patto con il Diavolo. Le leggende e le tradizioni, infatti, lo associano spesso all’altro mondo e alla morte (in tedesco viene chiamato Todesbaum ossia “albero della morte”).

Il tasso è quindi un albero della morte, che si incontra nei cimiteri e che ha addirittura legami con il suicidio dato che, secondo alcune tradizioni, Giuda si sarebbe suicidato bevendo proprio succo di tasso. In effetti, il tasso è realmente tossico: le foglie, i frutti, la corteccia, le radici e soprattutto il succo, sono velenosi per l’uomo, come testimonia già Isidoro di Siviglia, padre dell’enciclopedistica medievale. Lo stesso nome latino del tasso, ossia taxus, evoca l’idea del veleno (toxicum).

Questa sua fama sinistra, non ha impedito che nell’area anglosassone il tasso venisse utilizzato per produrre letali archi e frecce. Secondo alcuni storici questa scelta non è un caso: la Scozia, il Galles e l’Irlanda sono i principali eredi della cultura celtica dove il tasso non ha attributi negativi.

Anche il noce godeva di una reputazione terribile nel Medioevo in quanto veniva considerato uno degli alberi di Satana. Le sue radici tossiche non solo fanno morire la vegetazione tutt’attorno, ma vengono persino considerate capaci di uccidere gli animali domestici che ci si avvicinano ad esse.

Addormentarsi sotto un noce significa esporsi a febbre, mal di testa e soprattutto rischiare di essere visitati da spiriti maligni (simili credenze sono sopravvissute fino al XX secolo). Isidoro di Siviglia stabilisce un rapporto diretto tra il nome latino del noce (nux) e l’etimologia del verbo nuocere (nocere).

Nonostante l’alone sinistro che avvolge il noce, i suo frutti, ossia le noci, venivano ampiamente consumate durante il Medioevo dato che fornivano un’importante fonte di cibo e di nutrienti. Anche il legno del noce non veniva disprezzato, seppur ritenuto inferiore rispetto ad altri alberi più “nobili”.
A completare la triade degli alberi malefici troviamo l’ontano, che condivide alcune caratteristiche con il tasso, soprattutto per quanto concerne il legame con il mondo dei morti.

 

Analizzando il valore simbolico che la cultura medievale attribuiva alle piante ci consente, ancora una volta, di osservare come alcuni elementi culturali attraversino i secoli quasi indenni ai cambiamenti che li circondano, affondando le proprie radici nel folklore e nelle credenze di popoli ormai scomparsi.

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