Monachesimo al femminile: la rivalsa delle donne nel mondo religioso medievale

monachesimo femminile, medioevo, storia medievale, ildegarda, radegonda, ordini monastici, santa caterina, storia del cristianesimo, storia di genere

Monaca con fanciulla. Miniatura dal salterio di Sintram

Matteo Beccari, Roma –

Il Medioevo è, solitamente, considerato come l’epoca più oscura per le donne, relegate al focolare domestico, destinate a procreare futuri guerrieri o plebei. La società medievale si fondava su dei valori, come la virtù guerriera o la virilità, prerogative maschili; al contempo, tuttavia, le donne riuscirono a imporsi e a farsi rispettare in quasi tutti gli ambiti di quella società, comprese sfere erroneamente ritenute esclusiva maschile. Il fenomeno monastico può fornirci alcuni esempi.

Il monachesimo e le donne: gli inizi

Fin dalla metà del III secolo d.C., il suddetto fenomeno era tanto diffuso in Oriente quanto in Occidente. L’ascetismo femminile è, anzi, attestato in Occidente con maggior rilievo e prima ancora di quello maschile. Basti pensare alle sorelle di San Girolamo o di Sant’Ambrogio, alle grandi dame romane che recepirono da Atanasio il fascino dell’ascesi, o tutte quelle matrone alle quali predicò Gerolamo durante gli anni di pontificato di Papa Damaso (366-384). A tal proposito, i nomi si sprecano; tuttavia, il fervore religioso delle donne altolocate della società tardo romana contribuì al moltiplicarsi di monasteri femminili in Gallia, lungo la Penisola Italica e anche in Britannia, specialmente nell’orbita del monachesimo di Colombano. La badessacolombaniana”, ad esempio, confessava, assolveva dai peccati, scomunicava e istruiva, prerogative, ad eccezione della possibilità di svolgere il rito eucaristico, tipiche dei preti.
I monasteri femminili, inoltre, acquisirono velocemente anche grande rilevanza nella via politica.
Il monastero femminile di Arles fu retto da donne di importante ruolo sociale. Tra di esse spicca la figura di Rusticola, quarta badessa (dal 574-632), protagonista di una delle più celebrate “Vite” merovinge, che la dice nata da una nobile famiglia gallo-romana. Una principessa reale inglese, sant’Ilda, fu badessa di Withny (655-664) e diede al suo monastero il primo assetto, dotandolo di recinti, chiostri, giardini ed edifici di culto. Queste furono le primae di molte regine e grandi dame merovinge che, volgendo l’evergetismo romano a forme nuove di patronato, assicurarono sviluppo e strutture originali al monachesimo femminile.
Giunti a questo punto, si prefigura un primo, seppur stringato, quadro. L’analisi di tre storie, dunque, potrà fornire le chiavi di lettura necessarie a comprendere l’evoluzione del ruolo e il mutare dell’influenza della donna nel mondo cristiano. Esempi che rappresentano efficacemente società molto diverse, distanti nel tempo e nei luoghi, e che tratteranno la figura dell’asceta, della mistica e della donna di garbo.

 

La Gallia delle terribili lotte dinastiche dopo Clodoveo e dello scontro culturale fra le elites gallo-romane e gli invasori Germani

Il primo dei nostri casi è quello della principessa turingia Radegonda che, in pieno VI secolo, fu costretta a sposare Clotario I, re dei Franchi. La vita di corte inasprì il conflitto fra gli obblighi imposti dal rango e il regime di povertà, castità, costrizione al quale la nobile si sentiva chiamata. Quando il richiamo alla vita contemplativa divenne irresistibile, Radegonda fuggì e si fece monaca a Poitiers, ove fondò il monastero di Santa Croce. La pratica ascetica nella nuova sede divenne tormentosa, giungendo fino alla devastazione fisica: Radegonda, infatti, mortificò le sue carne non solo con il cilicio, ma anche con anelli, lamine e carboni roventi che le ustionano le membra. Ci informa di tutto ciò Venanzio Fortunato, scrittore Trevigiano, che, divenuto vescovo di Poitiers, fu devotissimo alla regina-monaca. Prudentissimo di fronte al re e al potere franco, Venanzio ha taciuto la vera storia della principessa turingia, costellata da violenze, oltraggi e ripudi, culminata nell’assassinio del giovane fratello, ultimo perente rimastole in vita.

 

Uno scorcio dello Sposalizio di Santa Monica di Francesco Botticini

 

La Germania renana del XIII secolo, in cui cresceva il potere del arcivescovo di Magonza e delle benedettine pronte a disputare con i teologi del tempo

Il secondo riguarda Ildegarda, nata nel 1098 in castello vicino a Bingen, nella regione della Renania-Palatinato, vicino Magonza. Entrata a 8 anni nell’abbazia di Disibodenberg, ne divenne badessa nel 1136. Più tardi fondò un nuovo monastero a Bingen e vi trasferì la sua comunità. Circondata da una crescente fama di profetessa, esorcista e guaritrice, fu continuamente cercata da folle di postulanti, interpellata da vescovi, sapienti, principi e imperatori. Si presentava come fragile e malata, ma in realtà visse più di ottant’anni, e fu fino all’ultimo instancabilmente operosa. Lasciò inoltre un gran numero di scritti. Affermava di ricevere visioni continue, in un’estasi che non si attuava come possessione o trance, ma come uno stato di luce, di straordinaria acuzie ed ebbrezza intellettuale. Assistiamo quindi a un cambiamento negli orizzonti culturali, effetto della nuova regola benedettina che insegava a non affrontare prove superiori alle proprie capacità. La perfezione non stava più nell’eroismo penitenziale, bensì nella comunione con Dio, unica a mostrare Verità e Sapienza. Dalla sua ricchissima inventiva visionaria Ildegranda ricava messaggi profetici, argomentazioni da presentare ai teologi e risposte da dare ai potenti, come l’arcivescovo di Magonza o l’imperatore Federico Barbarossa, ricavando così una teologia al femminile. Con lei ha inizio la lunga stagione delle grandi mistiche, filone che continuò fino a Brigida di Svezia e a Caterina, profetessa di Avignone.

Ildegarda di Bingen

L’Inghilterra dei “Racconti di Canterbury” e dei mille monasteri cattolici, prima della Guerra delle Due Rose e della bufera protestante

Il terzo esempio, infine, è quello della badessa Eglentyne, immortalata nel prologo dei Racconti di Canterbury. Chaucer, con divertita satira, scriveva che parlava bene il francese, stava a tavola con molto garbo, cavalcava avvolta da un elegante mantello, e portava alle braccia rosari di coralli e perline. Dai registri vescovili pervenuti, esce fuori la storia privata e familiare di madama Eglentyne, figlia di un nobile che aveva altre figlie da maritare e un figlio maschio al quale lasciare, indiviso, il patrimonio.
Mandata bambina in convento, quando ne divenne badessa, come spettava al suo rango, lo amministrò senza molta oculatezza: vendette i boschi, elargì pensioni e privilegi in cambio di denaro, e stipulò mutui rovinosi. Non si preoccupò di ricostruire i tetti in rovina, o di rinnovare il guardaroba delle monache; ospitò per lunghi periodi amici, familiari e dame che davano cattivi esempi.

Il mutare di alcune tipicità del fenomeno monastico al femminile si possono evincere analizzando anche, la vicenda di Eloisa e Abelardo, narrata da quest’ultimo nella sua autobiografia, Historia mearum calamitatum (“Storia delle mie disgrazie”) e più ancora nelle lettere che inviava ad Eloisa, ormai badessa. La relazione epistolare, protratta per circa un triennio (1115-1118), si mosse durante un periodo di mutamenti decisivi. Il movimento riformatore proveniente da Cluny aveva ormai spinto molti monasteri, prima isolati, a raggrupparsi in una struttura centralizzata e a sottomettersi direttamente alla Curia romana per sfuggire alla pesante tutela feudale. Le lettere di Abelardo, in tal senso, appaiono rivelatrici. Tra le sue pagine, infatti, si intravede il sostegno della dipendenza della comunità femminile da quella maschile: così come la Madonna venne affidata dal Figlio a Giovanni, allora anche le monache dovevano venir affidate alle cure dei confratelli – sacerdoti. Al contempo, trovava spazio l’esaltazione per uno stile di monaca/badessa non più incentrato per il suo potere sovrano, le origini nobiliari o le doti virili, ma esaltato dalle qualità personali e dall’impegno religioso.

Vittorio Calegari, Abelardo ed Eloisa al Paracleto (1893)

Nel 1216 papa Onorio III diede il permesso di costituire comunità femminili senza adottare una regola esistente né di aderire a un vecchio Ordine. Gli Ordini dei Domenicani e dei Francescani aggiunsero a quello maschile anche l’Ordine femminile. Quello delle Clarisse, fondato da Santa Chiara, ebbe una grande storia, così come le Beghine e le Orsoline, che svolsero continue e importanti attività caritative. Di grande importanza furono le decisioni prese durante il Concilio di Trento (1545-1563), che da un lato riconfermava il valore dei voti religiosi ed esaltava il valore della rinuncia monastica, dall’altro imponeva una serie di deliberazioni disciplinari, più attente e minute di quelle stabilite per il monachesimo maschile, che finivano per comprimere gli spazi di autonomia e l’impegno sociale degli istituti femminili. Le badesse non furono più elette a vita, ma per un triennio, la clausura venne resa più severa, la dipendenza dai conventi maschili fu riaffermata.

LE LETTURE CONSIGLIATE: