«Quello che scegli influirà sul corso degli eventi», ma di chi? Appunti su Bandersnatch di Black Mirror

bandersnatch, black mirror, netflix, editoriale, libero arbitrio

Bandersnatch, l’attesissima prima puntata della nuova stagione di Black Mirror, comunque lo si prenda, ha come tema il libero arbitrio. Eppure la puntata non si è rivelata così libera come si pensava nelle possibilità di interazione per lo spettatore. Il tema, però, è più profondo: quanto siamo disposti a cedere i nostri dati personali per un’intrattenimento televisivo?

Paolo Perantoni, Verona –

La puntata di Black Mirror intitolata Bandersnatch è forse la più chiacchierata di sempre tra quelle della nota serie distopica ideata da Charlie Brooker e targata Netflix, tanto che da alcuni critici è indicata come la pietra miliare su cui si fonderanno le prossime serie tv.

Per chi non l’avesse ancora visto, l’episodio è ambientato negli ormai classici anni ’80 ed è incentrato su un giovane programmatore inglese ossessionato da un libro game intitolato Bandersnatch. La sua ossessione lo porta a programmarne il videogioco sullo stile dei mega game per un’azienda, la Tuckersoft, che fa il verso alla Immagine Software, società realmente esistita a Liverpool ma fallita nel 1984, dopo soli due anni. Questa aveva effettivamente in programma di lanciare il mega game Bandersnatch ma non vi riuscì mai, né copie del gioco – anche in fase di sviluppo – risultano ad oggi sopravvissute. L’episodio fa quindi molti riferimenti alla cultura nerd degli anni ’80, in particolare a quella videoludica, ma la cosa più interessante di tutto questo esperimento è il ruolo che lo spettatore è chiamato a ricoprire.

Nel corso dell’episodio, infatti, lo spettatore deve decidere su aspetti “più o meno importanti” ai fini del dipanarsi della trama: si passa dallo scegliere dei cereali, fino a scelte drammaticamente violente, il tutto entro pochi secondi.

Il problema è che queste non sono vere e proprie libere scelte, come si evince da questo schema, poiché i molti “vicoli ciechi” riportano su una “retta via”. La ramificazione narrativa quindi potrebbe lasciare l’amaro in bocca a chi si aspettava la massima libertà di scelta, ma si deve riconoscere che la tecnologia attuale – in una sorta di parallelismo con la trama dell’episodio – non riesce ancora a reggere una mole così grande di dati. Lo stesso Brooker ha rivelato che alcune scene vivono in una sorta di limbo, sono state caricate ma sono poi escluse dai filoni narrativi.

In rete in molti si stanno sforzando di trovare queste “scene maledette”, riannodando il fil rouge con il meccanismo distopico di cui Black Mirror dal 2011 cerca di metterci in guardia, talvolta anticipando l’uscita reale della tecnologia usata sullo schermo.

Netflix non si è fermata a questo, nonostante Brooker abbia dichiarato che non ricorrerà più in futuro a questa tecnologia, il 16 gennaio sulla pagina Instagram di Netflix è andata in onda una “nuova puntata”. Dei volontari si sono prestati a compiere alcune azioni seguendo le votazioni provenienti dalle Instagram stories di Netflix, dando agli utenti l’impressione di controllare la vita di qualcun altro. In generale, almeno nella versione italiana, il giochino non ha funzionato molto, ma bisogna registrare il fatto che Bandersnatch in qualche modo è entrato nella vita “reale” delle persone.

È opinione di chi scrive che Bandersnatch – comunque lo si prenda – parli di libero arbitrio; giocando in modo molto fine – e a più dimensioni – con il tema della “scelta”, gli autori hanno spostato il focus dal protagonista della fiction a noi spettatori. Non è chiaro se in positivo o in negativo.

Nella sua quotidianità Netflix raccoglie moltissimi dati (big data) sugli interessi dei suoi spettatori, nella privacy policy possiamo leggere che lo scopo è quello di mostrare allo spettatore-cliente cose che gli possano piacere, in modo da soddisfarlo sempre di più, similmente a quanto fa Facebook con la sua “bacheca bolla”. Google sta andando ancora più avanti, sta infatti sperimentando la creazione di una città che sia anche un grande raccoglitore di dati, in modo da offrire i migliori servizi per il cittadino.

 

bandersnatch, black mirror, netflix, editoriale, libero arbitrio

 

Può piacere o meno ma se accettiamo il contratto con questi colossi dobbiamo accettare di concedere questi dati, che altro non fanno se non creare una profilazione di noi utenti-clienti. Ma con Bandersnatch l’asticella si è alzata: scegliere un prodotto commerciale reale, capire quanto vogliamo e sopportiamo la violenza, sono due aspetti assai delicati in questa società, come il caso di Cambridge Analytica ha ampiamente dimostrato.

Stiamo ancora parlando di spettacolo? O è una immensa operazione di marketing per la raccolta di dati da utilizzare al momento più opportuno? Siamo forse davanti alla somma massima delle leggi di Noam Chomsky?

È difficile dirlo. Credo che Bandersnatch sia volutamente ambiguo, e tutto il mistero e gli easter eggs presenti nelle scene non fanno che aumentare questa caratteristica. In fondo anche noi dinnanzi a queste riflessioni siamo chiamati a scegliere se credere o meno alla buona volontà di Netflix, che nel migliore dei casi non userà quei dati sensibilissimi che sta raccogliendo e immagazzinando, oppure a quella di Brooker che forse si sta inserendo nella scia di quel Matt Groening che nei suoi Simpson più volte lancia il messaggio “Attenti, la Fox è il male, non guardatela!”, ma dato che è la Fox a produrli e a trasmetterli si continua a guardarla.