Macrocosmo e microcosmo, medicina e alchimia: la teoria medica di Paracelso tra innovazioni e contraddizioni

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Riprendiamo con questo articolo il profilo biografico di Paracelso illustrato qualche giorno fa. In questa occasione, parleremo della teoria filosofica paracelsiana, della sua idea di malattia, di cura, di etica medica. Ne esce la figura di un uomo fortemente innovativo e creativo, ma allo stesso tempo contraddittorio.

Paolo Perantoni, Verona –

La teoria filosofica paracelsiana

Tutta la teoria paracelsiana si basa sulla relazione tra macrocosmo e microcosmo. Vi è quindi una stretta analogia tra astri, natura e organi del corpo umano.

Paracelso è convinto che Dio abbia voluto sottolineare queste analogie con dei segni precisi in ogni elemento cosmico; questa, che prende il nome di “dottrina delle segnature“, risulta fondamentale per il medico che deve cogliere l’esatta analogia per poter portare alla guarigione l’ammalato liberando gli arcana, ovvero le forze guaritrici della natura, le uniche responsabili dell’effettiva risoluzione di una malattia.

La natura, e la sua attenta osservazione empirica, è infatti per Paracelso la chiave di volta del proprio modello filosofico. Paracelso è convinto che la natura, nella sua tripartizione minerale, vegetale e animale, abbia un archeo, ovvero una forza vitale del mondo, paragonabile all’entelecheia, o all’anima, che presiede alla formazione della vita.

La concezione della natura sarebbe quindi assai simile alle filosofie presocratiche, in particolare quelle pitagoriche: sembrano esservi dei riferimenti a Filolao piuttosto che allo stesso Pitagora per i quali il mondo “era anche paragonato ad un grande animale più piccolo, l’uomo, organizzato rispetto al tutto, essere centrale che associa lo spirito alla materia” (Stroppiana, p. 111).

Altri riferimenti a questa concezione, ancor più importanti in quanto in stretto contatto tra filosofia e medicina, si ritrovano nel trattato ippocratico Sul regime e nel Timeo di Platone.

Questa concezione filosofica ha il suo corrispettivo nella pratica medica poiché egli era convinto che le cause delle malattie e i relativi rimedi dovessero ricercarsi nelle forze, dette arcana, e negli elementi – piante, minerali, acque… – della natura, oltre che negli influssi degli astri.

Se l’analogia tra macrocosmo e microcosmo può valere anche per la dottrina ippocratico-galenica degli umori, la vera rivoluzione si compie a livello di elementi fondanti della vita. Abbandonati gli umori, Paracelso identifica in tre elementi, i tria prima, identificati in zolfo, sale e mercurio; questi elementi, che oggi saremmo portati a definire chimici, sono per Paracelso alla base di ogni struttura vitale così come di ogni malattia.

 

 

In questo modo Paracelso pone le basi al “primo concetto di chimica biologica, dal quale germogliò la scuola jatrochimica, espressioni che nel loro profondo intimo confermavano che la natura doveva essere letta in caratteri matematici”, con chiari riferimenti al modello filosofico pitagorico.

Merito di Paracelso è stato dunque quello di aver introdotto le conoscenze alchemiche all’interno di una discussione medica nobilitando la tradizione ermetica che fino a quel momento era rimasta nell’ombra, spesso mescolata a stereotipi che vedevano nell’alchimia forme di magia demoniaca.

Ultimo pilastro nella concezione filosofica paracelsiana è la trattazione dell’etica del medico che deve essere sempre guidato dalla virtù. La sua vita dev’essere eticamente irreprensibile, ma è nel rapporto con il malato dove essa si deve esplicitare maggiormente. Il medico deve essere prima di tutto leale con il proprio paziente, la sua responsabilità “non si esaurisce semplicemente nel corretto svolgimento del proprio compito, ma deve riuscire a comprendere con diligenza e lealtà ciò di cui il malato ha bisogno” (Capparoni, p. 49), non da ultimi il calore umano e la fiducia per il proprio medico curante.

 


La malattia

Contrastando la secolare dottrina degli umori che vedeva nella malattia uno squilibrio di uno di essi, per causa endogena, Paracelso arriva ad affermare che essa sia un’entità concreta, avvertita, che può essere resa visibile e quindi esaminabile.

La malattia per Paracelso è chiaramente di natura esogena; essa è dovuta alla materia indigeribile introdotta nel corpo attraverso bevande e cibo o attraverso l’aria. Come si è ricordato poco sopra, per la medicina tradizionale, la malattia era in larga misura endogena sebbene alcuni medici antichi, primo fra tutti Ippocrate, avessero puntato l’indice sia sulla cattiva alimentazione che sull’ambiente insalubre. Tuttavia, secondo Paracelso, “i cambiamenti umorali che essi prendevano in considerazione […] erano tardivi effetti posteriori della malattia” (Pagel, p. 131). Paracelso rivolge quindi l’attenzione alle cause esogene della malattia per risolverle a livello di microcosmo.

Un altro elemento fondamentale e innovativo risiede nella convinzione paracelsiana che la malattia possa essere definita in termini chimici. In particolare essa sarebbe “il prodotto di una coagulazione connessa con l’azione del sale sulla sostanza dannosa che entra dall’esterno”, sostanza, quest’ultima, che può essere composta alla base dallo zolfo, dal mercurio o dallo stesso sale.

Si tratterebbe quindi di un disordine metabolico dovuto all’incapacità di separare il nutrimento dalle scorie: vi sono dunque malattie diverse a seconda del processo chimico verificatosi. Questo processo, secondo Paracelso, si manifestava a livello locale, e solo in un secondo momento poteva essere seguito da effetti su altre parti del corpo. La tradizione galenica prevedeva l’esatto procedimento inverso.

Non v’è da dimenticare l’importanza degli astri e dell’immaginazione nella formazione della malattia, un esempio per tutti può essere quello dell’origine, dello sviluppo e dell’espansione della peste.

Un’interessante analisi, sebbene contraddittoria, Paracelso la compie nei riguardi della malattia mentale. Il medico svizzero ha l’intuizione di definire la follia come una dissonanza emotiva tra uomo e mondo reale. Sebbene questa tesi ci appaia molto “progressista” non va dimenticato che Paracelso era profondamente immerso nelle credenze popolari tipiche del suo tempo riguardanti streghe, possessioni demoniache o diaboliche come cause della pazzia.

Pagel afferma che in alcuni suoi trattati – come ad esempio il De lunaticis – si ha l’impressione di trovarsi dinnanzi più a inquisitore che a un medico, “come quando raccomanda di evitare la demenza con la confessione o invita a bruciare dei pazienti per paura che diventino strumenti del demonio” (Ivi, p. 127).

 

Hieronymus Bosch, Estrazione della pietra della follia (1494)

La cura

Primo obiettivo del medico, dunque, è quello di trovare l’analogia che regola macrocosmo e microcosmo. Per questo motivo egli dev’essere prima di tutto filosofo naturale, astronomo/astrologo ed anche alchemico; grazie a queste tre discipline egli può svelare il segno nascosto insito nel creato – “dottrina delle segnature” – così facendo può individuare il vincolo che lega per analogia una stella ad una pianta o una roccia e infine ad un organo umano.

Alla base di questa dottrina medica sta il principio di Empedocle per cui il “simile conosce il simile”, quindi per far sì che un medicinale faccia effetto occorre che esso sia costituito chimicamente ed energicamente della stessa sostanza che ha provocato la malattia è “qui [che] incontriamo il principio omeopatico: nella sorgente della malattia sta il suo rimedio”.

In questo modo, per porre solo un esempio, il calcolo renale – detto mal della pietra – dovrà essere curato con la pietra e Paracelso offre un elenco di quali usare: le chele dei granchi, la pietra giudaica, la pietra linciana, il lapis lazuli, spugne, altite, selenite. Da queste “pietre” si sarebbe dovuto fare un distillato vinoso una volta che esse fossero state frantumate e sciolte in vitro.

Si è vista l’importanza delle pietre come basi per la farmacologia, ma è la prima volta che in campo medico vengono poste le basi per la creazione di farmaci che non fossero solo la risultante di infusi di erbe medicinali come voleva la tradizione galenica. Le pietre, però, hanno per Paracelso anche il potere di essere usate come amuleti contro l’influsso negativo delle cattive stelle.

Di particolare interesse e rilevanza tra i precetti curativi del medico svizzero vi è anche un’innovativa attenzione per la cura delle ferite. La medicina tradizionale in caso di ferite prevedeva l’immediata chiusura di esse mediante suturazione o cauterizzazione, entrambi i metodi, così come venivano applicati da medici e chirurghi del periodo, portavano però ad un alto rischio di setticemia dovuto, nella maggioranza dei casi, al pus non spurgabile dalla ferita.

 

 

Paracelso, guidato dalla sua esperienza sui campi di battaglia, rompe con la tradizione e afferma il principio del “lasciar fare alla natura”, essa stessa penserà alla cicatrizzazione, compito del medico è solo quello di pulire e proteggere la ferita finché questo non accade.

Poco dopo però lo stesso Paracelso afferma l’influenza della collera nell’avvelenare le ferite con la bile. Anche le stelle avrebbero un’analoga influenza in particolare Saturno e Marte hanno la capacità di imporre una piaga e avvelenare le ferite.

Nonostante le tante contraddizioni nelle sue cure, vanno ricordati infine almeno altri due punti innovativi: l’importanza di una chirurgia il più possibile conservativa e il ricorso alla balneologia con particolare predilezione per i soggiorni presso impianti termali come quello di Pfaefers.

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